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Nicchie palermitane : Enoteca Zangaloro

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L’Enoteca di Demetrio Zangaloro è uno scrigno carico di sentori e  di belle etichette, ma anche di simpatiche sorprese di gusto: piccoli e selezionati servizi, accessori per il bere e complementi originali. La sua “scoperta” patisce un po’ la supremazia del banco salumi e formaggi ed anche di quella delle carni: passaggi obbligati prima di poter accedere a quell’antro di..vino (A.Ve.)

 

Calamari alla Catanese

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Buoni sempre: fritti, con il misto di gamberi, innaffiati  con il succo di limone. O anche arrostiti, o alla brace. Ma squisiti ripieni. Nella ricetta di Angela Calcaterra un modo per realizzarli, ed assicurarsi un successo in tavola ( Foto: Claudio Frasca)

Relais Baglio di Pianetto – Santa Cristina Gela –

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pianettoQuando arriviamo al Baglio di Pianetto ad accoglierci c’è  Ginevra Notarbartolo di Villarosa. A non conoscerne il nome e a non conoscere i rudimenti della storia patria, i nobili natali di questa bella  e spigliata giovane donna dallo sguardo smeraldino, li avremmo comunque  intuiti dal suo modo di accomodarsi sul sofa: gambe unite, non accavallate, busto eretto e mani sovrapposte sul grembo.

Un po’ come si vede nei ritratti di certe dimore, ed un po’ come certi nonni ci tenevano ferreamente ad insegnare ai nipotini. Per il resto Ginevra è una donna che vive pienamente nel suo tempo: cordiale ed estroversa, entusiasta di condurci attraverso le tenute di famiglia e di mostrarci tutto con grande trasporto.

Divisa tra il modaiolo frastuono di Milano e l’anacronistica quiete di Santa Cristina Gela, Ginevra Notarbartolo è l’archetipo della donna che gestisce con polso quello che una ricca storia familiare le ha consegnato in custodia: tanto più facile sarebbe demandare ad altri ciò di cui invece è lei stessa a farsi carico, specchio di una gioventù  privilegiata di sicuro, ma anche sana e laboriosa. E’ una bella giornata di sole quando lasciamo Palermo alla volta di Santa Cristina Gela, ad un tiro di schioppo da Piana degli Albanesi . Su, in località Pianetto,l’atmosfera è idilliaca e il cielo mutevole, così come gli scenari siciliani: così diversi tra coste ed entroterra, ma tutti parimenti affascinanti.  I profumi della terra siciliana sono inebrianti ed addittivi da sempre: da quando Goethe se ne innamorò comunicando questo suo amore a tutto il mondo, esaltando gli agrumi e i gelsomini, così come i pini e gli afrori salmastri delle coste .

Le Araucarie creano una barriera naturale tra L’Agrirelais Baglio di Pianetto e i vigneti dabbasso. Due mondi uniti dallo stesso amore per quella terra, ma al contempo distanti, che si guardano con discrezione,senza “spiarsi”. Intorno null’altro: il verde dei campi e dei vigneti si perde a vista d’occhio ed il silenzio è di quelli raramente ascoltati prima. Piccolo aneddoto sul nostro arrivo: incerti se visitare prima il resort o le cantine siamo andati ovviamente nel posto sbagliato, ovvero le cantine. Nella misura in cui Ginevra ci stava attendendo al resort l’abbiamo chiamata al telefono per avvertirla del nostro arrivo. Lei era già sulla strada verso le cantine e, sebbene stesse parlando al telefono con l’editore, io che ero spostata di alcuni passi, ne sentivo la voce dal vivo, trasportata dal silenzio della valle. Piuttosto che telefonare dunque sarebbe bastato chiamarla per nome, facendo “imbuto” con i palmi delle mani davanti la bocca. Questa idea di silenzio, di eco, poco ormai ci appartiene ed è un magnifico stupore ritrovare, di quando in quando.

Sulla bocca di Ginevra torna ricorrente una parola : “nonna”. Della nonna, Florence Daniel consorte del conte Paolo Marzotto e dunque madre di Veronica – a sua volta mamma di Ginevra –  i superbi rosai, o il recupero di maioliche ed altri reperti d’epoca che ora fanno bella mostra di sé nell’ampio “carraio” che conduce al’interno della proprietà; adesso ad esclusivo uso pedonale; come pure la scelta di arredamenti Art Deco compiuta con pazienza girando per mercati di antiquariato. Fa una certa impressione trovare nell’immensità quieta del posto una ragazza, sostanzialmente da sola : lo sottolineo e lei mi spiega che da sola ci sta in effetti ben poco. In quel momento infatti la struttura è in attesa di una folta delegazione di giornalisti esteri. Faccio mente locale sul fatto che il Baglio di Pianetto è un resort di lusso, a dispetto del fatto che sembri una dimora privata,e  che quindi l’andirivieni di un certo tipo di turista la anima molto più spesso di quanto si sia portati ad immaginare.

