Home Blog Pagina 156

Guru dei “fornelli” nella “vetrina” di Anforchettabol

0

Un titolo curioso, che conferma come la cucina è una cosa da prendere tremendamente sul serio ma con grande, musicale ironia. Si tratta di «Anforchettabol», una rassegna di ritratti di big dell’alta ristorazione. (P.Pi.)

Nato dalla esperienza professionale e dalla fantasia di Antonio Marchello, personal chef che ha raccontato il suo più recente percorso, ormai decennale, da «personal chef», che lo ha portato a  incontrare diverse centinaia di persone: allievi delle sue lezioni di cucina, partecipanti a corsi di team building e clienti di eventi enogastronomici da lui organizzati. Ne è nato il libro, storpiando l’inglesissimo termine (anche titolo di una delle canzoni più armoniose e gradevoli del panorama musicale internazionale di sempre), giocando con l’arnese che in cucina e sulla tavola è regina, la forchetta. Storie che si intrecciano tra profumi e mise en place ispirando ricette, ricordi, gusti, chicche e confidenze culinarie.

Il volume fa parte di «Qbtobe» (il «quanto basta», pizzico immancabile tra gli ingredienti di ogni ricetta, perfetto per personalizzare – o rovinare – una pietanza) un progetto editoriale dove Marchello – spiega – desidera «aiutare ognuno a trovare gli ingredienti giusti per la propria ricetta perfetta, la ricetta per essere…». Stimolare la curiosità, l’attività sensoriale per sperimentare, evocando ricordi, e la cucina è l’ambiente perfetto per questo.

«Anforchettabol», edito in autunno, è una raccolta di dodici interviste ad altrettanti chef di fama internazionale corredato dalle immagini scattate da Monica Placanica. Volti per molti, ma non per tutti, ormai familiari: Andrea Berton (Ristorante Trussardi alla Scala, Milano), Andrea Provenzani (Il Liberty, Milano), Carlo Cracco (Cracco, Milano), Claudio Sadler (Sadler, Milano), Davide Oldani (D’O, Cornaredo – MI), Luca Montersino (Golosi di Salute), Matteo Torretta (Ristorante Foodart, Milano), Maurizio Santin (Gambero Rosso Channel), Pietro Leeman (Ristorante Joia, Milano), Simone Rugiati (Gambero Rosso Channel), Tano Simonato (Ristorante Tano Passami l’Olio, Milano), Viviana Varese (Ristorante Alice, Milano).

Veri guru ai fornelli, testimonial di un modo moderno, anche un po’ glamour oggigiorno, di indossare il grembiule divenendo veri personaggi, specie ora che la cucina d’autore fa anche spettacolo in tv, negli eventi culinari e sulla stampa. Ma ritratti senza lo «scettro» dello chef. Profili personali, quotidiani, informali, spesso risalenti all’infanzia, ai ricordi, rievocando i sapori semplici tipici del «piatto forte» della cucina della nonna, quello della visita, quello della domenica, o semplicemente quello di casa, odori che restano nell’animo indelebili.

Il libro è stato presentato nel settembre scorso all’evento «Taste of Milano». Antonio Marchello, classe 1971, dopo alcuni anni di formazione in diversi ristoranti italiani e non solo, oggi è stylist e giornalista ma al tempo stesso organizza e cura cene private ed eventi come personal chef in Italia e all’estero. Nel 2010, nasce «Qbtobe», laboratorio sensoriale ed emozionale suggerendo lezioni di cucina, corsi di cooking team building, degustazioni enogastronomiche.

Paola Piovesana

Apulia Wine Identity 2011: verticale “ Il Falcone Rivera”

0

Nell’ambito dell’ interessante manifestazione pugliese che ha visto riuniti cinquanta tra i più importanti giornalisti enoici del mondo , ecco una speciale verticale delle annate 1995-2000-2005-2006 di uno dei vini simbolo della Puglia.

