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Dacci oggi il nostro pane quotidiano

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pane5Il rapporto con il cibo ha una forza vitale straordinaria, dal punto di vista biologico come pure nell’immaginario. Il cibo ci trasforma, non è solo “buono da mangiare” ma anche “buono da pensare”: l’ha spiegato l’antropologo Claude Lévi–Strauss. La cucina è un linguaggio nel quale ogni società traduce più o meno inconsciamente la propria struttura, con un codice e delle regole grammaticali e sintattiche, con un senso e un non sense, un gusto e un disgusto.

Il pane è ed è stato, sempre e dovunque, “buono da mangiare” e “buono da pensare”, nelle sue infinite forme. L’uomo, l’uomo mediterraneo, l’ha letteralmente inventato, non come la manna che s’implora, che scende dal cielo, ma come il frutto artificiale del lavoro, tanto lavoro. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”: un alimento sacro che ci mette in contatto con Dio. Nella Pasqua ebraica l’osservanza del pane azzimo, nella cultura cristiana il pane, nutrimento essenziale, e il vino, simbolo della conoscenza e dell’iniziazione.
Alla fine s’infila nel forno, il camino caliginoso mette in comunicazione l’interno della casa con l’immensità remota dei cieli: la befana, i grilli parlanti, i messaggi del vento possono scendere attraverso questo imbuto fino alla cucina, impaurire o portare doni.


Doni scanditi dal calendario. Ogni comunità ha il suo pane. Pani speciali, varianti infinite, scandiscono particolari feste. Per ogni focolare un pan dolce, pan giallo, pan d’oro, panettone, pan di Natale; tante forme in via d’estinzione per le nuove “manières de table”. Certo, molto si guadagna, quando la fame è solo un ricordo, e molto si perde nella dimensione urbana della spesa al supermercato.

Pellegrino Artusi rifiutò di includere nel suo ricettario il Panettone di Milano, preferendo il suo Panettone di Manetta, dal nome della sua cuoca di casa. Solo nel 1931 la Guida del Touring Club sanciva che la specialità lombarda fosse divenuta “dolce natalizio nazionale”.

Il pane unisce, spezzare il pane è il segno del padre, il più familiare che c’è. Il pane non unisce necessariamente. La più profonda divisione nella Chiesa, quella del 1054 tra ortodossi e latini, si compie sull’ostia della liturgia dei cattolici, accusata dagli ortodossi di non essere veramente pane, ma piuttosto un’ostia azzima, non fermentata, troppo simile alla tradizione ebraica.
Spesso per il pane ci si azzuffa, più o meno simbolicamente. A Caltavuturo, piccolo e suggestivo paese madonita, ogni anno le donne di ogni famiglia preparano del pane plasmato in forme molto raffinate: bambini, mani, piedi, cuori.  E’ la Sagra del Pane, che va in scena contemporaneamente alla festa di San Calogero. Al santo si portano le ceste piene di pane realizzato in casa. E così fu che San Calogero, ricordato nel calendario il 18 giugno, si è appropriato, grazie alla sua confraternita, di una devozione nata per il Corpus Domini, una delle principali solennità liturgiche che la Chiesa celebra proprio qualche giorno dopo.

Ai miei occhi sta avvenendo anche un altro fenomeno. Il fornaio sotto casa ci prepara il pane arabo, il pane di Altamura, la Mafalda palermitana, tutte delle varietà ”Glocal”, come si usa dire, che ci arricchiscono. Mentre ancora ci stiamo lamentando dell’appiattimento del gusto, siamo già pronti a rallegrarci di questa infinita molteplicità post-industriale? Sembrerebbe, in effetti, la quadratura ritardata del cerchio: evviva la presenza del pane bianco sulle tavole di tutti, evviva la presenza del pane nero sulle tavole di chi lo preferisce!

Spezzare il pane non è più un gesto vitale. L’abbondanza trasfigura il pane nel lusso, nel superfluo, nell’arte e in definitiva nella rappresentazione, sbiadendo ogni vera tradizione.

Può capitare, infatti, di vedere in questi giorni esposti alla Biennale di Venezia gli Archi di Pane di S. Biagio Platani, le meravigliose strutture che nel giorno di Pasqua vengono montate, per tradizione secolare, nel corso principale del piccolo paese agrigentino. Archi di canne e ferro, adornati da ciambelle di pane, che una volta erano ex-voto per grazia ricevuta o devozione. Dalla metà del Seicento due confraternite, Madunnara e Signurara, erigono ogni anno due archi e si confrontano in una gara che culmina con l’incontro tra il Cristo Risorto e la Madonna. L’indomani si mangiava questo pane benedetto, le confraternite si riconciliavano. Ora la manifestazione ha più una connotazione di tipo folclorico che ispirato a devozione, come una volta. A dire l’intera verità, sponsor e celebrante Vittorio Sgarbi, gli Archi di Pane, sbarcati alla Biennale, cambiano statuto, diventano forma d’arte, pura rappresentazione. Non si possono più mangiare.

Giorgio Contino

Bar Via delle Torri – Trieste

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torriIl marchio Illy, che produce e commercializza in tutto il mondo la sua miscela di caffè, ha sede a Trieste, città la cui popolazione consuma il doppio della media italiana di caffè. Ed è proprio il quadrato rosso del marchio la prima cosa che si riconosce avvicinandosi al bar Via delle Torri. Situato in una zona pedonale che permette innumerevoli tavoli fuori dal locale; dentro invece, un brusio, il tipico rumore da bar affollato e una nuvola d’aroma di caffè che carezza le narici .

L’arredamento è essenziale: qualche tavolino classico e poi un bancone lungo tutta la parete, con alte sedie da bar, per sistemarsi più in tranquillità di come si starebbe fermandosi al banco del bar, a gustare la propria ordinazione.

