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Il colore arancio della salute. Le clementine della provincia di Taranto alla conquista dei mercati europei

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Nell’arcobaleno dei colori della Puglia, l’arancio ricopre un ruolo primario e non per i tramonti di settembre ma per gli agrumi protagonisti dei paesaggi tarantini. Gli ulivi e i vigneti cedono il ruolo di primo attore alle clementine che lì dove il sole va a dormire ne conservano il saluto, ultimo raggio sull’acqua del mare da dietro una cima “silana” verso la sponda opposta, dove la terra pugliese generosa lo accoglie. (Gi. G.)

Ristorante Nabucco Brera – Milano –

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A pochi passi dalla Scala di Milano, alle spalle del Castello Sforzesco, si trova Brera, quartiere che da sempre affascina artisti di ogni genere: musicisti, pittori, uomini dai destini stravaganti, alla ricerca del piacere dello spirito e del corpo. Originariamente Brera era punto d’incontro per vagabondi e mercanti, scrittori affermati e poeti maledetti (Es.Ca.)

E’ qui che trovavano l’ispirazione, fra donne prorompenti, abili affariste notturne fra gioco d’azzardo e promesse d’amore. Oggi, di quella Brera diffamata, rimane solo un lieve ricordo: di giorno è frequentata da studenti dell’Accademia di Belle Arti avvolti in abiti colorati e professori universitari. E’ di notte, però, che Brera abbandona il caos della metropoli e si catapultata a fine Ottocento, avvolta da una lieve luce di lampade ad olio che illumina venditori di quadri riesumati da chissà quale soffitta, libri antichi e copie rare.

All’ingresso di Brera, in via Fiori Chiari, sorge il Ristorante Nabucco, fra vicoli abitati da maghe ed indovini, lettori di carte e oracoli, piume di struzzo e interpreti dell’incerto futuro. Appena due secoli fa era il bordello più famoso di Milano, durante la Grande Guerra si trasformò in osteria per soldati e forestieri. Oggi, il Nabucco è uno dei più prestigiosi ristoranti milanesi frequentati dalla ‘Milano bene’. Timidamente si presenta: romantici tavolini esterni, all’occhio quasi fin troppo modesti. Che sia sintomo di insofferenza, un segnale, di quella malinconia borghese sospirante contro l’incalzare del tempo e la mercificazione delle arti? Ecco, Nabucco come oasi, un’oasi di ristoro per gli occhi e per il palato, lontano dall’omologazione standardizzata e volgare delle masse. Il menù è una sinfonia di Verdi e le portate scorrono una dietro l’altra, in un crescente divenire melodico.

Per antipasto fiori di zucca soffiati ripieni di ricotta, pepe e cannella, spezie simbolo della colonizzazione d’Oriente di inizio secolo scorso, e un’insalatina di pomodorini pachino e rucola all’arancia accompagnati da pesto alla genovese, completati da un assaggio di mirabile polenta e funghi porcini. Come dire: ecco il Bel Paese di inizio Novecento, il Risorgimento di un popolo e della sua tradizione, all’alba dell’Unità d’Italia e in procinto di far innamorare il mondo di sè con i prodotti della terra, da Nord a Sud. Per primo, tortelli di pasta fresca all’uovo ripieni di carne e bologna: sembra d’essere nella più umile delle botteghe dell’Emilia Romagna. Ma poi, a completare il tutto, arriva lui, il tocco di classe: tartufo bianco.

L’essenza del Nabucco sta in questo piatto: delicatamente snob, ma sobrio. E finalmente i capolavori che hanno reso il ristorante di via Fiori Chiari celebre in tutto il mondo: l’ossobuco, il risotto alla milanese e la cotoletta. Milano e la sua nebbia è in questi piatti: la carne dell’ossobuco è così tenera da confondersi tra la purea di carote con cui è accompagnato, lo zafferano del riso è giallo oro come la guglia della Madonnina, la cottura della cotoletta alla milanese impeccabile.

