A Mazzarino si prepara una cubaita da Guinness
“Cimino” (ovvero, in italiano, sesamo), miele, zucchero e mandorle ben abbrustolite a volontà. Di questi ingredienti ne serviranno parecchi il prossimo 23 settembre quando maestri pasticcieri, coordinati dal pluripremiato Nicola Fiasconaro, cercheranno di raggiungere il record della “Cubaita”,il torrone di origini arabe (qubbiat) che in Sicilia veniva realizzato durante le feste natalizie (A.Zi.)
Il 24 settembre a Grosseto il Maremma Food Shire
Si terrà sempre nel centro fieristico di Braccagni, dove si sono svolte le due precedenti edizioni di Maremma Wine Shire 2010 e 2011, la prima manifestazione che riguarda le produzioni gastronomiche maremmane di qualità, ovvero il Maremma Food shire. Ben 85 le aziende selezionate che esporranno le proprie delikatessen toscane, un’opporunità straordinaria per assaggiare ed acquistare formaggi, salumi, carni pregiate, pasta, dolci, pesce, olio, vini etc. (Ni.Pa.)
Gambero rosso di Sicilia: nasce il marchio DOP
E’ un prodotto d’eccellenza della Sicilia e, a breve, nascerà un Centro per la certificazione e prova per la garanzia del suo “marchio Dop”. Parliamo del “gambero rosso di Sicilia”. Nei mesi scorsi è stato presentato il disciplinare che tutelerà con il marchio Dop l’altissima qualità del gambero pescato nel Canale di Sicilia certificandone resa, tempi e tecniche di pesca, condizioni e integrità del prodotto, qualità organolettiche, tempi e temperatura di congelamento (A.Zi.)
Sherbeth festival 2011: dolce ma non senza imperfezioni
Ambientata in un delizioso quanto rinomato borgo, Cefalù, si è conclusa una delle manifestazioni più dolci e fresche dell’estate siciliana, lo Sherbeth festival, che ha accolto mastri pasticceri non solo italiani, diverse le nazioni presenti: Germania, Portogallo, Sud Africa, Spagna, eppure tanto dolce il gelato, quanto salato l’accesso (Ti.Ni.)
Pasticceria Eoliana – Milano
Di bar e pasticcerie siciliane, o sedicenti tali, Milano è piena. Ma non soltanto Milano. Tutta Italia, ed in alcuni casi anche qualche città estera, si fregia di insegne che declamano di essere “Pasticcerie Siciliane”. Ma solo per pochissime questo risulta poi essere vero. Uno di questi rari casi riguarda una piccola pasticceria in una stradina della periferia milanese: L’Eoliana.
Un’altra terribile giornata di caldo afoso: Milano una graticola. Avevo da poco fatto un’esperienza assai deludente acquistando pasticceria fresca presso una pessima pasticceria “siciliana”, ed il timore era quello di dover ripetere l’esperienza con la delusione che ne sarebbe ancora una volta derivata.
Con una punta di scetticismo metto dunque piede all’ Eoliana.
Mi accoglie uno spettacolo consueto; un banco frigo adorno di dolcetti mignon tipici della nostra pasticceria. Bignè con crema e con ricotta, piccoli cannoli e soprattutto le cassatine, disposte in bell’ordine.L’unica differenza rispetto a quelle che si vedono di solito in Sicilia sta nel rivestimento: di vari colori, tutti assolutamente smaglianti.
Ad ogni colore corrisponde un sapore, e dunque arancia, limone, pistacchio e il classico verde della mandorla. Inoltre non ho visto le solite e tristi macchine a ciclo continuo che rimestano granite in vari gusti: il che mi lascia supporre che le granite le producano artigianalmente e che le conservino nei pozzetti frigo.
La cassatina, così come il cannolo, non è roba che si possa improvvisare, e dunque scelgo di provare se almeno quella pasticceria sia degna di definirsi siciliana. Non appena il titolare mi si rivolge per chiedermi cosa desidero assaggiare avverto immediatamente una sensazione di rassicurante conforto: l’accento è siciliano, intuisco che possa essere catanese. Poi ricordo il nome del locale e viro verso il messinese. Poco importa: è comunque accento di casa mia.