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Mi incontro con Massimo Zulian, che mi presenta il bar.

Sono titolare del Bar Via delle Torri da 8 anni; io, con mia moglie e supportato da sette collaboratori. Facciamo parte della catena di franchising Espressamente Illy, che è il fiore all’occhiello di Illy caffè. Abbiamo avuto molti riconoscimenti. Su Gambero Rosso, ci siamo già da quattro anni di seguito, abbiamo conquistato tre tazzine e tre chicchi (le tazzine rappresentano il giudizio complessivo sul locale, i chicchi fanno riferimento alla qualità e alla bontà della miscela di caffè proposta, tre è il punteggio massimo e corrisponde ad eccellente, N.d.R.). Il bar punta sulla caffetteria, perché Illy è sinonimo di qualità. Abbiamo tutti i tipi di caffè, dal classico triestino Capo in B (sul menù appare come “Capo triestino”: espresso illy, latte caldo, bicchiere di vetro, N.d.R.) ma anche il Marocchino, il Mugaccino, l’Onda al cioccolato, il Half&Half, la Neve fondente…E poi ci sono anche innumerevoli cocktail, alcolici e non, vere specialità al caffè, calde e fredde: l’Illy’s Irish coffee, il Giamaicano, il Beatrice, il Vodka espresso…

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Che tipo di cliente ha il locale?

La clientela è di tutte le età; tutti, direi, passano da noi, soprattutto il triestino tipico che è un amante del caffè di qualità. Il grosso del lavoro infatti è la mattina, quasi tutto caffè, superiamo i 1000 caffè al giorno. Da Illy d’altronde si viene per l’espresso, considerato il migliore della città. D’estate però  va molto la caffetteria frozen, come la crema gelata al caffè Illy o la crema al cioccolato Domori. Poi abbiamo naturalmente la vendita di tutti i prodotti Illy, tazzine, liquore, macchina da caffè e tutti i prodotti delle aziende del Gruppo Illy, marmellate artigianali, il cioccolato Domori, l’ottimol tè Dammann…

DSC02359Ipotizziamo che entri qualcuno che non gradisca il caffè…

Abbiamo anche  una scelta importante di vini: Zibibbo di Sicilia, Passito di Pantelleria per poi andare naturalmente a tutti i Donnafugata, Donnafugata Mille e una notte, Donnafugata Tancredi Rosso, Donnafugata Chardonnay La Fuga… Ho puntato più sui vini dolci, specialmente siciliani. Di siciliano oltre al vino abbiamo anche il latte di mandorle, ci facciamo portare i panetti di mandorle proprio dalla Sicilia.

I panetti di mandorle : come li adoperate?

Li facciamo diventare un latte che poi usiamo per i cocktail.

Posso carpire la ricetta di un cocktail con il latte di mandorle?

Certo, il mandorlino per esempio. Lo serviamo come latte di mandorla freddo con l’aggiunta di frappé al caffè sopra. Oltre al gusto anche l’effetto è particolare, il caffè resta sopra il latte e il cocktail diventa di due colori. Scambio qualche parola anche con Anna, la moglie di Zulian.

Stavo osservando il trionfo di dolci e snack salati nelle vetrinette.

Sì, come vede abbiamo un vasto assortimento. Semifreddi alla  vaniglia con glassa al cioccolato, tiramisù, crema catalana, crema catalana ai frutti di bosco, crema al mascarpone e pistacchio, tiramisù, mousse al cioccolato. La pasticceria secca, con dolci alle mandorle, alla frutta, i croissant. Ci sono anche i gelati, sempre artigianali. Fra gli snack salati, richiestissime sono le brioche salate, ma anche il toast vegetariano con melanzane, peperoni, funghi, formaggio e vanno forte anche le insalate.

Un altro punto di forza del locale oltre all’espresso?

 Oltre al marchio Illy, sicuramente il servizio che è accurato fin nei minimi particolari. Per esempio, questi biscotti al burro si facciamo fare artigianalmente, e vengono portati al tavolo con scaglie di cioccolato, automaticamente, con il servizio al tavolo.


Andandomene noto in bella mostra l’ultima delle tazzine di Illy Art Collection, creazione dell’artista indiano Anish Kapoor la stessa che viene presentata  alla Biennale di Venezia; è per tutti questi dettagli che non è possibile considerarlo un semplice Bar.

Via delle Torri 3  040 765251

Chiuso domenica – orario 7.30/ 21.00

Eleonora Righini

Lando Buzzanca, il “merlo maschio” con la passione del capretto agglassato

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lando-buzzanca-il-restauratore-2284521Oggi alla nostra tavola aggiungiamo un posto d’onore ad un palermitano “doc” che, sebbene abbia “abbandonato” la sua città natale molto presto per intraprendere la carriera di attore di cinema, tv e teatro, dopo tantissimi anni di lontananza, non ha mai dimenticato le sue origini. Nostro ospite è Lando Buzzanca, noto attore della commedia all’italiana che dall’età di 17 anni, oggi ne ha 75, vive a Roma e di tanto in tanto torna a Palermo tra i suoi parenti.

buzzanca1Gli è rimasto “attaccato” lo stereotipo del maschio siciliano, dell’uomo “eroticus” perennemente assatanato di donne, ma un po’ tonto, grazie ai tantissimi film che ha interpretato della commedia erotica italiana degli anni Settanta. E dire che i suoi inizi sono stati davvero difficili.