Penso subito che mi piacerebbe trascorrere in quella pace alcuni giorni, fermo restando il fatto che occorre comunque avere la macchina tanto più che, per quanto ci si sposti nelle immediate vicinanze, non si incapperà mai in ondate di traffico insostenibile né in cortei di scioperanti: Palermo con le sue bellezze ma anche con i suoi clamori e i suoi frastuoni, è a distanza di sicurezza, ed i piccoli comuni jatini garantiscono una vacanza a misura d’uomo spostata indietro nel tempo di qualche decennio. Palazzo Adriano, Contessa Entellina, Misilmeri e la stessa Piana degli Albanesi offrono sé stesse per ciò che sono: luoghi dell’entroterra siciliano che sono rimasti, per fortuna, uguali a sé stessi. Dove permane una certa tradizione, un certo culto per le cose fatte in un certo modo. Più avanti, in questo capitolo dedicato a questo comprensorio, si parlerà di pane, formaggio e  cannoli: ed il quadro si arricchirà dei colori sani di un agroalimentare “conservativo”.

Mi piace molto questo resort, arredato con gusto ma senza sfarzo, dalle camere ampie di cui alcune vestono i colori evocativi di vigne e vini rossi di qualità, e dai bagni davvero spettacolari. Parlare dei bagni potrebbe a prima vista sembrare riduttivo e forse, in qualche misura, anche mortificante. Ed invece no, non è affatto così. Il mio imperativo categorico, quando sono in vacanza, è che ovunque io vada ne debba poi  essere valsa la pena: ovvero, devo stare meglio che a casa mia. E spesso i bagni anche degli hotel più lussuosi segnano la nota negativa dei tanti viaggi lunghi o brevi che ci piace fare. Ricordo ancora dopo molti anni  ed  immutato orrore un bagno parigino di un lussuosissimo hotel della capitale francese, dove ci si incastrava a malapena e dal quale non si vedeva l’ora di fuggire via: è risaputo invece che una sosta prolungata nella salle de bain è un momento altissimo ed impagabile di auto indulgenza.

I bagni di questo resort sono magnifici.  Doppi lavabi ed ampi ripiani su cui appoggiare le mille cose più o meno inutili che noi donne, molto più degli uomini, ci trasciniamo dietro ovunque e foss’anche solo per un week end : creme, flaconi, profumi, cosmetici, batuffoli , lime, pinze, lozioni ed una congerie di spazzole, e chi più ne ha più ne metta. Ma di solito non si sa appunto dove metterli. Et voila, al Baglio di Pianetto trovano tutti felicissima collocazione. Ampie e luminose anche le camere con generosi balconi, comodi disimpegni e funzionali armadiature.  C’è un “quid” di internazionalità negli allestimenti delle camere, che stanno a metà tra il coloniale americano ed il provenzale francese, ed anche nella definizione e nella distribuzione degli spazi. Mi pare anche di vedere che il letto aggiunto in alcune camere abbia la connotazione del “day bed”, tipicamente americano. Poi ripasso mentalmente un paio di nozioni e comprendo: nella famiglia di Ginevra convivono felicemente tante origini e tante provenienze. Ed eccole qui, tutte raggruppate sotto lo stesso tetto.

Il Relais di Baglio Pianetto non è per tutti, ed il target è medio alto. Vivamente sconsigliato a famiglie con bambini piccoli, ai giovanissimi o a gruppi di comitive del fine settimana,  ma abbondantemente consigliato a chi sappia apprezzare la lettura serena di un buon libro al bordo di una piscina di dimensioni quasi olimpioniche ma dalla forma evocativa di un abbeveratoio.

 Al  Baglio di Pianetto, inserito nel prestigioso circuito “Relais du Silence”,  esiste il servizio di ristorazione e catering, gestito da un giovane e  bravissimo chef veneto pugliese e sia all’interno delle sale che all’esterno è possibile organizzare cerimonie per un numero di ospiti che non sia però superiore alle duecento unità.

Alessandra Verzera

 

Baglio di Pianetto, scommessa vinta (M.Ma.)

A 650 metri s.l.m., 88 ettari – di cui 65 in produzione e 10 in reimpianto – situato nel comune di Santa Cristina Gela, 20 km a sud di Palermo, nella zona DOC Monreale, sorge Pianetto, luogo ideale per la coltivazione delle uve destinate a vini di qualità, considerata l’ottimale collocazione pedoclimatica.

