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Pasticceria Antica Sicilia – Milano

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Sono da sempre contraria agli stravolgimenti in ambito gastronomico, e perciò sostengo con forza che se si vuol preparare il risotto alla milanese lo zafferano lo si deve assolutamente adoperare. Se no si otterrà magari un buon risotto, ma non quello “alla milanese”.Parto da un primo piatto “storico” per arrivare ad un dolce altrettanto “storico” : la “minna di Sant’Agata”, dedicata alla Santa Patrona di Catania ed al martirio da costei subìto mediante la mutilazione dei seni 

 

E’ in una traversa di Viale Abruzzi, a Milano, e precisamente in via Carlo Matteucci,  che in una mattinata tiepida di fine giugno mi imbatto in una sedicente pasticceria siciliana. Non me ne ero neanche accorta, ed il mio intento era quello di consumare un caffè prima di intraprendere un viaggio in auto. Entro e vedo un bancone colmo di rosticceria che sa di casa. Sposto lo sguardo ed incontro cannoli mignon, “minne di Sant’Agata”, bignè alla crema e cannoncini .

Alzo gli occhi verso un vassoio di “brioches col tuppo” e, un po’ più su, una scritta che dice “Pasticceria Antica Sicilia”. O gaudio, o gioia: mi approprio immediatamente di una brioche. Enorme ed ancora tiepida di forno. Ad onore del vero squisita e molto più grande e più buona di molte altre brioches consumate a Palermo ed in generale in giro per la Sicilia.

Dovendo recarmi in Veneto  invitata a pranzo dalla famiglia del mio fidanzato, penso che non potrei portare nulla di migliore e di più gradito di un grande vassoio di dolci siciliani,e così mi lancio ed ordino 35 pezzi mignon, variamente assortiti, e penso che se la brioche era stata una giusta premessa quei dolci avrebbero fatto faville. Trentacinque pezzi per trentacinque euro: un euro a pezzo mi sembra assai costoso, ma del resto siamo a Milano dove una pizzetta mignon la si paga anche un euro e ottanta centesimi a pezzo. Gongolante mi infilo in auto con il mio vassoio. L’attesa di quei dolci a fine pasto, anche un po’ enfatizzata, è un simpatico tributo alla mia presenza , così come il ricordo di viaggi tra le bellezze dell’isola ormai datati ed il ripescaggio di origini siciliane da parte di qualche componente di quella simpatica e bella famiglia. Così arrivano i liquori ed il caffè, ed i più giovani intorno al tavolo alla ricerca di cannoli. Il primo dolce tocca a me, che sono l’ospite. Sarò io ad aprire la danza delle calorie e del glucosio portando le altrui glicemie alle stelle. Ed allora mi riservo una “minna” ( seno, in dialetto siciliano, nda)  e la porto alla bocca: ma i denti non penetrano la glassa di zucchero. E’ dura come pietra.La capovolgo e comincio a mangiarla dall’interno, prevedendo la morbidezza del pan di spagna leggermente imbibito e circondato di marzapane e la cremosità della ricotta dolce lavorata. I miei ospiti mi guardano con sorridente compiacimento. Non so cosa avrei dato per evitarlo, ma ho messo  via il mio dolce dopo un solo assaggio : era immangiabile. Dinnanzi alla mia delusione qualcuno azzarda “ ma forse è colpa del frigo”. Io, che conosco cassate, cassatine, minne e quant’altro so che il frigo non c’entra nulla: quella paste sono vecchie di giorni. Nella migliore delle ipotesi sono eseguite malissimo e sanno di “industriale” nell’accezione negativa della definizione e senza nulla togliere ai pur talvolta ottimi prodotti industriali. Altri si incuriosiscono e provano il dolce che io ho appena ricusato: masticavano come fosse pane raffermo un dolce che, normalmente, va giù come una goccia di miele facendo ambire ad altri assaggi e ad ulteriori bocconi. Il marzapane sa di nulla, così come la ricotta, così come il pan di spagna: tutto racchiuso in una colata di glassa che avrebbe ben potuto essere di plastica.

Avremo miglior sorte con i cannoli? No: la speranza è durata cinque secondi, subito disattesa dallo stesso “gusto non gusto” della “minna”.