Appena arrivato a Roma, alla fine degli anni Cinquanta, ha dovuto sbarcare il lunario svolgendo diverse attività lavorative quali lo scaricatore di mobili, cameriere e la comparsa a Cinecittà. E come comparsa partecipa al colossal Ben-Hur, interpretando uno degli schiavi della galea. Il debutto nel cinema arriva nel 1961 grazie al grande regista Pietro Germi che gli fa interpretare il ruolo di Rosario Mulè nel film “Divorzio all’italiana”, successivamente nel 1964 arriva sempre con Germi un altro film assai famoso: interpreta Antonio, l’inetto fratello di Stefania Sandrelli in “Sedotta e abbandonata”. Nel suo vasto curriculum figurano oltre cento film ed il successo, come protagonista arriva negli anni ’70, quando esplode il “boom” della commedia erotica all’italiana: dal “Merlo maschio” (1971) a “Homo Eroticus” (1971) a “La schiava io ce l’ho e tu no” (1972), oppure “All’onorevole piacciono le donne” (1972), “Il gatto mammone” (1975). ROMA: PREMI RAI FESTIVAL INTERNAZIONALILando Buzzanca in quegli anni è a fianco di affascinanti attrici come Claudia Cardinale, Stefania Sandrelli, Laura Antonelli, Catherine Spaak, Senta Berger, Joan Collis e Barbara Bouchet, per citarne alcune. Fa il suo “ingresso” e con successo anche in Rai, in tv, con “Signore e signora” a fianco di Delia Scala.

Indimenticabile la sua battuta “mi vien da ridere”, che rimarrà per tantissimi anni un vero e proprio tormentone. Il suo debutto in teatro arriva con il grande Edoardo De Filippo che lo ha voluto nella commedia “La grande magia” (1964), dove interpreta la parte di un carabiniere. Dopo alcuni anni di attività teatrale Buzzanca torna in tv con la fiction “Mio figlio” e nel 2007 è protagonista nel film “I vicerè”. Di recente ha finito di girare e di montare un’altra serie televisiva “Il restauratore” che andrà in prima serata su Raiuno a partire dal prossimo novembre. buzzanca4In tutto il mondo, l’attore palermitano considerato ancora oggi una simpatica icona dello steriotipo internazionale dell’italiano provinciale, elegante, virile, furbetto ma non troppo, che più delle volte non riesce a costruire alcunchè di concreto.

Lando Buzzanca e la cucina, che rapporto ha con il cibo?

“Vorrei rispondere che non mi frega niente della cucina. Mangio semplicemente, non sono un mangione. Malgrado tutto amo la nostra cucina, quella palermitana, siciliana. Non può essere altrimenti”.

buzzanca5Però ci sono dei piatti che le piacciono di più rispetto ad altri…

“Da quando è morta mia moglie Lucia (è deceduta nel novembre 2010 a causa di male incurabile. Apparteneva alla famiglia dei gioiellieri Peralta di Palermo, ndr), ho perso il gusto per la cucina palermitana e siciliana. Mi manca senza dubbio il capretto agglassato che lei preparava spesso e lo faceva con le patate. Generalmente lo preparava in occasione della Pasqua. Come mi piaceva la pasta con le sarde, rigorosamente bucatini. Non si può più mangiare perchè non ci sono più le sarde fresche. Se non ci sono le sarde freschissime ed il finocchietto di montagna, quello selvatico, è inutile mangiare la pasta con le sarde. Non è quella originale”.

pastaE la pasta c’anciova e a mmuddica atturrata?Se la ricorda?

“Certo che la ricordo bene. E’ facile da preparare e mi piace anche mangiare la pasta alla carrettiera. Qui a Roma non se ne parla nemmeno. Al massimo quando vengo giù, in un ristorante a Palermo”.

Da quanto tempo manca da Palermo? C’è stato di recente?

“Sono stato a Palermo in occasione del Capodanno. E’, come spesso accade è un ritorno alle origini, anche se poi voglio subito scappare via e tornare a Roma, dove ormai ho messo da troppo tempo radici”. 

A Roma vive da solo o in compagnia dei tuoi figli?

“Vivo da solo. I miei figli (Empedocle Mario commerciante di perle in Thailandia e Massimiliano Maria che fa l’attore, ndr), vivono per conto proprio. Ma ogni tanto li rivedo ben volentieri”

Lei si divide ancora tra Roma ed Amelia?

“La casa di Amelia (in Umbria, ndr), da quando è morta Lucia non ha più senso. Cerco di venderla. Non ci vado più. E’ una villa che avevo acquistato esclusivamente per lei. Fatta per lei. Ora non ha più senso”.

Nella sua lunghissima carriera ha guagagnato tanto, come ha investito i suoi soldi?

“E’ vero posso vivere di rendita. Ho guadagnato tanto e mi sento un uomo libero. Faccio quello che mi piace fare. Non devo essere imposto. Da nessuno. Ho investito i miei guadagni acquistando negozi e non appartamenti. Non mi piace chiedere la pigione tutti i mesi agli impiegati…”.

pastasardefin1Se dovesse scegliere tra un piatto fumante di pasta con le sarde o una cassata o un cannolo, cosa mangerebbe volentieri?

“Se ho la possibilità di mangiare un bel piatto fumante di pasta con le sarde fresche, butto via sia la cassata che il cannolo strapieno di crema di ricotta…”.

E la cucina romana? Cosa ne pensa?

“Ribadisco che oggi non mi interessa più mangiare come lo facevo tempo fa. Devo ammettere che ho amato ed amo ancora oggi la cucina romana. Non sono stato mai un frequentatore di ristoranti e trattorie. Un tempo quando uscivo per Roma frequentavo “Ai due Ladroni”. Agli inizi della mia carriera, quando si faceva la fame e non c’erano soldi, frequentavo le bettole romane e mangiavo sempre, perchè costava poco, un bel piatto di pasta e ceci. La pagavo 150-200 lire…”.

 

Un suo sogno nel cassetto?