70 ettari di cui 39 vitati a 50 metri s.l.m. sono a Noto a 5 km da Capo Passero. Siamo nella DOC Noto dove il clima ed il terreno sono gli habitat ideali per il Nero d’avola ed il Moscato di Noto. La grande avventura della Baglio di Pianetto decolla nel 1997 e nasce dalla passione e dalla tenacia del Conte Paolo Marzotto che trasforma una realtà di punta in una cantina di riferimento, coniugando valori della tradizione e stile familiare. Una creatività imprenditoriale che ha celebrato agli onori della cronaca i vini Baglio di Pianetto in Italia e nel mondo con plurime menzioni sulle più prestigiose guide come Vini d’Italia, Vini di Veronelli, Gambero Rosso, WineSpectator e Decanter.

(Foto: Ginevra Notarbartolo accanto ad una parte della produzione)

L’obiettivo? Contribuire allo sviluppo dei vini di qualità Siciliani valorizzando le cultivar autoctone esaltandone la struttura e la finezza. Il tutto facendo attenzione alla protezione dell’ambiente come ad esempio con l’impianto fotovoltaico con il quale evita ogni anno di immettere nell’ambiente oltre 184.000 kg di CO2, con il riciclo dell’acqua, con la raccolta differenziata e con l’agricoltura sostenibile.

 

Baglio di Pianetto produce Insolia, Viognier, Moscato di Noto per i bianchi, Nero d’Avola, Syrah, Merlot e Petit Verdot per i rossi. Carduni, Cembali, Ramione e Ficiligno alcuni dei prodotti rappresentativi dell’azienda.

Marcello Malta

(Membro Ais )

Agriturismo Valle Himara – Turismo rurale

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himaraQuello che magari il mondo non sa è che, a fronte di quanto di negativo abbiamo sin qui evidenziato, esistono però nuclei familiari da “Mulino Bianco” e che noi ne abbiamo trovato uno di cui ho voglia di raccontarvi. Padre, madre e due figli: una bella famiglia sana e solida che gestisce un bell’agriturismo nella zona di Piana degli Albanesi (A.Ve.)

Mi colpisce immediatamente un giovane: bello, chiaro di occhi e di pelle, magro e rapido come una scheggia. In pochi attimi il nostro tavolo è apparecchiato al meglio di quanto ci si aspetti in un agriturismo. Ci “racconta” il menu e tra una cosa e l’altra ci dice di essere un musicista: ha un gruppo musicale con cui ha da poco inciso un cd di canti in lingua mista italo albanese. Penso a quei gruppi che si divertono in cantina, e invece no: il cd porta l’etichetta della Feltrinelli.A qualche passo di distanza una donna lo guarda con orgoglio e sorride: sembrerebbe la sorella ma è invece la mamma, e del resto i due sono identici. Ordiniamo le nostre pietanze apprezzando il fatto che, in perfetto conflitto con i propri interessi, il giovane ci dice che sarà meglio ordinare una sola portata dopo gli antipasti : lo chef, Gabriele Guddo, è alquanto generoso per quanto riguarda le porzioni.

Dunque o il primo o il secondo, dato che gli antipasti sono una quindicina e sono piuttosto “robusti”. Saltiamo a malincuore il primo e puntiamo sui secondi. Nel frattempo ci consiglia il vino e scegliamo un rosso Syrah ed un bianco Catarratto. E così lui ci spiega e ci racconta la storia di quei vini e della cantina che li produce e che si trova in quel territorio: ci sta raccontando una storia che abbiamo vissuto soltanto un’ora prima, e cioè la storia del Baglio di Pianetto.

Io, che leggo segnali ovunque, penso che quello sia un segno di felice continuità – un bel trait d’union –  e che quei luoghi ci vogliano bene. La qualità di quello che abbiamo poi mangiato ha confermato questa mia impressione. Ottimi ed effettivamente robusti gli antipasti tra cui spiccano, per gusto e piacevolezza, la peperonata piccante, il pecorino in crosta di pepe – squisito e tipico del territorio – la delicatissima caponata e la frittura di cavolfiore in pastella. Ma anche un’insalatina di arance, finocchi e carota: anch’essa tipica della zona. Altro capitolo: il pane di Piana degli Albanesi che, in quanto a fama, se la batte giorno per giorno con quella dei cannoli. Il Pane di Piana, ne rimango convinta, costituisce pasto a sé in quanto tale: io personalmente non smetterei mai di mangiarne.