Sono stati giorni intensi ed interessanti quelli in terra pugliese per la prima edizione di Apulia Wine Identity svoltasi dal 22 al 27 novembre 2011 promossa dal Consorzio Puglia Best Wine , evento che ha permesso ai cinquanta giornalisti specializzati presenti di approfondire vini e territori del meglio dell’enologia pugliese.
Dopo ben cinque differenti eno-tours nelle aree storiche della regione dalle terre dell’alta Murgia fino al basso Salento , le giornate di degustazioni ufficiali a Trani presso l’Hotel San Paolo al Convento sui vitigni più rappresentativi il Nero di Troia , il Primitivo ed il Negramaro hanno mostrato una netta crescita qualitativa del vino pugliese ed hanno fatto comprendere a pieno il profilo organolettico e sensoriale dei vini. Nel corso delle sezioni di tasting per vitigno “en primeur” dell’annata 2010 ogni membro della giuria internazionale ha compilato per ogni campione una scheda a punteggio , in conclusione il rating raggiunto dai vini dai tre vitigni ha decretato una vendemmia 2010 a 4 stelle con i punteggi medi di 86/100 per il Primitivo , 85/100 per il Nero di Troia e 83,5/100% per il Negramaro.
Tra la scelta delle varie azienda da visitare nelle quali poter effettuare un tasting completo di tutta la gamma produttiva , ho scelto una delle aziende storiche pugliesi , Rivera. Sebastiano de Corato proprietà ed anima dell’azienda accoglie me ed i colleghi Thomas Brandl Germania , Choy Lok Kin Cina , Jacqueline Friedrich Stati Uniti , Norbert Heine Germania , Rocco Lettieri Svizzera con cordialità e gran piglio sfoderando un perfetto inglese.
Ci troviamo nell’agro ventilato di Andria , i terreni dell’azienda si trovano in parte sulle rocce quasi affioranti della Murgia ad un’altitudine di 350 m. s.l.m., altri nelle propaggini calcareo tufacee che dolcemente degradano verso il mare a quote più basse intorno a 180 s.l.m., le uve coltivate sono le varietà autoctone Nero di Troia, Bombino Nero, Uva di Troia, Pampanuto, Aglianico, Montepulciano ed anche i vitigni internazionali Chardonnay e Sauvignon Blanc.

Il Falcone è Doc Castel del Monte Riserva ed è composto da 70% da Uva di Troia e 30% Montepulciano, la sua prima uscita è il 1971. Sebastiano de Corato ci mostra lcon orgoglio a prima bottiglia prodotta di questo grande rosso pugliese e indicando una ci spiega su una cartina le caratteristiche dei terreni di produzione ed i relativi venti che soffiano sul comprensorio. Il nome “Il Falcone” è un omaggio all’imperatore Federico II di Svevia e alla passione con cui si dedicava alla caccia con il falcone nelle campagne che circondano Castel del Monte. Le uve dopo accurata selezione  spiega su una Doc  ancor più sono vinificazione in acciaio con macerazione di 12-14 giorni, il vino matura in barriques dove permane almeno 14 mesi.

Ecco le quattro annate analizzate in verticale:

Annata 1995
Nel bicchiere è granato con lievi riflessi aranciati, mostra al naso un interessantissimo stacco olfattivo per balsamicità e dolcezza, frutti rossi macerati, china, tabacco scuro, humus. L’entrata in bocca mostra un vino perfettamente godibile a sedici anni dalla vendemmia, sensazioni di calore e morbidezza raffrescati da un tannino ancora percettibile. Lunga scia sapida.

Annata 2000
Dal vivo colore granato colpisce al naso per la variegata girandola di sentori, mora e cassis disidratati, note di fungo, foglia di tabacco, spezie, carrube e balsamo. In bocca è di gran piacevolezza ed eleganza, pieno di un tannino si maturo ma tonico e di gran pulizia espressiva.

Annata 2005
Veste visiva rosso rubino d’estrema compattezza, olfatto intenso di viola, ciliegia scura e mora matura, toni vanigliati, vegetali e balsamici. Permea il palato di calore, grande freschezza e tannino asciugante, netti richiami all’olfatto nel teso finale.

Annata 2006
Dal lucente colore rosso rubino, accostandolo al naso inebria di viola, frutti rossi giovani, ciliegia, lampone, toni di stampo vegetale e liquirizia. Corposa di gioventù la progressione gustativa caratterizzata da frutto e da viva spalla acida, tannino irto e sorso saporito.

L’annata 2000 è decisamente la più intrigante, un mix poliedrico nel quale il frutto ed i sentori terziari giocano un ruolo paritetico, anche se ad onor del vero ognuna ha mostrato a pieno positive caratteristiche relative allo proprio stato evolutivo. Non c’è che dire, un grande vino del Sud.