“Tempo fa durante un’altra intervista dissi: si ho un sogno riposto nel cassetto: quello di dare gratis l’acqua a tutti. L’acqua non la puoi fare pagare. Non ha prezzo come lo spumante o il vino. L’acqua è di tutti. Appartiene a tutti, quindi dev’essere gratuita. E poi distribuirei pure il latte gratis ai bambini fino all’età di tre anni (risata)”.

E poi?

“Poi cosa? Vero, il resto poi bisogna guadagnarselo pian piano nella vita. Altrimenti…”.

Antonio Fiasconaro

 

 

 

 

Cibo di strada per il matrimonio di Eleonora Abbagnato e Federico Balzaretti

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abbagnatoUn menù tipico della gastronomia siciliana e soprattutto palermitana per il matrimonio dell’anno che si è celebrato a Palermo nel pomeriggio di lunedì 13 giugno. Quello tra il calciatore rosanero Federico Balzaretti, 29 anni e l’etoile di Parigi, Eleonora Abbagnato, 33 anni palermitana. Due chef di eccezione per questo grande evento : il termitano Natale Giunta  ed il palermitano Filippo La Mantia chef dell’hotel Majestic a Roma (A. Fi.)

 Natale-Giuntafilippo_la_mantia

Teatro del ricevimento “Le Terrazze” di Mondello, l’ex stabilimento balneare Charleston in stile liberty, dove i due celebri chef hanno esaltato i sapori, i colori, ed i profumi della cucina siciliana. Assaggini di cibo di strada, gambero rosso di Mazara con sorbetto di arancia sanguinella, parmigiana con cioccolato di Modica. Poi i primi, timballetto di anelletti al forno, la pasta col pesto di agrumi e la bottarga di tonno; come secondi, il tonno ammuttunatu, il maialino di suino nero dei Nebrodi laccato con miele di zibibbo di Pantelleria e con insalatina di pomodorini e capperi. Per finire sfoglie di cannolo e cassatelle con tanta crema di ricotta.

cappellaEleonora Abbagnato e Federico Balzaretti si sono sposati nella suggestiva cornice della Cappella Palatina di palazzo dei Normanni circondati da decine di invitati a cominciare dagli stilisti Dolce&Gabbana, Domenico Dolce e Stefano Gabbana che hanno realizzato l’abito bianco per l’etoile e l’abito del calciatore del Palermo. Ed ancora Renzo Rosso, patron di Diesel, i comici palermitani Ficarra e Picone, coprotagonisti del film “Il 7 e l’8”, nel quale la ballerina ha esordito nel mondo del cinema, i cantanti Eros Ramazzotti e Morgan.

Doveva essere presente anche la first lady francese, Carla Bruni, amica di Eleonora Abbagnato, ma ha dovuto all’ultimo istante rinunciare al viaggio a Palermo a causa della sua gravidanza. La cerimonia è stata celebrata dal parroco della famiglia Abbagnato, Antonino Chiarelli.

Lucrezia di 5 anni e Ginevra di 3, le due figlie che Balzaretti ha avuto da una precedente relazione, hanno portato, in vestitino bianco e coroncina di rose, le fedi all’altare. Una curiosità da gossip: Eleonora Abbagnato e Federico Balzaretti si erano conosciuti a Palermo circa un anno fa, dal parrucchiere comune Nino, che ha fatto da complice in questa storia d’amore che poi è nata e si è sviluppata fino al matrimonio.

abbagnatoFin dall’inizio ha pensato che fossero fatti l’uno per l’altra e li ha fatti conoscere organizzando per loro una cena proprio al ristorante dell’ex stabilimento Charleston. Federico Balzaretti terzino sinistro del Palermo, e della Nazionale allenata da Cesare Prandelli, dopo stagioni tra alti e bassi tra Torino, Juventus e Fiorentina, ha trovato la sua dimensione in rosanero, conquistando anche l’apprezzamento di big come il Milan, che lo vorrebbe per la prossima stagione. Eleonora Abbagnato, palermitana di nascita e nipote dell’amministratore delegato del Catania Calcio, Pietro Lo Monaco, sembra essere stata attratta dai calciatori visto che nel 2009 è stata fidanzata di Rolando Bianchi, bomber del Torino e poi si era pure vociferato un flirt con l’attaccante di Milan e Roma, Marco Borriello.

Antonio Fiasconaro

Creative cook e la cucina profuma di zenzero

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3592515930_ae392a3a8d_oParola di blogger oggi bussa alla porta di una creative cook, così si definisce Sandra Salerno, l’ideatrice di Un tocco di Zenzero. La porta si apre e ci ritroviamo in una cucina ricca di idee e voglia di descrivere sensazioni, emozioni correlate al cibo in mille modi: dalle lezioni di cucina alla stesura di menù a tema, dai mini catering alle consulenze gastronomiche passando per le cene a domicilio (Ti.Ni.)

Al Castello Utveggio, un premio ed una riflessione sull’alimentazione

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cerisdibuffetL’alimentazione come nuova piaga del consumismo e di questo ventunesimo secolo. Una parte del mondo ha troppo, una parte ha troppo poco e tra queste due grandi verità si delineano motivi di crisi, da un lato economica e da un lato legata allo star bene, alla salute pubblica. Venerdì 10 giugno è stato conferito, presso la sede del CERISDI al Castello Utveggio e in collaborazione con Acqua Minerale Geraci, il Premio Nazionale “Chirone” al Professore emerito dell’ateneo di Pisa, Aldo Pinchera.