I nostri secondi sono di carne: filetto d’Angus alla griglia per l’editore e sicilianissimi involtini di vitello per me. A contorno di entrambi i piatti letteralmente una valanga di patate al forno, più che ottime. L’Angus è semplice, senza salse né escamotages particolari: e proprio per questo se ne apprezza la buona qualità, che è totalmente esposta al palato in attesa. I miei involtini sono una piccola poesia: la farcia è di una bontà unica perché c’è dentro anche un po’ di quel pecorino in crosta di pepe di cui prima. Ciò conferisce alla preparazione un gusto eccellente.

Sono proprio buoni, ben grigliati e con un’ottima panatura. Hanno un solo difetto: sono quattro, laddove due già sarebbero sufficienti dato che sono di dimensione considerevole. Ma il mio “boccone del Re” rimane sempre il dessert: e dunque arrivano un parfait di mandorle con ganache di cioccolata, meringa e biscottino di frolla, ed un vassoietto con cialde al pistacchio e pastine di mandorla. Tutto buono davvero. Il nostro pasto si conclude con caffè ed amaro ed il conto, che comprende antipasti, secondi, dessert, due bottiglie di vino, due di acqua minerale, caffè e liquore, ammonta a 20.00 euro a testa. Se avessimo ordinato anche i primi avremmo pagato 25.00 euro a testa: solo che avrebbero poi dovuto tirarci via dalle sedie con un pick up, visto che le porzioni sono extra large. Il posto è bello, fresco, operativo da un anno e mezzo. E’ ben rifinito e la qualità del cibo, unita all’attenzione della proprietà ed al servizio puntuale e svelto, ne fanno un posto da prendere assolutamente in considerazione tanto più che, a breve, sarà costruita anche una bella piscina che al momento manca. A quel punto decido che sono curiosa di vedere le camere: ed è qui che entra in gioco il capofamiglia. Mentre ci racconta della sua famiglia e di questa loro impresa familiare, ci conduce per i corridoi di questa struttura che al momento dispone di dieci camere doppie ma che arriverà a venti nel prossimo futuro.

Altro stupore: le camere sono enormi e bene arredate, servite di aria condizionata. Sul balcone c’è persino il dondolo ed i bagni sono di comode dimensioni e a tinte fresche e luminose. Le porte sono di ottima qualità ed i corridoi color vaniglia sono resi caldi da un’illuminazione alogena a spot. Mentre andiamo via discutiamo sull’operosità e sulla gentilezza di certe persone e sulla loro volontà di valorizzare il territorio a costo di sacrifici fisici ed economici. Discutiamo sulla sana laboriosità di certa gioventù che ama la propria terra e la propria famiglia, che potrebbe andar via da una realtà piuttosto ristretta ma che invece non lo fa, rimanendovi attaccato con amore e con tenacia.  Discutiamo della volontà di creare qualità in quella che diversamente sarebbe solo una landa desolata. E mi vengono in mente due cose: la prima, che siamo arrivati in quel posto per sbaglio, visto che ci era stato indicato un altro ristorante che però non abbiamo trovato. La seconda, quella signora milanese: “maledetti voi che fate scempio di questi doni immensi ”. Sarebbe contenta di vedere che c’è invece chi, come questa famiglia, fa tesoro dei semplici doni della propria terra.

 

Alessandra Verzera

Piana degli Albanesi – Hora e Arbëreshëvet

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La nostra scorribanda in territorio di Piana degli Albanesi ci lascia a tratti senza parole. E’ infatti difficile pensare che, in questo scenario simile ad un panorama prealpino, ci sia il mare solo ad una manciata  di chilometri di distanza. Ed è difficile pensare che le conifere e le betulle si trasformino poco alla volta in altissime palme e macchie di Bougainville rosso carminio (A.Ve.)

A Favignana fu mattanza, ma da due anni non è più

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faviOrmai è storia quella che giace all’ombra di un porticciolo turistico ove attraccano imbarcazioni di lusso, piccoli yacht, vele, bagnarole fantasiose e barchette intrise dell’odor di pesce. Lasciato l’ormeggio trapanese ci si spinge per poche miglia in mare, tali da poter essere contate sulla punta delle dita, e scorta la Formica  – la più piccola delle Egadi – osservati i bianchi gabbiani nidificare sullo scoglio di Maraone, la rotta viene indirizzata a Favignana ed a quell’isola maggiore.

Sull’arcipelago delle Egadi soffia il caldo vento Favonio, da qui il nome della maggiore di quelle sorelle, il timone prende onda e il mare rispecchia il riflesso di tutti i popoli passati nel tentativo di conquistare le petrose coste, crocevia di un Mediterraneo in continua evoluzione.