Mi viene servita una deliziosa cassatina verde – ho scelto il gusto classico – insieme ad un espresso. Chiudere gli occhi, mordere la cassatina con il profumo di caffè che saliva dalla tazzina e con il profumo di fondo di quel locale che sapeva di limoni, mi ha immediatamente trasportata a casa. A Lipari come a Favignana, a Palermo come a Mondello, a Taormina come a Cefalù. Era ottima.
Intanto però voglio spendere due parole su quell’espresso. Avevo notato che quando un milanese desidera bere un espresso forte lo chiede “ristretto”: cosa che da noi non si usa visto che casomai lo ordiniamo “lungo”. Questo pechè da noi in Sicilia l’espresso Bar è quasi sempre ristretto di suo, denso, di una cremosità unica. Il top dell’espresso secondo il mio gusto è quando apri la bustina dello zucchero, la versi sul caffè e rimane a galla per un po’ prima di affondare per depositarsi al fondo creando un piccolo cratere. Quello per me è epitomio di un ottimo espresso.
All’ Eoliana temevo di aver omesso quel “ristretto” e che perciò mi sarebbe arrivata la solita tazza stracolma di caffè blando. Errore: ricordate il giochino della bustina di zucchero? Bingo: era rimasto a galla.
Torniamo alla cassatina: il suo rivestimento era di pasta di mandorla e non certo di inutile, economica ed orrenda glassa di zucchero come mi era già capitato di dover osservare altrove. Poi al suo interno un pan di Spagna morbido, imbibito di liquore diluito all’acqua era della consistenza ideale: e non certo il biscotto che mi era toccato di dover assaggiare in precedenza in altri bar. La crema di ricotta: capitolo a parte.
Va da sè che tutta la pasticceria con ricotta, tanto in Sicilia quanto nel resto d’Italia, durante i mesi estivi sarà preparata con ricotta congelata; molto spesso già ” condita” di cioccolata e canditi. Insomma, ricotta di produzione industriale che serve a garantire la produzione di dolci tipici per dodici mesi all’anno. E’ infatti risaputo, specie tra i golosi, che la stagione della ricotta fresca va dall’8 di settembre a subito dopo la Pasqua. Dopo quel periodo il foraggio non è più di qualità, e la ricotta che si potrebbe ricavare da animali che si nutrono di foraggio scadente sarebbe poco gradevole. Non è un segreto per nessuno che l’estate sia off limits per la ricotta fresca. Quindi è prefettamente inutile, oltre che storicamente falso, che io stia a decantarvi quanto fresca e buona fosse quella crema di ricotta.
Posso però dire che esistono fornitori buoni e fornitori cattivi: l’ Eoliana sicuramente acquista la sua ricotta prelavorata presso un ottimo fornitore, non c’è alcun dubbio. Insomma, estremamente contenta di quanto avevo appena assaggiato non ho esitato a farmi confezionare un bel vassoietto di mignon da portare a casa.
I prezzi sono ovviamente in linea con lo standard milanese e con i venti euro pagati per il vassoietto di mignon a Palermo ne avrei acquistati più di un chilo: ma se vi trovate a passare da Via Ortica a Milano ed avete voglia un dolce siciliano come siete abituati a mangiarlo in Sicilia, allora la visita all’Eoliana è d’obbligo. Saranno soldi spesi bene.
Alessandra Verzera
I Valtellina – Milano
Il ristorante ha un che di confortevole, a patto che piacciano le cianfrusaglie ammassate qui e li: sembra di essere arrivati in casa di una nonna che nel corso della vita abbia collezionato di tutto. Ma a me questo piace: comprendo però che ad altri possa non piacere. La scelta di pranzare in giardino è stata però dettata dalla bella stagione: il menu era tuttavia inadatto ai 38 gradi climatici .
Della cucina valtellinese ho sempre apprezzato smodatamente i Pizzoccheri: eppure quella volta non ho osato. Il caldo di Milano in quei giorni lasciava senza fiato. La frescura che pensavamo di trovare in giardino si è tradotta in qualche misero sprazzo di conforto laddove soffiava un po’ di vento ogni quarto d’ora a darci qualche istante di illusoria tregua. Però l’atmosfera era assai bella, con il nostro tavolo sotto un pergolato di una verdezza quasi abbacinante, con un bel tovagliato e piatti personalizzati, così come i posacenere.