La definizione di cura riguarda tutte quelle attività che si fanno per riparare e preservare il mondo, dunque anche l’essere umano. Con tali parole il presidente del CERISDI, Prof. Adelfio Elio Cardinale, introduce l’argomento conducendolo al nocciolo della questione: la medicina è, o per meglio dire deve tornare ad essere, un’arte ovvero quella scienza che ha come studio l’uomo. La salute non ha prezzo eppure le cure hanno un costo e molte delle malattie che oggi affliggono la popolazione Italiana sono correlate con l’aumento di peso.

Se è vero che la Sanità si occupa di salute pubblica a 360 gradi, spiega il Sottosegretario al Ministero della salute, On.le Francesca Martini, è altrettanto vero che solo una diffusione capillare delle informazioni, una tendenza diffusa all’attenzione verso ciò di cui ci si ciba, potrà portare la qualità della vita a livelli accettabili: longevità, tra nutrizione e stili di vita per vivere non solo più a lungo, ma anche meglio.

Oggi il quadro epidemiologico nazionale indica due settori di patologie che conducono a decessi, quello oncologico e quello Cardiocerebrovascolare, ed entrambi dipendono strettamente dall’alimentazione. Il 43% della popolazione si presenta in sovrappeso, di questi il 10% ricadono in casi di grave obesità, persino i bambini, seguendo stili di vita estremamente scorretti che arrivano da oltreoceano, hanno difficoltà a mantenere un normopeso e merendine, pasti fastfood, di certo non aiutano. L’unico strumento efficace per contrastare questa tendenza è la prevenzione. Essere in sovrappeso non è cosa trascurabile, oggi l’obesità è considerata a tutti gli effetti una malattia e l’errato rapporto con il cibo crea delle dipendenze paragonabili a quelle che attanagliano i fumatori.

Il diabete diviene una epidemia silenziosa che miete vittime, colpa di eccessivi quantitativi di grassi e zuccheri ingeriti, la medicina più che sul sintomo dovrebbe giocare la battaglia sul campo della prevenzione: nutrizione bilanciata, corretta attività fisica, screening a tutto campo per contrastare l’insorgere di sofferenze a carico dell’organismo. La certezza giunge da autorevole voce, il il prof. Luigi Fontana, direttore del reparto di Nutrizione ed Invecchiamento dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss), sostiene che una corretta alimentazione regala 15/20 anni di vita in più, e nella migliore forma per rispettare quel mens sana in corpore sano. Le aspettative di vita medie si attestano sugli 80 anni mentre la vita in salute sembrerebbe essere garantita fino ai 50 anni, è proprio cambiando stili di comportamento a tavola che questa rotta potrà essere dirottata verso un invecchiamento felice.

Il Professore emerito dell’ateneo di Pisa, Aldo Pinchera relazione sul tema dell’obesità, quell’aumento di peso che ha caratteristica negativa, una condizione cronica contro la quale bisogna misurarsi giorno dopo giorno ed anno dopo anno, che espone la persona a complicazioni mediche ben più profonde e pericolose. Non bisogna dimagrire per seguire l’impulso estetico, bisogna farlo per vivere meglio e di più. Se per milioni di anni l’uomo è stato magro allora questa condizione esplosa negli ultimi 50 anni è decisamente legata allo sviluppo, al benessere, in un rapporto genetica/ambiente che ha perso l’equilibrio. Non si può agire sulla genetica, resta dunque la possibilità di agire sull’ambiente per ristabilire la giusta tendenza.

Il Prof. Pinchera riceve il premio “Chirone”, attestato di merito alla carriera, nella volontà di dare una risposta al “giovanilismo rottamatore”, ai tanti giovani che non comprendono appieno il come l’ascolto debba tornare al centro dell’attenzione e il come la perdita della coscienza anziana di un lavoratore sia paragonabile all’incendio di una biblioteca. Riceve questo premio perché nel mettere al centro dei suoi studi la tiroide, che egli stesso definisce il centro dell’anima senza la quale non si può avere una vita “vera”, rilancia una nuova sfida: la nutrizione, regolarsi sul troppo e sul troppo poco. Studiare gli effetti negativi, dettati da una scorretta alimentazione che conduce l’individuo a manifestare carenze di micronutrienti, e prevenirli. Attenzione massima dunque all’assunzione di Iodio, attraverso il sale iodato per esempio, di Vitamina A, Vitamina D (carente in particolar modo nel soggetto obeso), folati (Acido folico) e ferro, tutti elementi indispensabili all’organismo già a partire dalla sua stessa gestazione.

Mangiare meglio per vivere meglio, alimentarsi bene per vivere di più non è solo una moda, una tendenza o un capriccio, ma la volontà di prevenire malattie che arrecano danno irreparabili per cui sì al naturale, al biologico, sì all’attività fisica e all’attenzione: essere grasso non è essere brutto, ma è pericoloso.

 

Tiziana Nicoletti

Palermo dolce come lo zucchero: quello delle torte di Renato Ardovino.

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ardovino_homeUna gioielliera “ storica” con il pallino dei dolci, una signora, moglie di medico e sorella di pasticciere, una pasticciera professionista, una casalinga con l’hobby degli zuccheri: questo è il variegato campione delle “allieve” del Cake Designer Renato Ardovino che – nella stupenda cornice dello storico Grand Hotel et Des Palmes di Palermo, ha tenuto un corso di Cake Decorating

Un week end di dolcezza quello in corso a Palermo: dolce dall’inizio alla fine.

renato_ardovinoDal caloroso benvenuto a suon di plum cake da parte di un uomo dolce per antonomasia – il pasticciere Renato Ardovino,alla dolcezza del colore rosa: il colore tema del corso palermitano in cui una ventina di donne ed un solo uomo si sono cimentati nella realizzazione di quello che oggi si potrebbe definire un “must have”: avere la competenza e la conoscenza giuste per poter realizzare – ma meglio sarebbe dire confezionare- una torta in stile inglese. Ovvero una torta artistica, rivestita in pasta di zucchero. Una moda dilagante che ormai coinvolge appunto tutti: a qualsiasi età e con qualsiasi background professionale alle spalle, tutti vogliono in qualche modo avere le mani in pasta. E se la pasta profuma di zucchero filato non è poi tanto difficile capire il perché.

