Risotti alla milanese

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morattiPiccoli disastri gastronomici possono essere il segno di riconoscimento di un prossimo disastro politico? Suvvia, riconosciamolo: Letizia Moratti, classe 1949, milanese doc, è un candidato trombato soprattutto per il suo carente rapporto con il risotto. Non sorridete, la cosa è fin troppo seria. Certo, non solo di risotto è mantecata la sconfitta. Lo stesso Cavaliere di lei consente che sia troppo algida .

risotto pereProssima alla ricandidatura, la Lady di Ferro provò a cambiare look, in primis quello della comunicazione. Ringiovanisce lo staff e riporta la sua agenda per le strade: vie, piazze, mercati, case di riposo e scuole, ma anche cucine. Finisce sulle gazzette di gastronomia, Gambero Rosso ad esempio, a parlar di panettone; la festa della Donna al fianco di Benedetta Parodi, in versione chef, più attenta a non fare “attaccare” il riso che a guardare la telecamera. E che riso? Un risotto pere e formaggi, di cui ci fornisce anche la simpatica ricetta, edificata sull’aroma speziato e stagionato della Robiola, ammorbidita dal dolce delle pere.

moratti (1)In versione massaia, Donna Letizia, smesse certe cotonature english style e indossati vestitini più sgargianti, ci confessa così la sua passione per i fornelli. In realtà, qualche sospetto l’avemmo già a Natale, dopo la “risottata” con i cronisti di Palazzo Marino, in cui la Moratti stupì tutti cucinando un risotto alle rose per trenta persone, svelando sì un giocondo profilo di moglie, mamma e nonna, ma perché quel “risotto alle rose”, come una qualunque Signora Cecioni? robiolaParliamo ora della Robiola. Trattasi di formaggio fresco a pasta cruda e senza crosta, lombardo per modo di dire, ma tipico delle province di Asti e Alessandria, Bassa Langa, Piemonte. Sicuro che a Milano, in Lombardia, non ci fosse il “suo” formaggio? Sta a pochi chilometri da Milano invece, territorio di Lodi. Si chiama Pannerone, cacio vaccino della tradizione contadina lombarda. Formaggio unico e complesso, le cui origini si perdono nel medioevo e tra le tonache dei monaci benedettini. E’ il dolce e aromatico perfetto, con appena una sfumatura amara, eccellente quanto insostituibile per i risotti lombardi con le pere.

Già in precedenza il risotto fu galeotto al sindaco meneghino insediato da pochi mesi. Era il luglio del 2006. A pranzo a Palazzo Marino, ospiti il premier Prodi e il sottosegretario Letta, il menu prevedeva il più classico dei piatti milanesi. Ai fornelli, quella volta, non c’era la Moratti, ma la pietanza deve essere piaciuta assai ai due ospiti romani, tanto che siglarono con il sindaco di centrodestra il cosiddetto “patto del risotto”, alleanza di ferro sul futuro e sulle ambizioni della città per tentare la corsa all’Expo, che poi sarà vinta.
Chi c’era ai fornelli? Forse il Re dei cuochi, il più milanese degli chef, che di sé dice: “Sono un grande conservatore che cammina verso il futuro”.  gualtiero-marchesi
No, non alludo a un prematuro Giuliano Pisapia, ma ovviamente a un caposcuola-mai-in-pensione, che stava già meditando di riaccendere i fuochi nella piazza di Milano, Gualtiero Marchesi. Semplicemente il più influente chef italiano di tutti i tempi.

“Noi siamo il paese dell’eleganza, niente barocchismi… insegno ai cuochi la concretezza, la semplicità e l’eleganza fra tradizione e innovazione”. Marchesi interpreta così Milano e l’Italia, la cucina e il risotto. Cucina nuova (nouvelle cousine) anche nel risotto, che non a caso resta per lui un prototipo di come una ricetta tradizionale richieda un radicale intervento di restauro per rimanergli fedeli. Sulla mantecatura riveduta e corretta si dilunga in un libro: “Nel suo classico procedimento di preparazione, la fase iniziale costituisce sempre una soluzione di compromesso. A rigore, è infatti impossibile stufare la cipolla e rosolare contemporaneamente il riso. Fatalmente, l’uno deve essere sacrificato alle esigenze dell’altro: per mantenere la cipolla bianca, il riso potrà soltanto stufare; se volessimo rosolarlo a dovere, allora la cipolla prenderebbe colore, assumendo di conseguenza un gusto tostato e greve. Mi sono lungamente arrovellato su questo paradosso culinario. Per scioglierlo, la soluzione consiste nel disaccoppiare la cottura dei contendenti”.
marchesi1Ero già convinto dell’eccellenza della politica andreottiana dei due forni, ma non pensavo arrivasse a tanto. E allora il “Divo Gualtiero” ci illumina ancora sul primo forno: “Il riso viene fatto rosolare direttamente nel burro, portato a temperatura conveniente. In seguito, si bagna con un mestolo di brodo bollente e, fatto asciugare il liquido, si aggiunge dell’altro brodo, proseguendo la cottura come prescrive la tradizione”.
Secondo forno: “Nel frattempo, la cipolla viene cucinata a parte: si fa sudare in pochissimo burro dentro una casseruola, si bagna con il vino bianco e si lascia sfumare il liquido sul fuoco. Alla fine si incorporano dei fiocchetti di burro ben freddo, emulsionando con la frusta sino a ottenere una crema omogenea. … E’ ciò che in gergo gastronomico si chiama burro bianco o burro nantese. … Nulla vieta di adoperarlo per mantecare il risotto…”.
Lady Letizia, hai capito ora perché hai perso?

Giorgio Contino

 

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