Già alla prima scorsa veloce mi rendo però conto che il menu è decisamente invernale: pesante, troppo ricco, grasso.
Non posso tuttavia esimermi dall’ordinare gli Sciat, un antipasto tipico della Valtellina costituito di frittelle di grano saraceno. Più che altro dei bignè fritti che, in quel caso, erano ripieni di formaggio: deliziosi.
A quelli si, non avrei rinunciato neppure con 50 gradi, tanto più che costituiscono una pietanza tradizionale.
Insieme ai miei Sciat arriva una sfilza di altri antipasti per gli altri commensali ( Foto nel titolo) : tutti “pizzichiamo” e barattiamo qualcosa scambiandoci impressioni.
Devo dire che tutti gli antipasti erano molto buoni, all’altezza delle aspettative. Ottimo il pane che li accompagnava , di segale e fatto a forma di ciambella.
Dopo avere incamerato migliaia di calorie sotto forma di palline fritte e assaggi di vari salumi e formaggi, decido di proseguire il pasto rimanendo “leggera”, ed ordino un filetto ai ferri, ben cotto: specificando il “ben cotto” ai limiti della paranoia, più e più volte. Ho enfatizzato quel grado di cottura come se quella fosse stata l’ultima fetta di filetto della mia vita, tanto che il cameriere mi guardava un po’ stranito. A quel punto mi è sembrato doveroso specificare che insistevo tanto perchè altre volte, benchè avessi chiesto un filetto ben cotto, mi avevano ammannito carne praticamente cruda, e volevo essere certa che l’episodio non si ripetesse.
Detto e fatto: arriva il mio filetto. Che grondava sangue.
Non ho avuto nè la voglia nè la forza di protestare, dato che nel frattempo essendo giunte le fatidiche “ore centrali” della giornata, la calura era diventata canicola e l’unica cosa che veramente desideravo era tornare a casa a rinchiudermi con un climatizzatore a manetta.
Il mio filetto rimane dunque intonso: giacchè i camerieri continuavano a sciamare su e giù per il giardino senza peritarsi di chiedermi cosa non andasse in quella carne, l’ho passata al commensale alla mia destra che apprezza le carni al sangue, e ho ricevuto in cambio delle patate al forno, accompagnamento di un galletto a quanto ho saputo poco saporito, dall’aspetto accattivante ma in realtà totalmente prive di gusto e di sapore. Ottima invece quella che io ho definito “la carne sulla nave vichinga”: un altro piatto della tradizione valtellinese che prevede l’uso di “bavaglini” – forniti tempestivamente dal locale con i camerieri che si adoperano per fissarli sui vestiti dei commensali – perchè quella carne, per le modalità con cui viene poi tagliata e mangiata – ha la tendenza a schizzare grasso in ogni dove. Era però veramente buona.
L’unica considerazione possibile, in quel momento, è stata che avendo ingurgitato una decina di Sciat e vari altri assaggi di qualunque altra cosa, potevo ritenermi ben satolla.E comunque rimaneva il dolce, capitolo per me irrinunciabile.
I dolci avevano tutti un aspetto gradevole, con una presentazione tutto sommato essenziale. Ma rimanevano comunque entro un modesto alveo di mediocrità: a tal proposito va ricordato che non è facile impressionare con i dolci un siciliano, ed infatti non sono rimasta affatto impressionata. Tuttavia i milanesi che pranzavano con me erano entusiasti. Non c’è dubbio comunque che a I Valtellina la cucina sia di buon livello, ancorchè – ripeto – pesante. Non c’è dubbio sul fatto che la materia prima sia di ottima qualità e che il decoro del locale ed il suo arredamento siano una cornice decisamente piacevole, ma la disattenzione del personale è imperdonabile: specialmente a
determinati livelli.Ricordate di quei soffi d’aria di cui accennavo prima? Bene, venivano si a confortarci da una calura estrema, ma portavano con sè afflati di cattivo odore insopportabile. Più prosaicamente puzza di fogna. Questo non è imputabile al ristorante dato che proprio davanti la loro porta c’era un cantiere con relativi scavi. Quello che però potrei imputare ai gestori del locale è il continuare ad usare il dehors pur in condizioni tanto sgradevoli: sarebbe bastato climatizzare a dovere l’interno e quel pranzo non sarebbe stato disturbato dall’odore di fognatura: che con 38 gradi potete ben immaginare di che entità fosse.Tutto considerato posso affermare che l’esperienza non è valsa il denaro speso (circa 70 euro a persona in media, compreso il vino) ma mi riservo di tornare in condizioni climatiche più clementi, nella speranza che nel frattempo il cantiere riesca ad ultimare i lavori. E che il personale abbia imparato un grammo di buone maniere.
