Un morso alla Grande mela

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Dici New York, e sai già di lasciare lasagne e arancine per hot dog e patatine. Metaforicamente, il certo per l’incerto. Ti fai un giro, e sei costretto a ricrederti, ci sono italians ovunque, una capillare invasione che da Manhattan scende per Brooklyn per risalire il Queens e via così per Staten Island. E così ti accorgi ben presto che il signor Ronald McDonald deve convivere con i pizzaioli di Villabate, con i ristoranti emiliani e con i pasticceri italoamericani (V.Le.)

Il nostro viaggio nella Big Apple è alla scoperta di alcuni di questi luoghi, diversi tra loro, uniti sotto il segno dell’italico tricolore. Partiamo calcando i marciapiedi di Broadway, passaggio quasi obbligato per muovere i primi passi a Manhattan, e qui per strada l’appetito viene stuzzicato da un ventaglio di odori e sapori: indiani con i loro piatti in vaschetta, piastre che friggono qualsiasi cosa possa sembrare parente di una frittata, pretzel, snack ma soprattutto loro, Hollywood ci insegna che non c’è angolo di New York senza un carretto di hot dog. Un entusiasmo subito smorzato, gli americani qui li chiamano dirty water dog, letteralmente “acqua sporca”, per via dell’acqua di dubbia trasparenza nella quale vengono bollite le salsicce. Girato l’angolo di Broadway siamo su Grand Street, una delle strade che porta allo storico quartiere italiano di Little Italy,  Mulberry Street per l’esattezza. Il colpo d’occhio non è più quello di un tempo, alcuni palazzi sono consumati dal tempo, e si vede, i ristoranti sono sì italiani, almeno dall’insegna, ma il quartiere è passato dal folkloristico al turistico, e ci vuole occhio,  anzi naso, per riconoscere un vero piatto made in Italy. Detto questo la tappa d’obbligo è quella alla pasticceria Ferrara, che se non altro per tradizione (l’insegna recita orgogliosa since 1892) merita una capatina.

http://www.youtube.com/watch?v=85HTG1lxhxk&NR=1 

 

Due chiacchiere con il capo pasticcere Franco Amati, che tra cassatelle, sfogliatelle ci rivela che la “piccola Italia” come la chiama lui, non è più quella di un tempo. I Cinesi, quasi fosse un Risiko tra quartieri, avanzano e Chinatown si allarga a macchia d’olio. Ringraziamo per l’ottimo caffè e proseguiamo il nostro viaggio nel quartiere, tra improponibili cannoli dalla crema color rosa e idranti tricolore arriviamo dritti al caffè Palermo, che per ovvie ragioni sin dal nome stimola una nostalgica curiosità. Sull’insegna campeggia: The Best Cannoli on Planet Earth. E fin lì, uno slogan un po’ megalomane.

http://www.youtube.com/watch?v=W2wUYYo4jfY

Ma Baby John, il boss della pasticceria, fa di questo monito un leitmotiv ricorrente, ridondante al punto che si finisce quasi per credergli. Non contento, ci regala un siparietto finale nella video intervista, con tanto di test della consistenza della crema. Posso dire con un tocco di vanità di aver mangiato il miglior cannolo sulla faccia della terra. Scusate se è poco. Tornando a noi, salutato a malincuore il simpatico Baby John, decidiamo di lasciare Little Italy e spostarci in un altro quartiere, più tranquillo e residenziale, dove non ci sono turisti ma, addirittura, americani. Ecco allora che, spostandoci sulla west side della 5th avenue, arriviamo da Andrea, a Greenwich Village, locale  tranquillo, molto accogliente, lontano infiniti blocks dal viavai turistico di Mulberry St.

http://www.youtube.com/watch?v=hcZ7WhhoAxI&feature=related

Qui, ci spiega il proprietario, mantenere un affitto è impresa ardua, ci si coltiva la propria clientela fissa, e soprattutto, si cucina emiliano. Non è il primo a rivelarci che contrariamente a quanto si possa pensare, gli americani non solo conoscono la cucina, ma distinguono tra le varie specialità regionali italiane. Sorpresi, anche perchè nella patria dei fast food, scopriamo un inaspettato senso critico, che si rispecchia nella voglia di organic, ovvero il biologico;  ad una tale domanda corrisponde un offerta ricchissima, con veri e propri supermarket dove la cura e l’attenzione per il cibo è quantomai scrupolosa. E’ il caso ad esempio di Whole Organic Food e Trader Joe’s. Supermercati belli da girare, e con prezzi in linea con gli altri megastore. Senza dubbio, un’ottima scelta di gusto. A queste enormi catene della grande distribuzione, si affiancano realtà che possono sembrare impossibili in uno scenario come quello di Manhattan: il mercato.

http://www.youtube.com/watch?v=7g7CY6flJnE&feature=related

A Union Square, bancarelle e stand danno vita a un vivissimo mercato del biologico, con frutta e verdura che arriva dalle campagne sconfinate degli stati vicini. A corredo di questo, piante e fiori di tutti i tipi regalano un colpo d’occhio di tutto rispetto, non fosse altro per dove ci troviamo, gente che rincorre un taxi a cui fanno eco attenti consumatori che si prendono il loro tempo e fanno la spesa. Mondi e vite parallele che si sfiorano tra loro, l’essenza di una città dai mille volti come New York. Una città che ti permette di scegliere, vuoi mangiare qualcosa in particolare? You can do that, puoi farlo. E allora, dopo settimane di McDonald’s, Burger King, Wendy’s e mal di pancia derivati, arriva il giorno che non t’aspetti. Il giorno in cui il tuo pranzo, all’ombra dell’Empire State Building, assume le sembianze di un panino con il crudo di Parma e di un chinotto in bottiglia. Si, è vero, a New York puoi farlo.

http://www.youtube.com/watch?v=OwXpCrcZ3G8&feature=related

Il come è presto detto, basta entrare da Eataly, a due passi dal Flatiron Building, per poter respirare il profumo del basilico sulla pizza, l’odore dell’espresso, la bellezza di un piatto di pasta fatto all’istante. Il tutto, suona strano, all’interno di un supermercato. Italia dentro, America fuori. A voi la scelta. Una scelta di gusto, ovviamente.

Vincenzo Leone

(Tutti i video sono proprietà riservata dell’autore. La riproduzione, la copia e la diffusione – se non espressamente autorizzate – sono proibite)

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