È stata paragonata ad una grande farfalla sul mare, per via della sua forma raffigurante la magnificenza di un volo ad ali spiegate, Favignana appartiene alla A.M.P. (area marino protetta istituita con D.M. nel Dicembre 1991) ed oggi è meta di turisti, ed è oggetto di molteplici interessi: dalla vela, complici i venti che spirano incessanti, alla pasca sportiva, la pesca professionale, la balneazione, le immersioni e la cucina di mare fatta di sapori unici come gli spaghetti con i ricci, il cous cous di pesce, la bottarga di tonno e tutta la fantasia che un buon pescato concede al lusso d’un palato d’appagare. E come ogni perla in mare che si rispetti, Favignana ha fondato la sua ricchezza su poche piccole certezze: l’agricoltura, la pesca, le cave di tufo ed oggi il turismo. Il tufo rappresenta il passato dell’isola, raccolto ed esportato in tutta la Sicilia e nel Nord Africa. La pesca invece è argomento sempre attuale eppure lungamente discusso quando la più grande attrattiva, la mattanza, non ha più luogo ed ancora se ne avverte eco.

 Già apartire dalla metà dell’800, l’isola lega la sua prosperità alla famiglia Florio che spinge per la costruzione della tonnara. Il tonno diviene ricchezza e simbolo dell’isola. Questa porzione di mare rappresenta un luogo ideale per la procreazione di questi pesci così, tra la metà di Maggio e l’inizio di Giugno, lungo le coste settentrionali della Sicilia passa il corteo dei tonni. In branco sfilano davanti le reti che formano una sorta di muro, labile e tenue eppure, per i tonni, dall’aspetto invalicabile. Questi grandi pesci vengono incanalati verso quella che viene definita la camera della morte. I tonnaroti, capitanati dal Rais, procedono nella perpetrazione di quella antica arte di una lotta in mare, lotta per la sopravvivenza, la prevaricazione di una specie su ogni frutto delle natura. Tra preghiere propiziatorie, canti e nenie, le reti vengono issate dai pescatori fin quando i tonni fuoriescono piano dall’acqua in un macabro gioco di guizzi e spruzzi, di acqua e sangue. La camera della morte diviene un “coppo”, una leva che issa i tonni verso la superficie del mare lasciandoli dibattere come schegge impazzite, lasciandoli provare quel tentativo di una via di fuga che serve solo a spossarli ancor di più. E in questo momento i tonnaroti pronti fendono i loro arpioni in un massacrante finale mozzafiato. Un ritorno alle origini più cruente dell’esistenza non solo umana: il forte che prevarica il più debole, la necessità di nutrirsi che impone parti da recitare tra il predatore e il predato. Ma non è forse naturale? La vita dei tonni si spegne e scolora il mare di quell’azzurro cristallino e limpido. Di rosso purpureo, non più adamantine, si tingono le acque dove i tonnaroti terminano il rito, taluni intorno elle prede disfatte e taluni gettandosi tra quel quadrato di mare assetato di vita.

Un tempo non troppo passato i tonni venivano trasportati alla tonnara e lavorati, poi venduti in parti, preziose stille di pietanze in divenire. Ma il tonno ormai appare come merce rara, non v’è più l’abbondanza di un tempo eppure a Favignana si è vissuto di questo così a lungo da narrare oggi la leggenda di quel rito. Da due anni non si fa più, la mattanza si chiude dentro i capitoli sgualciti di una storia a raccontare. Non è più dunque e in parte ciò è dovuto all’inquinamento che non ha risparmiato quelle linde coste, parte alla voracità orientale che vede i fratelli giapponesi calare reti a catturare i pesci ancor prima del loro arrivo in quelle insenature naturali.

E poi il turismo, le navi, il rumore delle eliche e tutto svanisce come i guizzi selvaggi di quelle pinne argentee che d’un tratto smettono di agitarsi mentre la vita scivola via… e via scivola anche una tradizione millenaria. È giusto piegarsi a tale evoluzione? O sarebbe forse il caso di chiamarla involuzione? E di Gaia, madre terra, avvertiamo spasimi di dolore.

 

Tiziana Nicoletti

Il menù di Petru Fudduni: uova a stricasali, pani e tumazzu ca racina

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Questa volta ci imbattiamo in un personaggio davvero originale ma, allo stesso tempo assai curioso. Ricco di sfaccettature e di quell’alone di mistero simile all’utilizzo del sale per le pietanze: qb (quanto basta). Si tratta di Petru Fudduni che incontriamo al mercato del Capo di Palermo. Nostro complice è il Cieco di Spaccaforno poeta vernacolare, acerrimo suo amico-nemico che “duella” a colpi di versi e saggezza, ma meno fortunato perché non è mai stato ammesso a frequentare l’Accademia dei Riaccesi. (A.Fi.)