Non va meglio con i bignè farciti di “crema gialla” ( crema pasticcera, nda) : la crema ancora una volta è insapore, è grumosa e rappresa, dalla consistenza gommosa, collosa.  La pate a choux è dura, e delle due l’una: o è vecchia o la crema non ha ceduto nessuna umidità che ammorbidisse, impregnandolo, il delicato guscio. Una perifrasi inutile per dire che erano orribili anche i bignè.

Allora mi sono chiesta come mai quella pasticceria si chiami “Antica Sicilia” : forse antica nel senso che fanno i dolci come nell’antichità, quando  cioè nessuno o quasi sapeva farli, o perché le paste sono lasciate li ad invecchiare con indolenza divenendo alla fine antiche?

Il problema è che prima di tirar su insegne fuorvianti che rovinano un fiore all’occhiello della tradizione gastronomica di qualsiasi regione, si dovrebbe almeno imparare a copiare piuttosto che limitarsi a scopiazzare con i pessimi risultati fin qui illustrati. Se creare dolci come quelli siciliani che si mangiano a Palermo, o a Catania o a Messina, è sicuramente un’arte, anche il saper copiare lo è. E l’arte, come sappiamo bene, non è per tutti. Perciò, se proprio dovete recarvi in questa pasticceria, assaggiate le brioches, con il gelato o con la granita: è davvero l’unica cosa che valga la pena di mettere sotto i denti. Se invece volete un dolce siciliano, una cassatina o un cannolo, allora recatevi altrove.

Alessandra Verzera

Trattoria degli Orti: una Milano del passato.

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Quando pensiamo a Milano ci viene in mente la frenesia, il rumore e il glamour. Milano però non è solo tendenza e moda. Ha in se dei luoghi da scoprire, e molti di questi sono legati al passato, un passato che spesso neanche i milanesi conoscono. Ci sono dei vicoli, dei palazzi, che, con i loro meravigliosi giardini che si nascondono in strade del centro, ci nascondono dei luoghi inimmaginabili, e noi, correndo,non riusciamo a soffermarci sulla bellezza architettonica e storica di cui essi ci parlano 

Indubbiamente Milano è una città cosmopolita, ma che racchiude in se anche una cultura del cibo e del buon bere legato alle tradizioni. Allora, girando per dei quartieri che, magari non sono di “tendenza” fra i cultori delle mode, si possono scoprire delle trattorie antiche, che con il loro cibo ci riportano alla memoria il mondo meneghino, che oggi non esiste quasi più. E’ anche vero, però, che ci sono questi luoghi di nicchia, meravigliosamente piccoli e ben lontani dal cincé – il “rumore” in dialetto meneghino – della maggior parte dei locali.

La Trattoria degli Orti, sita in via Monvisio al n°13, è uno di questi luoghi, in cui la cucina e il buon vino ci raccontano qualcosa. Già il suo nome, ci parla di un passato che non c’è più a Milano: gli orti. Si trova in zona cimitero Monumentale, ma essendo stata fondata nel 1907, lì, a quel tempo vi erano solo orti, come in altre zone attorno alla città, in cui adesso vi sono palazzi e quartieri. La saletta di forma rettangolare, che può contenere sino ad un massimo di 50 coperti, e che da un senso intimo ai commensali, sia una coppia o una tavolata, è arredata in stile demodé, ma autentico, come il bancone che precede i tavoli. Alle pareti foto di una Milano antica, e mensole piene di bottiglie di vino, per tutti i gusti e palati. Anche la cucina e il bagno, pur adeguandosi al nostro tempo, mantengono lo stile vecchia Milano, come desiderato dal nuovo proprietario, Piermatteo Torrigiani, uomo di poche parole, che può sembrare distaccato, ma che in realtà rispetta la privacy dei clienti. Prima dell’ordinazione porta sempre ala tavolo, qualche piccola chicca da gustare, come i crostini con mostarda di cipolle o verdurine.

Il locale è aperto sia a pranzo sia a cena, ma conviene sempre prenotare. Non mancano le belle presentazioni dei piatti, come oggi si usa, ma, sempre coerenti alla tradizione milanese e alla stagione. Non mancano però dei piatti legati ad altre regioni.