 Per terminare, i dolci: Tarte des Demoiselles Tatin di mele e pannacotta. Il tutto accompagnato da una Barbera Prunello Dop del 2005 dell’Oltrepo Pavese, imbottigliato presso la fattoria Cavanon di Brescia.La volgarità del fritto dei fast food americani sono distanti anni luce, nulla tocca l’armonia autentica del Nabucco, al tempo stesso umile e chic. Attori e registi che un’ora prima erano in scena allo Strehler, direttori d’orchestra e ballerine. Donne e uomini della ‘Milano bene’, impellicciati e avvolti da gioielli di perle, regali della zia moglie del colonnello d’Etiopia; la nonna che la domenica a pranzo porta i nipotini a mangiare la cotoletta alla milanese, esattamente come suo padre, avvocato, faceva con lei a inizio ‘900 (e come solo il Nabucco da decenni riesce a presentare nel piatto). Ma anche imprenditori tedeschi e borsisti americani, italiani entrati in affari nell’ultimo decennio e venticinquenni dell’Est attratte dalle luci del successo. I borghesi di ieri e i ricchi di oggi si ritrovano in questo ristorante, in cui mediamente bevande escluse, si spende 45 euro a testa. Una clientela variegata e dai forti contrasti, tutta accolta dallo staff di Giorgio, elegante e cortese direttore di sala: ama il Nabucco come fosse metà del suo corpo, con professionalità coccola i commensali come se stessero realmente entrando in casa sua, ospiti attesi in un mondo lontano dalla degradazione urbana della città, lontano dai cartelloni pubblicitari di multinazionali, lontano dalle mode effimere che vengono e vanno.

 

Ester Castano

Ristorante Corona – San Sebastiano Curone (AL)

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Il ristorante Corona a San Sebastiano Curone, in un angolo di vecchio Piemonte rimasto intatto, ha alle spalle tre secoli  di ospitalità, genuinità e tradizione. Trasuda il fascino della cucina di una volta (Co.Pe.)

Ottobre, tempo di tartufi. Come ogni anno, con un piccolo gruppo di buongustai, decidiamo di organizzare una spedizione tra i colli piemontesi e già pregustiamo il sapore e il profumo meraviglioso del prezioso tubero.

Questa volta però snobbiamo il solito Monferrato: seguiamo il consiglio  di un amico e decidiamo di puntare su San Sebastiano Curone, un piccolo paese tra Tortona e Genova, in provincia di Alessandria, dove pare ci sia un ristorante “storico”, da sempre gestito dalla famiglia Fontana e già conosciuto e apprezzato agli inizi del ‘700. Una proposta davvero allettante. La strada per arrivare è molto bella, si snoda attraverso una campagna incontaminata, fra colline verdeggianti e alberi da frutta. A un certo punto, al di là di un fiumiciattolo, si staglia un grappolo di case – una addossata all’altra con un campanile al centro – collegato alla statale da un piccolo ponte di legno. San Sebastiano Curone è un una sorta di zona di confine: siamo ancora in Piemonte, ma l’aria che si respira è già ligure; le case sono coloratissime, con diversi toni di giallo, rosa e arancione e persiane verde brillante. La facciata del nostro ristorante, il mitico “Corona”, invece è piuttosto anonima e di certo non dà modo di immaginare l’eleganza degli spazi al suo interno. L’ingresso è un bar “vecchia maniera” con annessa una sala di una trentina di coperti; proseguendo, si entra in una saletta più raccolta, con pareti rosse e pavimento in legno. Al piano di sopra si apre, invece, un ampio salone con oltre 40 posti, lampadari di cristallo, mobili antichi e una decisa atmosfera retrò.

Tutti i tavoli sono apparecchiati con posate d’argento e piatti Richard Ginori. Scegliamo la saletta rossa, per stare più tranquilli.