Luigi Salvo

Vinitaly

0

Conviene davvero a un’azienda del vino pagarsi uno stand al Vinitaly? La domanda sorge spontanea. Anzi, risorge spontanea perché da qualche anno un numero sempre maggiore di imprese del settore, mormora, borbotta sottovoce. In qualche caso prende il coraggio a due mani e pubblicamente dichiara che diserta. Ultima in ordine di tempo, la marsalese Pellegrino: non una piccola casa, stavolta, ma una grande azienda la cui scelta è destinata a far discutere. E riflettere. “Vinitaly? Non è più una fiera del business – ha motivato Emilio Ridolfi, direttore commerciale Italia – ma una manifestazione per le pubbliche relazioni. Ha un costo elevato, un grosso peso sul bilancio, non ne vale la pena”. Il punto è che disporre di uno stand alla fiera veronese, non costa mai meno, nella migliore delle ipotesi, di 15-20 mila euro. Perché al costo degli spazi, anche se minimi, bisogna aggiungere quelli per progetto grafico, hostess, personale, viaggio, vitto, alloggio, transfert. Ancora, per eventuali iniziative ed eventuali ospiti. Insomma, un bell’investimento che in tempi di pesanti manovre nazionali, mercato asfittico e recessione in marcia, più che una sfida diventa una scommessa vera e propria. Per questo la decisione di Pellegrino rinfocola il dibattito, che non può fermarsi, però, al tema del viaggio nella città di Romeo e Giulietta. La questione sul tavolo riguarda le forme e gli strumenti migliori del marketing e della comunicazione delle aziende. Come dire: meditate gente. Meditate. Prima di imbarcarvi.

Umberto Ginestra

Showcolate, Napoli capitale del cioccolato

0

Straordinario successo della III edizione della più esclusiva manifestazione che inneggia al “cibo degli dei”, che ha visto protagonista il cioccolato nelle sue forme più estrose e anche più divertenti. Per quattro giorni la Mostra D’Oltremare del capoluogo partenopeo è stata cornice perfetta nell’accogliere la rassegna dell’oro marrone (M.Ma.)
 

Per Santa Lucia un “cocciu” alla…volta

0

cuccaChe Siracusa sia stata colpita da una grave carestia nel 1646, durante la dominazione spagnola, è storia. Che nella disperazione del momento sia giunta una nave carica di frumento e che questa circostanza sia stata ritenuta un miracolo, è possibile. Certo è, però, che da quel momento alla devozione per Santa Lucia è stato associato l’uso del mangiare cuccia il 13 dicembre di ogni anno. (P.Gi.)

Il nome “cuccia” può derivare dal sostantivo “cocciu”, chicco, o dal verbo “cucciari”, cioè mangiare un chicco alla volta. La tradizione vuole che questo dolce sia distribuito a familiari, amici e vicini di casa. Le briciole si lasciano su tetti per essere catturate dagli uccellini, a Trapani viene accompagnata con il vino cotto a Palermo con ricotta e cioccolata nella Sicilia orientale con crema di latte.

 

LA RICETTA

per 6 persone

 

Ingredienti:

 

500g di grano

 

100g di ceci

 

13 fave secche

 

1 buccia d’arancia

 

3 foglie d’alloro

 

5 cm di una stecca di cannella

 

Procedimento:

 

Mettere ad ammollare per 24 ore con una punta di bicarbonato,il grano i ceci e le fave.

 

Far cuocere per circa 4 ore aggiungendo la buccia d’arancia, le foglie d’alloro e la cannella

 

A cottura ultimata togliere il brodo che avanza e aggiungere un po’ di acqua. Chiudere la pentola ermeticamente e far riposare per 4 ore.

 

Servire la cuccia irrorandola con il vincotto

Peppe Giuffrè

La Contraddizione della tradizione: Santa Lucia non vuole pane? E la panatura passa in cavalleria!

0

Una tradizione radicata nella cultura di noi, popolo siculo. Sin da bambina la nenia è stata “a Santa Lucia niente pane, pasta o farinacei”. Un tempo ormai passato, circa un ventennio in archivio di memoria, i panifici chiudevano i battenti per il giorno della Santa la cui devozione vien servita in tavola tra arancine, panelle e cuccia rivisitata (Ti.Ni.)

L’olio extravergine d’oliva viaggia sui… binari italiani

0

Un treno in viaggio lungo tutto lo stivale per promuovere tutto il buono dell‘olio d’oliva extra vergine 100%. La nuova campagna di promozione dell’olio italiano viaggia sui binari della rete ferroviaria nazionale, portando da Milano a Napoli, nel corso delle festività natalizie, con un percorso sensoriale per palati fini ma soprattutto per neofiti.(P.Pi.)