Alessandra Verzera
Dieci famiglie su cento grandi consumatrici di formaggi Dop
Chi l’avrebbe mai immaginato? Due milioni e 300 mila famiglie italiane, pari al 10 per cento dei nuclei familiari, consumano quasi un terzo dei formaggi a denominazione protetta. Il dato è emerso a Bra (Cuneo) nel corso di “Cheese 2011”, dove è stato presentato uno studio realizzato da Ismea-Gfk-Eurisko. (A.Fi)
Prosegue il programma di internazionalizzazione dell’Istituto Regionale della Vite e del Vino
Con impegno notevole e soprattutto con azioni di marketing ben precise, il direttore dell’ente preposto alla valorizzazione del comparto vitivinicolo della Sicilia, Dario Cartabellotta, procede nella sua azione incessante di verifica dei mercati dove ci sono concrete possibilità di sbocco commerciale per i vini confezionati siciliani (Ni.Pa.)
Trattoria da Pino – Marsala – (Tp)
Chi scrive è un marsalese che conosce la Trattoria da Pino da almeno 35 anni, anche se la recente ristrutturazione ha modificato l’arredamento (in meglio). Tale premessa è necessaria per dire che potrei raccontare di avere gustato da Pino piatti incredibili ed avere avuto esperienze gastronomiche inimmaginabili, ma è meglio cominiciare tutto presentando il suo titolare (Ni.Pa.)
Nino Filosa, di origini napoletane è il sessantenne titolare della trattoria, ma ne è anche l’approvvigionatore di materie prime e – soprattutto -il buyer del pesce. Quest’ultimo viene selezionato tutte le mattine visitando non solo le principali pescherie marsalesi, ma anche dopo un giretto fuoriporta nel lungomare, dove spesso ci sono i pescatori dilettanti che riescono a scovare prede straordinarie. Tra i miei ricordi, una triglia verde da quasi un chilo, che fu cotta alla piastra ed era una meraviglia a vedersi oltre che freschissima.
Una volta Nino Filosa mi propose un astice che pesava oltre sette chili, era stato pescato nei pressi di Favignana ed aveva solo una chela, ma di dimensioni gigantesche. Insomma, la regola non è solo che il pesce sia fresco, ma sia anche particolare per dimensioni: a proposito da non dimenticare le fritturine di trigliette, sempre più rare, ma sempre pregiatissime.
Altra regola che vige nella trattoria da Pino è la stagionalità: ora è l’epoca del tonno fresco, che viene proposto in tutte le sue varienti più esaltanti: quindi carpaccio di tonno, tonno alla brace, sugo di tonno con aglio e menta, etc. L’avventore prima di cimentarsi con queste pietanze deve pero’ riuscire a superare un passaggio obbligato: il tavolo degli antipasti. Immaginate tutte le bontà e le delikatessen marsalesi cucinate seguendo la tradizione gastronomica locale: polipo lesso, lumache di mare bollite (vuccuni), insalata alla marsalese con cipolla, pomodoro e patate, melenzane impanate e fritte, ovvero cotte alla brace con aglio, caponate di tutti i tipi, etc.
Non ci sentiamo di chiudere senza ricordarvi di chiedere come primo piatto un assaggino di busiate fatte a casa allo scoglio oppure fettuccine con gamberi e vongole, ovvero gli spaghetti con i ricci di mare alla Pino, oppure ancora al nero di seppia. Il primo piatto forte della Casa rimane la Pasta con l’aragosta: trattasi di spaghetti spezzati cotti nel brodo di aragosta e presentati a zuppa con l’astice scelto a pezzettoni in bella vista.
Ricca la carta dei vini, quasi tutti siciliani, e notevole la proposta dei dessert, dove trionfa la cassata siciliana: i vini da abbinare ai dolci sono sempre offerti dalla casa. Il conto varia da 25 a 35 Euro, secondo il pesce consumato, raramente si va oltre.
Nino Panicola