 Ed eccole quindi, seguite dal Maestro, in una delle belle sale dell’ Hotel Des Palmes, armate di mattarello, formine, formelle, vassoi e vassoietti. Ma soprattutto armate di bisturi: si perché per rifilare, tagliare, ritagliare e definire questi piccoli capolavori il taglio deve essere netto, deciso. Ed il taglio del bisturi è inappellabile: può però essere perfetto ma anche risultare disastroso, ed irrecuperabile. Occorre mano ferma, pratica, attenzione. Non si tratta dunque di mettere insieme i cinque o sei ingredienti per realizzare una torta: quella è la fatica minore. L’impegno vero inizia dopo: quando, in teoria, si dovrebbe essere alle rifiniture. E’ li che la vena artistica di Ardovino tracima dando luogo a creazioni a dir poco stupefacenti.

Si inizia dall’uso dei colori alimentari dato che la pasta di zucchero nasce bianca come la glassa: il colore va dosato, incorporato, ottenuto. Poi si passa alla lavorazione stessa della pasta, che inizia a cedere al calore delle dita diventando materia elastica, plasmabile.

Osservo con ammirata curiosità il muoversi svelto delle mani e mi stupisco a chiedermi come tutte quelle signore facciano a resistere dal prendere quella pasta a morsi. Ma forse me lo chiedo perché io faccio un altro mestiere. E quindi partono i mattarelli, attorno a cui si avvolge il disco rosa di pasta di zucchero che a breve diventerà il rivestimento di una delle sezioni di cui è composta la torta.

 

Il tutto è estremamente affascinante, come affascinante è curiosare tra gli “attrezzi del mestiere”, trucchi e trucchetti: ampolle, contenitori, forme, pennelli, aromi e colori. La torta che ne risulterà è uno smerlettante tripudio di dolcezza rosa.

“Palermo è bellissima” – dice Ardovino, che è di Battipaglia – “ ed ha risposto bene: il corso è al completo da tempo. E’ bellissimo vedere tanta passione e tanta partecipazione, ma non è sempre tutto magico e rilassante come può sembrare a prima vista”. E mi basta poco per capire che di sicuro è un gran bel mestiere, ma che questo suo carattere “itinerante” lo rende sicuramente faticoso. Il corso palermitano infatti è solo uno dei tanti tenuti da Renato Ardovino in lungo e in largo per il Paese. A malincuore lascio la sala pressata da altri impegni, ma non prima di aver avuto la fortuna ed il privilegio di vedere in anteprima la torta che le allieve realizzeranno.E dire che oggi è solo il corso base: chissà cosa combineranno domani le signore del corso avanzato…

Le torte di Renato Ardovino potete vederle ( e perché no, ordinarle ) al sito www.letortedirenato.it mentre per saperne di più sui corsi, sulle date e le locations nell’immediato futuro, il sito da consultare è quello della Silovoglio Events, www.silovoglioevents.it

Alessandra Verzera

San Giovanni e la notte delle streghe

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lumache2“La lumachella de la Vanagloria, ch’era strisciata sopra un obbelisco, guardò la bava, e disse: – Già capisco che lascerò un’impronta ne la Storia”. In effetti Trilussa aveva ragione; la cucina romana ha nella lumaca vignarola, uno dei richiami più alti e significativi della tavola. I Romani dei secoli prima e dopo Cristo erano già ghiotti di lumache e ad un certo Fulvio Lappino  sembra vada il merito di aver trovato il modo di allevarle (Ro. D.)

Lo stesso Apicio inserisce nel suo De Re Coquinaria ( libro VII, XVIII) le ricette con le chiocciole fra i piatti prelibati. A quei tempi erano molto pregiate le lumache piccole, bianche, allevate nel Reatino. Altre, molto grosse, si facevano arrivare addirittura dall’Illirico. Altre ancora più grandi, tanto da avere gusci capaci di contenere dieci litri, arrivavano dall’Africa. In tempi più recenti, le lumache facevano la loro comparsa sulle tavole dei romani in occasione della celebrazione della festa di S: Giovanni, alla quale erano un tempo connessi molteplici riti, in una commistione di fede e superstizione. Questa festa prosegue ancor oggi anche se purtroppo sempre più stancamente. Un tempo, invece, era davvero molto sentita dai romani  che si riunivano a piazza san Giovanni in Laterano nella notte tra il 23 e il 24 giugno. S. Giovanni non è come molti pensano il santo delle streghe, ma il protettore contro i malefici e la stregoneria, e in suo onore si compivano le pratiche superstiziose di cui sopravvivono antichi riti propiziatori del solstizio d’estate: infiorate, falò o fuochi di S. Giovanni, raccolta della rugiada e dell’erba di S. Giovanni, ecc.

In quella notte, si riteneva che le streghe si radunassero per recarsi a Benevento, loro capitale, dove si sarebbe tenuto il grande sabba intorno ad un albero di noce. E si credeva di poterle vedere, nonostante la loro capacità di rendersi invisibili, semplicemente munendosi di un bastone con in cima una forcella. La Basilica Lateranense dedicata al Santo (che subì il martirio a causa di Salomè, seduttrice e strega ante litteram), la notte di San Giovanni diventava inaccessibile alle donne perché colpevoli della morte del Battista. Queste allora si fermavano sul sagrato della Basilica, dove la sera della vigilia si svolgevano particolari cerimonie religiose e in abiti maschili insidiavano ritualmente gli uomini chiedendo loro un compenso in denaro.