 

 

Troviamo Petru Fudduni all’angolo d’una cantunera (traversa) a recitare poesie, le sue originali poesie, i suoi famosi “duelli in versi” ad una giovane del quartiere e ad un anziano che gli si avvicina quasi a volergli  “rubare” dalla bocca quartine e ottava. Notiano, nel frattempo, anche l’arrivo di Piergiuseppe Sanclemente, alias Giuseppe Galeani, medico molto noto a Palermo che ha spifferato un giudizio poco lusinghiero su Petru Fudduni: “Egli non ha in tutta l’età sua studiato giammai cosa alcuna, o di umanità, o di scienze, per essere stato forzato ad accompagnare la tenuità della sua nascita, e della sua fortuna con esercizi affatto lontano dagli studi, maneggiando invece di penna la bipenne. E pure l’ha dotato la Natura di memoria così grande, di facilità, e prontezza di vena così inesausta, e d’ingegno così spiritoso, e fecondo, che nulla sapendo più, che mediocremente leggere, e scrivere, ha composto infinite rime in lingua siciliana, nelle quali si vede una franchezza di stile ammirabile, una sonorità di metro incredibile e una altezza di concetto, che in persona di un semplice idiota son di stupore a tutti, e son d’invidia a molti che gravidi di scienza non arrivano a lui”.

Però è assai curioso come il Cieco di Spaccaforno ci ricordi un aneddoto capitato al poeta palermitano. Ce lo racconta così come lo ha avuto narrato qualche tempo prima. Anzi quando viene a conoscenza che scriviamo per “Scelte di Gusto”, l’aneddoto cade come si suole dire in questi casi, a fagiolo. “A sapiri che un tizio un giorno incontrandolo, forse era a Marina gli domandò: Qual’è ‘u megghiu muccuni? E Fudduni rispose all’istante: “L’ovu”. Il tizio se ne andò per la sua strada e sembra che qualche tempo dopo s’incontrò ancora una volta con Petru Fudduni e gli disse: “Cu chi”? e candidamente u pueta rispose “Bestia ca sì, cu sali”. Il Cieco di Spaccaforno, prima di farci incontrare con il l’ex tagliapietre ci dà un consiglio: “Un parrari in italianu, Fudduni capisci sulu u sicilianu”.

Fiasconaro: Zu Petru, comu iamu? Comi sta?

Fudduni: “E comu a stari, come chiddi c’aspettani di moriri. Sugnu stancu. A lingua mi sta siccannu. A parratu troppi na ma vita. Ora mi vogghiu ripusari”.

Fiasconaro: Parramu picca, allura. Mi dicissi na cosa, ma lei cosa mancia di solitu?

Fudduni: “Mi sta pigghiannu pu culu? Sta babbiannu? Di soluti manciu acqua e puisia. Puisia e acqua. Cosa nun manciu ci pozzu cuntari. A matina quannu mi susu du jazzu mi pigghiu un bacileddu di latti di crapa e un pezzu di pani duru. A mezziornu manciu unni mi capita: o Capu, a Vucciria, a Baddarò, a Marina. Un uovu a stricasali, pani e tumazzu, accompagnatu ca racina. Poi se quarchi anima gintili mi fa manciari giustu, ma nun succeri sempri, una fedda di carni arrustuta a tastu. Sapissi com’è duci?  Comu zuccarui e u meli”.

Fiasconaro: Mi scusassi ancora, ma lei virdura ni mancia?

Fudduni: “Eccomu sinni manciu. Mi piaciuni i carduna, i qualazzi, i sinapi. Inzummi virdura pi cu avi u stomacu di ferru comu l’hai iu”.

Fiasconaro: Mi livassi natra curiosità, ma lei comu dicuni chianu chianu, è accussi veramenti camurrusu?

Fudduni: “Ma lei pi me gusti sta parranni assai. A voli sapire na cosa? I paroli sani a dusari. Si parra sulu qunnu piscia a sciocca. Capisti? Quindi, quanni parri cu cchicchesia, misura sempri i paroli”.

Fiasconaro: E’ veru chi lei addumanna l’elemosina pi manciari davanti u Palazzi Arcivescuvili? E’ veru che duellò cu viscuvu, quanni ci dissi che “Povira e minnica è la scienza” e gli diede un pezzu di pani… Stu episodiu mu cuntò l’orbu di Spaccafornu

Fudduni: “U Spaccafarnu è na cosa inutili. Un si fa mai i cazzi sua. E’ veru addumannai u pani o viscuvu e ci rispunniu: eh cara Eminenza veru è, ma avi a sapiri ca di russa va vistuta l’ignuranza…”.