I piatti forti sono il risotto con l’ossobuco e la mitica cotoletta alla milanese.

 

Ma si può gustare ottima cacciagione e la cassoeula. I dolci non sono da meno, prelibate torte e mousse, da accompagnare a dei buon vini dolci o digestivi. La Trattoria degli Orti, è il luogo ideale per calarsi in una Milano che non c’è più, come quella dei tempi del El cafè del genoeuc, e gustarne autenticamente i sapori.

Giuliana Avila

 

Imprenditoria: dall’ Argentina in Sicilia a caccia di partnership

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Sono in sette e, dallo scorso lunedì, sono in giro per la Sicilia a caccia di scambi commerciali e confronti per avviare iniziative imprenditoriali. “Le produzioni siciliane, caratterizzate da una pregiata eccellenza – dice Elio D’Antrassi – saranno ancor piu’ competitive sul mercato globale attraverso una efficace politica di proiezione e di scambio con le produzioni di altri Paesi” ( A.Zi.)

 

Trieste: si fa presto a dire “gnocco”….

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Tutti gli gnocchi sono invece uniti, agglutinati, filamentosi per formaggio e per salse, e uno cento ne traina, e ognuno dei cento poi mille e ognuno dei mille, milioni: e così ‘in infinitum’. Altro che le ciliegie, delle quali sogliono li esperti affermare che una tiri l’altra!” (Carlo Emilio Gadda – Meditazione Milanese). Il termine gnocco ha una tale estensione a Trieste che se ne possono gustare di svariati tipi e in più versioni. Tutte hanno la loro ragion d’essere (E.Ri.)

Gianni Minà, il “baffo” più noto del giornalismo italiano goloso delle sarde a “beccafico”

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Quest’oggi alla nostra tavola ospitiamo un personaggio assai noto al pubblico televisivo, malgrado ormai da oltre un decenno, così com’è lo stesso ci ha confessato “faccio parte di quella schiera di giornalisti epurati dalla Rai”. Un personaggio a “tutto tondo” anche per suo aspetto fisico. Aggiungiamo quindi un posto a tavola e facciamo posto al “grande” Gianni Minà.

E’ sicuramente una delle “icone” del giornalismo televisivo non solo italiano, ma anche internazionale. Chi non ricorda la sua memorabile intrevista “fiume” durata oltre 16 ore al presidente di Cuba Fidel Castro nel 1987? Oppure il suo incontro con Muhammad Alì? Non solo giornalista, ma anche scrittore e documentarista.

 

Gianni Minà è nato a Torino il 17 maggio 1938 ed ha origini siciliane, di Castelbuono in provincia di Palermo, dove è nato e vissuto il nonno Vincenzo funzionario delle Ferrovie che si trasferì agli inizi degli anni Trenta proprio nel capoluogo piemontese. Minà ha iniziato la sua carriera nel 1959 come giornalista sportivo al quotidiano “Tuttosport” di Torino di cui divenne poi direttore dal 1996 al 1998.

 

Il suo esordio in Rai risale al 1960 quando collabora con la prima rete in occasione delle Olimpiadi di Roma. Numerosi i suoi reportage e le interviste ai personaggi sportivi dell’epoca nel rotocalco televisivo “Sprint” diretto da Maurizio Barendson a a “Tv7”, “Az”, “Odeon”, “Dribbling”, “Gulliver”. E’ stato insieme a Maurizio Barendson e Renzo Arbore ideatore e fondatore della striscia “L’altra domenica”. Ha raccontato in tv la grande boxe, così come ha realizzato in quattro puntate la storia del “Jazz”.

 

Autore e conduttore della trasmissione di Rai Due “Blitz” che, ogni domenica  pomeriggio metteva in vetrina personaggi del mondo dello spettacolo, dell’arte, della cultura, della musica. Memorabili le sue interviste a Federico Fellini, Eduardo De Flipppo, Massimo Troisi, Robert De Niro, Jane Fonda, Enzo Ferrari, Gabriel Garcia Marquez.

