L’acqua calda? Una grande scoperta, non una banalità

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Volevano elevare il cavolo dalla sua umile condizione di cibo povero. E non solo, ma sdoganarlo anche lessicalmente. Chissà se gli animatori di quel sito ci siano riusciti.Hanno persino  coinvolto una trentina di ristoratori sparsi per tutt’Italia. Sarebbe stata una bella conquista.

In effetti farla finita di far combaciare una  “cavolata” alla sciocchezza, alla stupidità o anche alla corbelleria, equiparerebbe  anche a un recupero di dignità per questo incolpevole ortaggio. Che di onorabilità ne avrebbe tanta. Senza che nessuno mai se ne sia accorto. Almeno sta qui la missione di cui si è fatto carico questo manipolo di chef. E che poi, di tutti questi discrediti, il cavolo   se n’è  sarà fatto un baffo. Insomma, diciamocelo, che cavolo gliene importa al cavolo di questa “sdoganata”! Però se colui che già ha le mani in pasta per svincolare il cavolo dalle sue impasse lessicali riuscisse a sdoganare anche  l’altro luogo comune, quello de “la scoperta dell’acqua calda” allora  sì che la conquista assumerebbe un ragguardevole valore culturale. E farebbe contenti i veri gourmet a cui noi ci sentiamo di appartenere.

Vabbè, si dice: “ha scoperto l’acqua calda”,   è solo una figura grammaticale. E funziona bene quando vuol circoscrivere una cosa ovvia, scontata. Ed è ancor più efficace  come forma riduttiva, se non dispregiativa, per definire in negativo affermazioni e sortite di ogni genere.  Era usatissima nel politichese, oggi molto praticata, se non fastidiosamente inflazionata, non solo nel gergo del quotidiano parlar, quanto nei modelli giornalistici e in articoli di genere  diverso come ad esempio sport, giustizia sportiva, agroalimentare. Urticante però se scappa dai polpastrelli di qualche collega del segmento enogastronomico. Letto pochi giorni fa: cronaca di un convegno sull’agricoltura: “…disponiamo di 6.500 imprese  ma solo il 10% supera i nove dipendenti. A dire il vero è la “scoperta dell’acqua calda”. Articolo firmato. Stessa firma di una rubrica domenicale di un inserto culturale. Dal titolo che “piace molto a lui” e anche a noi per la verità. La stessa di un curatore di una guida enogastronomica. Una firma di prestigio internazionale. Che tale figura professionale usi la metafora della “scoperta dell’acqua calda” ci spiazza e disorienta. Ci spiazza perché arriva da un vero  gastronauta di razza il cui suo nutrirsi di buon cibo non è un esercizio di professione  ma un ricorrente alimentarsi   di buona cultura. E il patrimonio di conoscenze  di cui si è dotato il suo sapere ha reso traboccanti di aneddoti e citazioni storico–letterarie tutti i suoi articoli gastronomici passati che ancor oggi ricordiamo.

Quali ad esempio, il “Brodetto all’anconetana” di  Moreno Cedroni del ristorante La Madonnina del Pescatore di Senigallia o il “Cacciucco alla livornese” di Fulvio Pierangelini ai tempi del suo “Gambero Rosso” di San Vincenzo. Possibile che al buon giornalista sia sfuggito l’ingrediente principe di queste due ricette? Che non è il pescato fresco dell’Adriatico o del Tirreno, ma l’acqua calda a cui pesce e frutti di mare vengono sottomessi  per la loro sublime elaborazione. Detta così sembra proprio che la scoperta dell’acqua calda sia una cosa riduttiva, “da brodetti”. Invece questa scoperta ha cambiato la storia dell’uomo. Uno degli stadi più importanti dell’evoluzione antropologica coincide infatti con la nascita della gastronomia. E la gastronomia è la scienza che trasforma gli alimenti per mezzo del fuoco e quindi dell’acqua calda. La si fa risalire al Paleolitico inferiore e tracce di supporti di cotture come spiedi ed altro trovano conferma nelle pitture rupestri e delle caverne abitate dall’uomo tremila anni fa. Per le cotture in umido, ovvero con l’acqua calda, solo indizi ma un’ipotesi accattivante rimane quella che la cottura in umido si sia evoluta per estrarre dagli alimenti particolari virtù. E grazie all’acqua calda sono nati i brodi e i loro effetti magici, ma anche farmacologici e, ovviamente,  alimentari. Pratica importante, quelle della  cottura, scaturita dall’acqua calda. Che ha poi spinto all’invenzione delle pentole. E poi son  nati i coperchi. Uno dei quali una volta si sollevò autonomamente dinnanzi agli occhi di un giovane sbarbatello. Si chiamava Gorge Stephenson: una folgorazione la scoperta di quel movimento “effetto del vapore”  anzi del “l’acqua calda”. Sfruttare quell’energia? si chiese. Ci  studiò molto e poi molto ancora. Scoprendo che già nel I sec. a.C. anche il greco  Erone aveva utilizzato la forza del  vapore per aprire le porte di un  grande tempio ad Alessandria.  E secoli dopo  che anche Galileo Galilei e Torricelli stabilirono i primi principi alla base del fenomeno “vapore”. Insomma sappiamo come finì. Con la sua invenzione della locomotiva “a vapore”. Una rivoluzione dietro l’altra. Da quella industriale del ‘700 sino a quella dei trasporti. Potenza dell’acqua calda. Che c’azzecca, allora, accostarla alla crisi del fagiolino? Ci consenta, caro gastronauta, ribadirlo ancora una volta. La scoperta dell’acqua calda è una grande scoperta, non una banalità!  Ovvio, no? O anche noi, veri gourmet, così affermando, abbiamo “scoperto… l’acqua calda!?”.

Stefano Gurrera

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