Questa era anche la notte in cui gli innamorati si scambiavano promesse di amore eterno e si aprivano al pubblico i bagni del Tevere, perché si credeva che in quest’occasione il santo conferisse virtù taumaturgiche alle acque.

Ancora alla fine dell’Ottocento era consuetudine per i romani ritrovarsi nelle osterie fuori porta San Giovanni, per banchettare con vino e lumache e spesso accadeva che gli osti per accontentare anche gli ultimi arrivati introducessero nei gusci vuoti delle chiocciole che altri avventori avevano vuotato e coscienziosamente succhiato poco prima. Lo sparo del cannone di Castel Sant’Angelo segnava la conclusione della festa. All’alba, il papa si recava a San Giovanni per celebrare la messa alla presenza  delle autorità religiose e politiche. E al termine della solenne funzione, dalla loggia del Laterano, lo stesso pontefice gettava monete d’oro e d’argento, scatenando la folla sottostante. Una processione religiosa attraversava poi le vie della città mentre nel pomeriggio il canto dei Secondi Vespri nella Basilica Lateranense chiudeva le celebrazioni. Durante i secoli la festa si arricchì e si fece più organizzata traducendosi dal 1891 in un festival della canzone romana. Il festival si svolse ogni anno arricchendosi con le sfilate di carri dei differenti rioni ed una crescente e chiassosa partecipazione popolare – provocando, tra le critiche, quella di Trilussa, secondo il quale per scrivere una canzone per la competizione bastava “la spighetta, er garofano coll’ajo, / er bacetto, le streghe e quarche sbajo”. La tradizione proseguì anche sotto il fascismo- dopo l’interruzione della prima guerra mondiale – coinvolgendo poeti, musicisti e cantanti. Oggi la tradizionale festa di San Giovanni sopravvive ancora.

In molti quartieri popolari è rimasta la tradizione di consumare in grande copia le lumache vignarole, un tempo portate in voluminosi cesti di vimini dalle venditrici ambulanti al grido di “Lumacheee! So de vigna le lumacheee! ” Le vignaiole mantenevano vive le lumache con pezzi di mollica bagnata e qualche foglia di vite.

Vi propongo la ricetta originale, che si tramanda fra le famiglie romane di generazione in generazione,  suggerita da Ada Boni

 

Lumache di vigna

In possesso di una certa quantità di lumache, preferibilmente raccolte nelle vigne si adunano in un grande recipiente- di solito si adopera un cesto di vimini- e si copre questo cesto badando che l’aria possa comodamente circolare. Nel recipiente o nel cesto si mettono due pezzi di mollica bagnata nell’acqua e spremuta e, avendone a disposizione, qualche foglia di vite. Si lasciano così in riposo le lumache per due giorni trascorsi i quali si procede alle prime operazioni.

Si versano le lumache in una grande catinella continente acqua con un pugno di sale e un bicchiere di aceto, e si comincia con le mani a mescolare le lumache, che sotto questo lavaggio caveranno abbondantissima schiuma. Si lavano a lungo rinnovando un paio di volte l’acqua con l’aceto e il sale, fino a che le lumache non faranno più schiuma. Si risciacquano allora accuratamente in acqua fresca, che si cambierà più volte, e poi si mettono le lumache in un piccolo caldaio con acqua fredda e si pone il caldaio su fuoco debole. Man mano che l’acqua intiepidisce le lumache incominceranno a metter fuori la testa dal loro guscio. E’ questo il momento di intensificare il fuoco affinché le bestiole possano passare a miglio vita senza rientrare nella loro casetta. Raggiunta l’ebollizione si lasciano bollire le lumache per una decina di minuti. Passano ancora nella catinella con acqua fredda per un ultimo lavaggio. Si prende ora un largo tegame di terraglia, ci si mette dell’olio e qualche spicchio d’aglio e quando l’aglio avrà soffritto si toglie via aggiungendo tre o quattro alici lavate, spinate e fatte a pezzetti. Si schiacciano le alici con il cucchiaio di legno e, appena sfatte, si mette nel tegame una quantità di pomodoro proporzionata alla quantità delle lumache, ricordando che per questa pietanza il sugo deve essere piuttosto abbondante. Il pomodoro va spellato, privato dei semi e fatto in pezzi. Quando la salsa sarà un po’ addensata si condisce con sale, abbondante pepe e un pizzico di foglie di menta dei campi, conosciuta a Roma col nome di “mentuccia”. Generalmente si usa rendere più piccante la salsa aggiungendo anche qualche pezzetto di peperoncino. Se la salsa fosse troppo spessa si diluisce con un pochino d’acqua. Si mettono nel tegame le lumache e si lasciano insaporire su fuoco moderato per circa mezz’ora.

Roberta D’Ancona

Morgantina: storia, cultura e gusto

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afroditedimogantinaLa statua ellenistica “Venere di Morgantina” dopo molti giri e  molti anni in cui fu esposta al museo Paul Getty di Los Angeles, è rientrata nella primavera 2011 in Sicilia, dove la si può ammirare presso il museo di Aidone, provincia di Enna, vicino all’area archeologica di Morgantina, da dove fu trafugata dai tombaroli trent’anni fa. Ci sono state e ci sono, molti dibattiti e polemiche su questo rientro della dea, e anche se il territorio non è ancora pronto all’invasione piacevole dei turisti che vogliono ammirarla, con il tempo si spera che anche i servizi saranno all’altezza dell’area archeologica. Ma qui, oltre la storia vi è anche il gusto.