 

Nel 1991, ha realizzato anche il programma “Alta Classe” con una serie di profili di grandi artisti quali Ray Charles, Chico Buarque de Hollanda, Pino Daniele, Massimo Troisi. Nello stesso anno ha pure presentato “La Domenica Sportiva”. Indimenticabile anche la lunga intervista a Diego Armando Maradona. Oggi, incredibilmente “fuori” da tutti i giochi della tv nazionale, Gianni Minà edita e dirige la rivista letteraria “Latinoamericana e tutti i sud del mondo”, un trimestrale di geopolitica dove scrivono gli intellettuali più prestigiosi del continente americano.

In carriera ha ricevuto numerosi premi: ricordiamo il “Premio Saint Vincent” come miglior giornalista televisivo dell’anno, consegnato nel 1981 dal Presidente della Repubblica, Sandro Pertini e nel 2007 ha pure ricevuto il “Premio Kamera” della Berlinale per la carriera. Si tratta del più prestigioso riconoscimento al mondo per documentaristi.

Gianni Minà, qual è il suo rapporto con la cucina? Di amore ed odio?

“Non direi di amore ed odio. Per carità. Io mangio soltanto verdure e formaggio. Sono quasi condannato a mangiarli…”.

Ma ci sono altri cibi che a lei piacciono e che evidentemente non fanno parte della sua dieta quotidiana?

“Mi piace tantissimo il pesce quando è fresco e lo preferisco preparato al forno, anche al cartoccio, con un bel contorno di patate. Ma non solo pesce, ma anche le polpette di melanzane come le sapeva preparare mia madre e le sarde a beccafico, il tortino di sarde ca’muddica come li apostrofava mia mamma”.

Si considera un mangione?

“Macchè… Mangio poco perchè devo rispettare una dieta. Devo stare attento perchè ho avuto qualche problemino di salute adesso, rispetto al passato mangio moltissima verdura e poco formaggio perchè è uno dei cibi che mi piacciono di più al mondo, ma devo contenermi. Anche se sono corpulento io non mangio molto. Evidentemente c’è qualcosa di sbagliato nella mia dieta, mangio qualche cibo particolare che, alla fine, mi fa ingrassare”.

Quali sono i tipi di formaggio che le piacciono più rispetto ad altri?

“MI piace qualunque formaggio, di qualsiasi regione italiana o estera. Particolarmente, quelli a pasta morbita quali lo stracchino, gorgonzola, taleggio, montasio”.

E quelli siciliani, dove li mettiamo?

“Sono buonissimi, ma molto grassi. Quando sono venuto per la prima volta a Castelbuono, nella terra di mio nonno Vincenzo, mi hanno quasi fatto “abbuffare” dei formaggi tipici: pecorino, tuma, primosale, caciocavallo. Ho assaggiato anche la ricotta fresca: davvero una prelibatezza sopraffina”.

Allora parliamo di Gianni Minà ed il suo rapporto con la Sicilia…

“Io ho un buon rapporto con la Sicilia ed in particolar modo con Castelbuono, la città che ha dato i natali al mio nonno paterno, Vincenzo Minà. Proprio due anni fa, il sindaco Mario Cicero, mi ha pure conferito la cittadinanza onoraria ed io vado davvero fiero di sentirmi ancora nel profondo del mio cuore un castelbuonese, benchè io sia nato a Torino. Mio nonno Enzo era un funzionario delle Ferrovie dello Stato è morì nel 1944 durante i bombardamenti che si abbatterono su Torino e distrussero anche gli uffici ferroviari. Era venuto su da Castelbuono perchè allora quelli che lavoravano al Sud venivano inviati al Nord e quelli del Nord inviati di conseguenza al Sud. E nonno prima fu trasferito ad Asti e poi a Torino dove morì come detto tragicamente sotto i bombardamenti”.

Suo padre quindi è nato in Piemonte e sua mamma di dov’era?

“Si, mio padre nacque ad Asti e poi si trasferì con mio nonno a Torino. Mia mamma, invece, era di Messina. Faceva l’insegnante ed era state anche lei trasferita a Trieste. Si trovava a Torino per una gita scolastica e lì conobbe mio padre e fu grande amore. Ed io quindi ho sangue siciliano da due parti: sia dalla parte di nonno Enzo che da quello di mamma”.