Matilde  Fontana (*) e la figlia Marta – le padrone di casa – ci accolgono con simpatia e affabilità. La signora Matilde ci porge la carta dei vini: la cantina è ben fornita, con numerose etichette nazionali fra le più  pregiate, qualche vino francese e diverse bottiglie piemontesi e dell’Oltrepò. Noi restiamo fedeli alla zona e ordiniamo un Timorasso di una cooperativa vinicola tortonese.
Ma i “piatti forti” sono i primi: solo pasta rigorosamente fatta in casa, proprio come una volta, sotto la supervisione della signora Mariuccia – mamma di Matilde e nonna di Marta – che in cucina coordina la sua squadra di esperte impastatrici.
Finalmente, arrivano gli antipasti, ottimi e abbondanti: focaccia con salvia e tartufo nero, salame nobile del Giarolo, cotto macinato grosso, lardo con miele d’acacia, pancetta tiepida profumata all’aglio, involtino di prosciutto e tartufo nero; e sempre con tartufo nero sono il caprino di Caldirola e il paté di tonno. Marta ci spiega che tutti gli ingredienti utilizzati nelle ricette – e i tartufi a maggior ragione – provengono esclusivamente da produttori e coltivatori della zona, accuratamente selezionati dalla famiglia.

Sono indecisa tra i taglierini al burro con tartufo bianco e i tortelloni di fonduta. Ma ci sarebbero anche i ravioli di carne con i funghi e gli gnocchi al Montebore. Alla fine scelgo i taglierini. Delicatissimi.

I miei commensali si dichiarano soddisfatti, tanto da decidere di ignorare completamente i secondi – che non sono molti, in verità – per passare direttamente ai dolci. Ma qualcuno di noi, improvvisamente, si lascia tentare dall’uovo al tegamino con tartufo; quasi un “ossimoro culinario”: il massimo della semplicità unito alla più alta raffinatezza. E’ squisito, un cibo casalingo e sofisticato allo stesso tempo, una vera scoperta.

Arriva il momento del dessert. La signora Matilde ci propone il bonetto al cioccolato, il giarolo di castagne e, per finire, un assaggio dei suoi cioccolatini assortiti. Questi ultimi riscuotono un successo particolare, tanto che qualcuno di noi al termine del pasto, tra un saluto e l’altro, chiede di poterne comprare almeno una scatola da regalare agli amici.

 

(*) Nota: La signora Matilde Fontana purtroppo è mancata recentemente, prima che questo articolo fosse pubblicato. Attualmente, è la figlia Marta ad occuparsi della gestione del ristorante con il validissimo aiuto della nonna, sempre in cucina. Alla famiglia, le sentite condoglianze della nostra redazione e del nostro Direttore.

 

 

 

 

 

Ristorante Corona

Via Vittorio Emanuele II, 14V Via Vittorio Emanuele II, 14 – 1505ia Vittorio Emanuele II, 14 – 15056

15056 – San Sebastiano Curone (AL)

Costanza Peretti

Da Natale 2010… la grotta di profitterol….

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Lucia, del blog Tra cucina e Pc, ci propone una forma visuale un po’ diversa per un dolce tra i più classici: il profiterole. Per adattarlo alle “esigenze di Natale” questo dolce che normalmente ha la forma di una piramide, assume le sembianze di una grotta. Vediamo come farla anche noi.

La grotta di profitterol di Lucia del blog Tra cucina e pc

Baci reloaded

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Stanche dei soliti tubi blu? Annoiate dalla saggezza dei bigliettini trasparenti? Perché non preparare da sole questi famosissimi cioccolatini da accompagnare con messaggini subliminali fatti su misura: ancora Cat e Giù ci spiegano come fare.

Da Afrodita del blog I racconti di Afrodita, I baci reloaded

Anvein (ovvero gli anolini della mia famiglia)

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 Cat e Giù propongono un primo piatto di memoria bucolica e votato alle festività: dal Natale alla festa di San Giuseppe, sprigiona essenza di casa, di cucina, di convivio festoso e di riunioni familiari. Ecco come prepararla.