morgantina1Il ristorante EYEXEI sposa territorio, cibo e cultura.A pochi metri dal sito archeologico di Morgantina qui si possono assaggiare cibi della cucina contadina, pasta fatta in casa con sugo casareccio e vino rosso, il tutto in un’atmosfera tipica e in mezzo ad alberi d’ulivo secolari. I piatti cambiano in base alla stagione, e sono tutti preparati con prodotti di produzione propria. Gli antipasti casarecci, olive, pane cunsatu con olio e peperoncino, pomodori secchi e ricotta, carciofini, melanzane alla griglia e molto altro, arricchiscono i palati più genuini. Il sugo che condisce i maccheroni fatti in casa è composto da un ragù di carne che ricorda i vecchi sapori contadini. Ma il piatto forte è il secondo: un piatto composto da carne di maiale, di vitello e di pollo arrostita al momento sulla brace e condita con un salmoriglio tipico della tradizione siciliana, composto da buon olio d’oliva spremuto a freddo e aromi. I coperti sono 53 suddivisi in parte all’interno di un canneto e in parte all’interno di un casolare rustico; all’esterno, oltre il comodo e ampio parcheggio, c’è un piccolo fabbricato dove gustare caffè accompagnato da gustose e prelibate cassatelle di ricotta fritte al momento.

Giuliana Avila

 

 

Bedda Matri, una gelateria palermitana “conquista” Roma

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Bedda matri santissima! Chi l’avrebbe mai immaginato di imbatterci in una tipica gelateria palermitana proprio a Roma. Ormai da qualche tempo nella Capitale sono “fioriti” locali dove vengono pubblicizzati e venduti prodotti della gastronomia e della pasticceria siciliana, c’è una fortissima inflazione di questi locali ma, è pur vero, che più delle volte si tratta di esercizi commerciali che portano soltanto il logo della Sicilia e poi, alla tirata delle somme, dell’Isola hanno poco o nulla. (A.Fi.)

Non si può dire lo stesso per la gelateria di via Saponara ad Acilia alle porte di Roma. Quando l’abbiamo scoperta, qualche giorno fa, siamo rimasti sorpresi, soprattutto dal nome “Bedda Matri”. Bedda Matri? Ci siamo chiesti. D’incanto ci siano come ritrovati a “casa”, come se fossimo in una gelateria di Palermo, in qualsiasi angolo della Sicilia.

Un ritrovo frequentatissimo sia dai giovani romani che da tantissimi turisti per caso. Così come abbiamo scoperto noi quest’angolo sconosciuto di Acilia. L’impatto con la gelateria è stato di quelli di gran sopresa, quando abbiamo visto al bancone una giovane ragazza vestita di nero con gilet rosa e tanto di piccolo panama rigorosamente nero sulla testa. E poi i profumi, i colori di quei gelati sistemati ordinatamente nei cosiddetti “pozzetti” d’acciaio con tanto di descrizione dei vari gusti: nocciola, cioccolato, pistacchio, anguria, torrone, tiramisù, setteveli ed altri ancora. Ne abbiamo contati almeno una ventina.

E non è finita, singolare l’approccio avuto con un altro giovane alla cassa, quando pagando il nostro “cono” – sorpresa con due euro mi hanno servito un cono gigantesco! – scelto per l’occasione al gusto “setteveli” (davvero una delizia, da leccarsi letteralmente i baffi), nel presentarci abbiamo esclamato “Bedda matri santissima” e il giovane sorridendo ci ha risposto candidamente: “Siciliano sei?”.

Inimmaginabile all’interno del bar anche il resto della pasticceria, anche questa rigorosamente siciliana ed in particolare palermitana. Non mancano le cassate, i cannoli strapieni di crema di ricotta, le cassatine mignon i cosiddetti “minni di fimmini”, torte “setteveli”, mimose e gli immancabili, ed insuperabili “tronchetti” tipici della gelateria siciliana.

Titolari della catena “Bedda Madri” – oltre alla pasticceria e gelateria di Acilia, altri punti vendita si trovano in via Eschilo Roma Axa (rosticceria-pasticceria e gelateria) ed ancora in via Alessandro Severo, nella zona di San Paolo, quest’ultimo punto vendita è stato inaugurato lo scorso 7 maggio – sono Valentina Oliveri e Roberto Oliva.

“La nostra catena – sottolinea Valentina Oliveri – è nata circa otto anni fa, da una idea di un palermitano doc, Vincenzo. Siamo un’azienda a gestione familiare e ne siamo davvero orgogliosi. Tutti i nostri ingredienti che utilizziamo sia per la rosticceria che per la pasticcerie e gelateria sono selezionati accuratamente per offrire alla nostra clientela il meglio dei sapori della Sicilia”.

Insomma, chi viene da voi è come se facesse un viaggio tra i sapori ed i profumi della cucina e della pasticceria siciliana?

“Si, senza alcun dubbio. Chi frequenta i nostri locali ha espresso sempre apprezzamento per i nostri prfodotti. I nostri cavalli di battaglia se così si possono definire sono la pasta con le sarde, gli anelletti al forno, le panelle, la caponata, le sarde a beccafico, lo sfincione, i rollò e le arancine. Facciamo anche le pizze e non solo a taglio”.

Ed i gelati? I romani che gusti predigono?

“Gustano e mangiano ben volentieri il gelato alla nocciola, al pistacchio, quello setteveli. Ma non mancano nemmeno le granite di caffè o di mandorle e gelsi. Da noi facciamo anche gelati alla frutta e vanno forte soprattutto il gusto al limone e alla fragola. Insomma siamo davvero soddisfatti della nostra clientela”.

Antonio Fiasconaro

 

 

 

 

Gelateria Bedda Matri, Via Alessandro Severo 240
00145 Roma (San Paolo)
Tel.: 06-5942104

Aperto tutti i giorni dalle 11.00 alle 24.00