Oggi il rapporto con Castelbuono è ancora indelebile, forte?

“Io ero stato una volta sola a Castelbuono oltre una quindicina di anni fa, invitato a partecipare ad una edizione del famoso Giro Podistico internazionale e andai con mia figlia Marianna. Non posso dimenticare mai l’accoglienza che mi fecero i castelbuonesi. Poi, sono stato di nuovo nel luglio del 2009 quando ricevetti la cittadinanza onoraria. Ho assistito ancora una volta alla gara di podismo ed ho ammirato la festa in onore della Patrona Sant’Anna. Castelbuono è una cittadina stupenda, unica nel suo genere”.

Ritorniamo a parlare di cucina. Cosa ricorda della cucina tipica siciliana, avendo vissuto con il nonno di Castelbuono e con la mamma di Messina?

“Quello che ha inciso di più è stata mia mamma. Io ricordo come se fosse ancora ieri e, per me rappresentano, l’olimpo della cucina siciliana per la loro prelibatezza: le polpette di melanzane e le sarde a beccafico. Sono questi i due piatti che non potrò mai dimenticare. Fanno parte di me, della mia infanzia, adolescenza ed età matura”.

Gianni Minà ed i dolci? Quali sono quelli che preferisce di più. I siciliani come saprà, ci sono grandi pasticceri…

“Non sono goloso. Mi piacciono i gelati e quelli siciliani sono davvero sopraffini. Ho avuto la prova quando sono venuto due volte a Castelbuono. Poi nella mia tavola, ogni domenica non devono mai mancare i cannoli siciliani strapieni di crema di ricotta e con la cialda, la scorza croccantissima”.

E’ ghiotto quindi di cannoli?

“Ghiotto non direi. Li mangio, mi piacciono. Li acquisto ogni domenica vicino casa, in una pasticceria siciliana in via Igea a Montemario, dove io abito”.

Se volessimo mettere in cima ad una torre saracena un vassoio stracolmo di cannoli siciliani ed un servizio sulla boxe, magari dedicato a Muhammed Alì, chi gettereste giù?

“Io la mia professione di giornalista l’ho messa sempre davanti a tutto. Certe volte anche ingiustamenente a discapito della famiglia che voleva più presenza da parte mia. Io ho vissuto per la professione. Infatti, ho anche sofferto il fatto che da dodici anni sono epurato dalla Rai. Non sono stati soltanto Michele Santoro o Enzo Biagi… Gente come me, Italo Moretti, Vito Cortese, Enrico Deaglio. La testa in questi anni l’hanno tagliata a molti, compreso a me. Quindi dalla torre getterei, ma a malincuore i cannoli siciliani. Non me ne vogliano i miei quasi conterranei, ma io giornalista sono nato e giornalista morirò”.

Qual è oggi il messaggio che vuole lanciare ai siciliani, ai giovani della Trinacria?

“Ai siciliani vorrei dire di sentirsi più italiani e non solo cittadini della regione Sicilia. Una debolezza che ogni tanto si ha, specie per colpa dei politici siciliani”.

Ed il messaggio a Castelbuono, ai castelbuonesi?

“Ai castelbuonesi, ai miei ormai concittadini, di essere sempre così come sono, cioè una realtà quasi a parte rispetto alla tradizionale visione della Sicilia. Io a Castelbuono in quelle due occasioni in cui sono venuto ho sentito una grande aria d’indipendenza, di grande autonomia ed anche un modo di essere poco provinciali, di non chiudersi mai in se stessi”.

Antonio Fiasconaro

 

Lievito madre: il profumo del buon pane e le conquiste di Nicola Fiasconaro, rinomato pasticcere siciliano

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Panificare con il lievito madre è una tendenza che prende campo e si diffonde, dal mondo delle cucine virtuali ai panifici di nuova gestione e votati al ritorno ad una tradizione dei prodotti lievitati, eternamente legata alla materia viva: i lieviti. Basterà digitare su google una semplice interrogazione quale “lievito madre” e le ricette per prepararlo non tarderanno a soddisfare la curiosità anche di chi non si è mai chiesto cosa siano gli alveoli di lievitazione (Ti.Ni.)