Da Afrodita del blog I racconti di Afrodita, gli anolini (Anvein)

Baccalà al latte con patate

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Il baccalà al latte con le patate è una ricetta tradizionale. Batù, che preparandola fa grandi viaggi nelle sue memorie, ci propone la sua versione. Un piatto che sa di tepore e di odori familiari: decisamente accattivante.

Da Batù del blog Batuffolando il baccalà al latte con patate 

Sos culurzones de patata

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 Sos culurzones o culurgiones o culingionis, sono dei tipici ravioli della Sardegna che cambiano il nome e spesso gli ingredienti del ripieno secondo il paese o addirittura le famiglie.Questi “ravioli”  dalla forma di spiga e con il ripieno di patate e menta, è un piatto povero ma molto gustoso e nutriente.

Gli sos culurzones de patata di Nani e Lolly del blog Le ricette di Nani e Lolly partecipano al contest di Pecorella di Marzapane, in collaborazione con il giornale Scelte di Gusto

Sono molto affezionata a questa specialità della mia terra, perché la mia mamma (mamma di Nani), durante le feste di Natale ci ha sempre preparato questo piatto. Quando per lavoro ero lontana da casa, non sapete quanto mi mancava assaggiare questa delizia che mia mamma preparava!

Ora che sono mamma anche io ho voluto imparare a fare questi culurzones per farli conoscere anche a mio figlio e a mio marito e continuare così la tradizione di famiglia!

Ingredienti per la pasta:
700 g di semola rimacinata
3 uova
2 cucchiai d’olio d’oliva
sale.

Per il ripieno:
700 g di patate
200 g di formaggio pecorino
4 cucchiai d’olio extra vergine
100 g di parmigiano
100 di caciocavallo o provoletta (non affumicata)
2 cipolle bianche tritate
2 spicchi d’aglio tritato
8 foglioline di menta  tritate  (da aumentare a piacere)

Per il condimento:
Sugo di pomodoro e formaggio pecorino grattugiato a  piacere.

Procedimento:
Sulla spianatoia impastate la semola con le uova, l’olio  e un pizzico di sale; appena avete ottenuto un impasto liscio e discretamente compatto , copritelo con un telo e lasciatelo riposare.
Intanto fate lessare le patate in abbondante acqua salata, appena cotte, pelatele e passatele nello  schiaccia patate . In un tegame piccolo fate soffriggere nell’olio il trito di cipolle ,aglio e menta.
Ora in una ciotola ampia unite le patate ai formaggi appena grattugiati , quindi versatevi il soffritto aromatico e mescolate il tutto con cura.
Riprendete la pasta e stendetela a sfoglie non troppo sottili, con il tagliapasta ricavatene dei dischetti in cui vi adagerete delle palline del ripieno. ora pizzicate la pasta ai bordi fino a chiuderla raffigurando così una spiga.
continuate fino a finire l’impasto.Preparate un semplicissimo sugo al pomodoro e servite i culurzones spolverizzati con del buon pecorino.

Albero di biscotti allo sciroppo di acero, caffè e noci

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Stefania, del blog Nuvole e Farina, ci propone un’altra cascata di biscotti: anzi no, un albero di biscotti. Una ricetta che incuriosisce e scalda intorno ai camini del Natale, tra un pacchetto e l’altro e riccioli di nastri.

Con questa ricetta partecipo al contest di Tiziana del blog “Pecorella di Marzapane” e della rivista “Scelte di gusto”

©http://nuvoledifarina.blogspot.com

L’Unione Europea riconosce all’aglio cinese l’Igp. Allarme Coldiretti: “A rischio i tanti agli tradizionali italiani”

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L’Unione europea ha riconosciuto per la prima volta all’aglio cinese di Jinxiang Da Suan il riconoscimento e la tutela comunitaria come prodotto ad Indicazione Geografica Protetta Igp. Per Coldiretti sono così “a rischio i tanti agli tradizionali italiani che sono peraltro conosciuti e apprezzati nel mondo”. (A.Fi.)