Fiasconaro: Zu Petru, u supi che ora a scola s’insigna puri u sicilianu?

Fudduni: “U sicilianu, beddu miu, s’impara menza a strada. Insignatillu. A scola è fatta pi autri cosi”.

Antonio Fiasconaro

Ristorazione, cinque aziende siciliane conquistano Chicago

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formaggiCinque aziende agroalimentari siciliane hanno preso per la gola gli americani di Chicago partecipando dal 21 al 24 maggio all’Nra Show 2011, la National Restaurant Association, la fiera internazionale aperta soprattutto alle catene di ristorazione e alla ristorazione di qualità, alla ricerca continua di prodotti sani, naturali e certificati per i palati più esigenti.

 

Le cinque aziende, quattro del Trapanese ed una del Palermitano, hanno messo in vetrina, presso lo stand riservato alla Regione Siciliana del McCormick Place di Chicago (Illinois), olio extravergine d’oliva e le conserve siciliane. All’importante network mondiale hanno preso parte complessivamente 2.011 aziende in rappresentanza di 100 paesi di tutto il mondo che, ogni anno, si danno appuntamento in questa vetrina internazionale del buongusto.

 

Alla conquista dell’America quest’anno si sono lanciate la Campo d’Oro, rinomata azienda di conserve a confine tra le province di Trapani ed Agrigento; l’Azienda Agricola Fontanasalsa di Trapani, come della stessa provincia figurano pure l’Azienda Agricola Sanacore, il Frantoio Torre di Mezzo e l’Azienda Agricola Tornisia di Castelbuono, in provincia di Palermo, tutte produttrici di olio extravergine d’oliva di alta qualità. Questa iniziativa rientra tra quelle previste da Agrisicily, il programma di internazionalizzazione dedicato alle aziende agroalimentari e portato avanti dall’Assessorato alle Attività Produttive della Regione Siciliana e dalla Camera di Commercio di Trapani grazie ai fondi del Po Fesr 2007-2013, che mira a prendere per la gola i potenziali buyer internazionali per l’incoming che si terrà nel mese di settembre in Sicilia con compratori, importatori e tour operator indiani, russi e americani.

Il progetto complessivamente coinvolge 19 aziende tra Trapani e Palermo specializzate oltre che nella produzione di vino, olio e conserve, anche in distillati, prodotti dolciari, capperi, e pacchetti turistici con attenzione particolare all’enogastronomia. Questo l’elenco completo: Abate Vini; Azienda Agricola Lombardo; Bonomo e Giglio; Casano; Campodoro; Dimensione Sicilia; Distilleria Bianchi; Eocene srl; F.lli Lombardo; Fazio wines; Fontana Salsa; Frantoio Torre di Mezzo; Nero Pantelleria; Olio Barbera; Sanacore; Sicilgel, Stramondo; Sudgel; Tornisia.

 “Si tratta – ha sottolineato il presidente della Camera di Commercio Giuseppe Pace – del terzo step del progetto che punta a consolidare le esportazioni dei prodotti locali sui mercati esteri”.

Tra gennaio e febbraio scorso, i prodotti siciliani hanno fatto già  bella mostra di sè in India, al Taste 2011 di Mumbai, e in Russia, alla Prodexpo di Mosca. Adesso con l’NRA Show la Camera di Commercio trapanese conta non solo di penetrare nel mercato della ristorazione ma di acquisire nuovi buyer. Le premesse sono buone. “Nel 2010 – aggiunge ancora Pace – il lavoro di promozione all’estero e’ stato premiato e le esportazioni nonostante la crisi mondiale sono tornate a salire. Gli Stati Uniti, inoltre, rappresentano uno dei mercati di espansione per le imprese agroalimentari e gia’ oggi gli Usa sono il primo paese d’importazione dell’olio trapanese (con oltre 6 milioni di euro di prodotto venduto)”.

Antonio Fiasconaro

 

 

 

Preparate le papille! Firenze capitale mondiale del gelato.

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gelatoLo slogan è davvero accattivante: “Preparate le papille!”. Da sempre, però, c’è stata la rivalità per la paternità del gelato tra Firenze e Palermo. Da sempre il capoluogo toscano e quello siciliano hanno fatto la “guerra”, in senso metaforico, s’intende, per conquistare il privilegio di essere stati i primi al mondo ad inventare il gelato.