Ristorante Agriturismo “La Barcella” – Casterno -(MI )

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Immensi campi verdeggianti, pioppeti, coltivazioni di frutti di bosco, ruscelletti qua e la, pace e tranquillità nell’aria: non ci si immaginerebbe mai di trovarsi immersi nella natura a soli 30 minuti dal trafficato e stressato cuore di Milano, appena 25 dall’aeroporto di Malpensa. Eppure è proprio così: a Casterno, frazione di Robecco sul Naviglio e località delle più antiche del territorio robecchese, su un’altura della valle del Ticino, si trova l’azienda agrituristica La Barcella .

Siamo una famiglia di contadini“: si introduce così, con umiltà sincera che traspare immediatamente dagli occhi, Massimo Oldani, giovanissimo imprenditore nel campo della ristorazione, aspirante scrittore e a capo del ristorante La Barcella. Mentre Massimo ci fa accomodare in un ambiente confortevole, fra il legno del soffitto e la raffinatezza delle tovaglie, ci presenta le due giovani cameriere e decide di raccontarci la storia dell’azienda agrituristica, partendo proprio dalla sua squadra, quelli che lui chiama ‘i miei ragazzi’: L’avventura dell’agriturismo La Barcella è nata nel 1996, e siamo stati fra i primissimi della zona a ridare vita e anima ad un’antica tenuta di famiglia. Se mi si chiede cosa sia questo luogo per me, personalmente rispondo dicendo che è tutta la mia vita, come lo sono anche i miei collaboratori, dal cuoco ai ragazzi che aiutano in sala: a loro il merito del successo del ristorante, frutto di un affiatato lavoro di squadra“.

Aspetto ben curato, camicia morbida e bianca aperta sul collo, collanina etnica, un leggero accenno di barba: Massimo quasi si commuove parlando dell’importanza di ciascun membro della sua equipe lavorativa, del suo amore per la terra e di come per lui il suo impegno a La Barcella sia un modo, prezioso, per tramandare tradizioni del territorio attraverso creazioni culinarie. “Tutto parte dal piatto e dalla passione che ci si mette per prepararlo e servirlo”. E a queste parole, come nella miglior poesia simbolista, corrisponde l’intero menù della cena che Massimo ci propone. Per l’appunto, non uno dei classici ‘menu à la carte’. Anzi, di pieghevole con prefissato elenco delle cibarie dall’antipasto al dolce nessuna traccia. Ma un gran numero di portate, una dietro l’altra, svincolate da obblighi e libere di spaziare fra gli ingredienti che dispone la terra robecchese. Un totale di sedici gustosissimi assaggi fra antipasti, primi e secondi, e tre deliziosi dolci. Il tutto accompagnato da un ottimo rosso della cantina limitata di famiglia, fatto dagli stessi Oldani con uva proveniente da piantagioni di proprietà nell’Oltrepo Pavese.

 

Crostini con pasta di salame, salsiccia in sfoglia, cuore e buccia di melanzana fritta, involtini di asparagi con speck e provola affumicata, frittatine rustiche alla verdura e salsa di parmigiano: sin dagli antipasti di cui questa è sono solo una parte –  si nota come gli ingredienti siano legati al terreno su cui poggiano le fondamenta del ristorante. Ogni sapore è ben definito e ogni colore che compare sul piatto è come se volesse raccontare un pezzettino di storia della famiglia Oldani, dell’impegno giornaliero di Massimo e della sua squadra, formata da personale giovane e motivato. Come primo piatto non poteva di certo mancare il risotto, cavallo di battaglia dell’agriturismo La Barcella.


A noi l’onere e l’onore di degustarlo con erbette fini: ottima la tostatura del chicco insaporito da brodo preparato rigorosamente con prodotti naturali. “Sul totale delle materie prime utilizzate dai nostri cuochi, il 70% sono di nostra produzione – spiega Massimo – e ci affidiamo anche a fidate cooperative del territorio che rispecchiano la nostra filosofia del mangiar sano e bene, ma sempre con gusto”.