Tradizioni: con la festa di Santa Lucia, in Sicilia il “trionfo” di cuccia, panelle e arancine

0

Rivive ogni 13 dicembre la tradizione di festeggiare Santa Lucia, la protettrice della vista. Molte le leggende sorte intorno al suo martirio. Ma, in Sicilia, la tradizione e la devozione per questa Santa si “sposano” con l’alimentazione e l’enogastronomia, soprattutto quella popolare. (A.Fi.)

Si racconta che, durante una carestia, la Santa abbia fatto giungere in Sicilia un carico di grano, immediatamente consumato intero dal popolo affamato. Da allora molti credenti fanno la penitenza di non mangiare cibi che contengano grano macinato, sostituendo il pane e la pasta con la cuccia o con le classiche e gustosissime panelle.


Il 13 dicembre è, quindi, una vera e grande festa all’insegna della gastronomia popolare. Se per Santa Lucia non si mangia soprattutto pane, in compenso – secondo quanto riferisce l’etnografo siciliano Giuseppe Pitrè – come penitenza si mangiano legumi, verdure, sole o messe insieme. Le friggitorie e le rosticcerie, in particolari quelle ambulanti, per l’occasione “parano” le loro botteghe a festa con panelle fritte fatte con farina di ceci e contenute in piatti di alluminio.

La panella si presenta dorata e venne importata tra il IX e il XII secolo dagli arabi, popolo avvezzo alla sperimentazione gastronomica. Il destino di questa sfoglia sottile è condiviso con le crocchè, o “cazzilli”, come vengono chiamate comunemente dai palermitani dei quartieri popolari. Sono una sorta di supplì di patate setacciate. Poi nell’impasto occorre aggiungere dell’aglio tritato, prezzemolo, sale e pepe. Si formano così delle crocchette ovali, che si friggono in abbondante olio di oliva. Panelle e crocchè sono inseparabili, stanno sempre accanto e spesso vengono consumate insieme, nello stesso panino.

La cuccia, è fatta con grano messo in acqua qualche giorno prima e cotto in acqua semplice o latte. Oggi fa parte della famiglia dei dolci e si condisce con crema di ricotta e con dadini di cioccolato fondente.

A Palermo la cuccia si prepara anche col miele, mentre in alcuni paesi della Sicilia ed in particolare in quelli della provincia di Palermo, la tradizione vuole che nelle case ancora oggi la cuccia venga semplicemente bollita e poi mangiata aggiungendo un filo d’olio e prima di consumarla è d’obbligo farsi il segno della croce in devozione della Santa.


Ed è anche il trionfo dell’arancino o arancina come viene chiamata a Palermo, che viene consumato alla carne o con pezzetti di formaggio e prosciutto. Nei quartieri popolari come Ballarò, Vucciria e il Capo nel giorno di Santa Lucia c’è un maggiore consumo di sfincioni, abitudine che non è in coerenza con la tradizione. E’ un cibo saporito condito con salsa di pomodoro ed altri ingredienti come acciuga e caciocavallo che  danno un buon sapore, ma il condimento essenziale è la mollica; quest’ultima conferisce alla sfincione una propria identità. E’ una pietanza povera ma con molte calorie. I venditori vanno in giro con bancarelle o con la caratteristica motoape ed il tipo slang dell’abbandiatore.

Antonio Fiasconaro

A Palermo sotto l’albero di Natale anche le birre. Due giorni all’insegna di profumi, aromi e sapori

0

Crisi o non crisi, il Natale è la festa per eccellenza dei… regali. Dello scambio dei “cadeau”. Ma il Natale di quest’anno ha anche un altro gusto, quello della birra. E per due giorni Palermo sarà al centro dell’attenzione con “Le birre sotto l’albero”. Due appuntamenti per scoprire le birre natalizie tra profumi, aromi e sapori. (A. Fi.)

Lo chef Carlo Cracco promuove la riscoperta della cucina d’autore della Lombardia nel nome di “Maestro Martino”

0

Lo chef Carlo Cracco promuove «Maestro Martino, Milano gourmet experience», un percorso turistico alla riscoperta della cucina d’autore della Lombardia come preambolo dell’avvio dell’Accademia internazionale di alta cucina. Nomi prestigiosi per un ambizioso progetto che prende il nome da Maestro Martino de’ Rossi da Como, il più importante cuoco del XV secolo. (P.Pi)