C’è sempre stata la rivalità tra il pollivendolo fiorentino e cuoco a tempo perso, Ruggeri, tanto osannato da Caterina de’ Medici perchè preparò un dolcetto-gelato che poi divenne vanto della cucina toscana ed il cuoco palermitano, Francesco Procopio dei Coltelli e del suo Cafè Procope di Parigi, che inventò e diffuse in tutto il mondo le creme fredde, le “granite” alla frutta. Pur tuttavia la sana rivalità tra Firenze e Palermo, c’è da sottolineare che il capoluogo toscano ha sempre primeggiato, rispetto a quello siciliano, per aver dato vita al Gelato Festival. Dal Rinascimento al tempo dei Lumi, insomma il “re” gelato è un prodotto esclusivamente italiano, a parte il campanilismo. Dopo il successo ottenuto l’anno scorso, nel corso della prima edizione, anche quest’anno dal 25 al 29 maggio sbarca in Oltrarno il “Firenze Gelato Festival 2011”.

 Nella passata stagione, stando alle statistiche diffuse dagli organizzatori, furono oltre 400 mila coloro i quali assaggiarono i gusti proposti dai gelatieri fiorentini. Quest’anno il Villaggio Artigianale sarà allestito in Piazza Pitti. Ai laboratori a vista, dove i gelatieri in arrivo da tutta Italia, prepareranno i loro gusti e si alterneranno per produrre le golosità, e agli stand per le degustazioni farà da cornice uno dei palazzi più belli e famosi della città, residenza dei Medici che si apre sul Giardino di Boboli. Il Villaggio Industriale, invece, si conferma nella preziosa scenografia di Piazza della Repubblica, nel cuore della città, a metà strada fra Palazzo Vecchio e Piazza del Duomo e raggiungibile da Piazza Pitti con una piacevole passeggiata sul Ponte Vecchio.

Oltre 50 i gelatieri coinvolti che lavoreranno in diretta per il pubblico in laboratori a vista. Protagonisti del prodotto ghiacciato più goloso creato a Firenze ai tempi dei Medici non solo i maestri gelatieri fiorentini ma anche torinesi, milanesi, salernitani e siciliani, oltre che pisani e aretini. Saranno presenti anche i Gelatieri Associati del Triveneto. Al centro della manifestazione le creazioni dei migliori gelatieri fiorentini e italiani che lavoreranno sotto gli occhi del pubblico del Festival per far scoprire i segreti di un prodotto 100% Made in Italy, oltre ad un calendario ricco di eventi per tutti i gusti. Tra le novità una Gelatocard ricaricabile, una nuova piazza da trasformare in villaggio artigianale del gelato, in vetrina le frontiere più innovative del dolce ghiacciato e un percorso tra le gelaterie ancora più ricco. Provare per credere!

NUMERI & CURIOSITA’

Secondo l’elaborazione Sigep su dati Acomag-Aiipa-Confartigianato-Unioncamere, le tonnellate di gelato artigianale consumate annualmente in Italia si assestano attorno alle 360.000 e, soprattutto, il giro d’affari nella gelateria artigianale italiana è di 2,5 miliardi di euro. Su base nazionale si ripete l’aumento delle imprese registrate nella categoria gelaterie e pasticcerie: dal 31 dicembre 2009 al 31 dicembre 2010, le imprese passano da 18.688 a 19.386 e le unità locali o punti vendita crescono di quasi 1000 unità, per la precisione di 998, passando da 22.588 a 23.586. L’IGI (Istituto del gelato italiano) rileva che nel primo trimestre 2011 si è registrato un aumento dei volumi del consumo di gelato dell’1,1% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Per quanto riguarda il 2010, invece, a livello assoluto i quantitativi pro capite del gelato consumato dagli italiani si sono attestati sui 3,5 kg, appena al di sotto della media degli ultimi anni. In totale, nel 2010 sono state consumate 1 miliardo e 282 milioni di porzioni da confezioni in vaschette o secchielli, 1 miliardo e 277 milioni di porzioni da confezioni multipack (ovvero confezioni famiglia delle diverse specialità), 589 milioni di porzioni da passeggio, 256 milioni e mezzo di porzioni di gelato sfuso, 117 milioni di porzioni da torte e tranci e oltre 27 milioni di porzioni di specialità da tavola in confezioni singole.

Antonio Fiasconaro

Tonnarelli al trionfo di mare

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Angela Calcaterra, Personal Chef catanese, ci propone un primo piatto a base di pesce. Di media difficoltà di realizzazione e di sicuro successo. Ideale per una cena estiva, accompagnato da un buon calice di bianco freddo ( Foto: Claudio Frasca )