 

Deliziandoci il palato con i secondi a base di carne e soprattutto i tre squisiti dolci – salame di cioccolato puro, panna cotta con ribes raccolti nell’orto di famiglia, millefoglie di crema e mirtilli, anche questi di produzione propria – , si percepisce, assaggiando, la chiave del successo de La Barcella: i piatti sono si quelli della tradizione lombarda, a partire dagli ingredienti; ma soprattutto si nota come nell’elaborazione delle portate protagonista sia la rivisitazione.

E quindi alla classica tartara viene riproposto un medaglione di carne trita all’aceto balsamico e grana padano racchiusa in due biscotti salati; al posto della solita crepes ai funghi, un morbido fagottino ripieno di ricotta, panna e porcini lombardi; invece che una bistecchina ai ferri, si è deciso di servire la carne- magra e dietetica – all’interno di un cestinetto di pasta filo leggermente dorato al forno. Si capisce quindi che sperimentazione e tradizione sono gli elementi emblematici e rappresentativi dell’agriturismo La Barcella, due modi di vedere e di tramandare valori e culture locali, in un mondo in continua evoluzione, dove spesso le tradizioni locali sono svuotate e soffocate dalla quotidianità frenetica della città e dai valori del ‘mordi e fuggi’. A termine della cena, basta dare un veloce sguardo ai commensali: sembrano tutti soddisfatti e sereni, rilassati. Sono passate le 23.00 di venerdì sera, la cucina spegne i fornelli. Ma per Massimo la giornata lavorativa non è ancora finita: “Grazie per essere state mie ospiti – dice congedandosi – adesso arriva un’altra parte del mio lavoro: incontrare gli sposi del prossimo matrimonio”. Proprio così: La Barcella di Casterno non è solo un ristorante in cui provare ottimi piatti con buon rapporto qualità prezzo (per il menù sopra elencato, cifra media 40 euro), sorseggiando vini fatti in casa, ma dal 2006 anche un agriturismo all’interno di un mulino restaurato e convertito in B&B con camere e mini appartamenti, nonchè rinomato luogo d’approdo per sposi esigenti che desiderano un pranzo di nozze ricercato e dai sapori della tradizione lombarda immersi nel verde della campagna del Ticino.

Tra le Scelte di Gusto del La Barcella : disegnare sui piatti le iniziali dei commensali, con semi di coriandolo e  cacao. Un ulteriore ed inatteso tocco di classe.

 

Ester Castano

 

Le Torte di Fiorella on the Road…! E la sugar art conquista il Bel Paese

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Il Cake Designer non è un pasticcere, è qualcuno che viene prima, nella fase di progettazione dell’opera, e dopo, nel momento della decorazione finale. La sugar art conquista grandi e piccini e si afferma come arte decorativa che narra un mondo fatto di sogni, dolce di zucchero e colorato con nuance pastello.Ispirata a Debbie Brown, realizza torte, biscotti, muffins colorati, microcake e confettini. Per parola di blogger, intervista a Fiorella Balzamo (Ti.Ni.)

Il palermitano Fabio Giordano vince a Forlimpopoli il Premio Marietta 2011

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Il palermitano Fabio Giordano, operatore di un call center nel capoluogo della Sicilia è il vincitore del Premio Marietta 2011, il concorso nazionale di cucina riservato a chef non professionisti e promosso dal Comune di Forlimpopoli. Giordano ha “sbaragliato” gli altri quattro avversari finalisti preparando due piatti tipici della cucina tradizionale siciliana: “Busiati freschi con il gambero rosso di Mazara del Vallo” e il “Macco di fave fresche”. (A.Fi.)

A Salvo Montalbano il premio gastronomico “Orio Vergani 2011” come ambasciatore della cucina siciliana

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Quante volte è capitato assistendo, seduti comodamente in poltrona, all’ormai popolare serie televisiva del “Commissario Montalbano” di ammirare il personaggio di Salvo (il commissario) nella sua casa di Vigata intento a gustarsi un piatto fumante di spaghetti con le vongole o di spaghetti al pomodoro e basilico? Oppure di ingurgitare, quasi in un boccone, un’arancina? Tante volte.. (A. Fi.)