Napol’è? Assaporare la pizza di Michele!

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pizzamichele1“Napule è a voce de’ criature che saglie chianu chianu e tu sai ca’ nun si sulo”. Cantava Pino Daniele che di Napoli conosce profumi, umori, i colori dei vicoli che si snodano e salgono verso il promontorio sul mare che specchia il Vesuvio e l’eruzione di una spontanea vitalità (Ti.Ni.)

Napoli è approdo, porto di mare per navi che solcano mari d’umori. Napoli è sole, colore, è Pulcinella, pizza, è sfogliatella per chi passa senza osservare. Per chi la vive, per chi la anima, è un continuo mutare direzione, è una strada maestra piena di bisettrici d’autore: vie che raccontano degrado e bellezza, maldicenza e generosità, il tutto e il niente, contrasti a tinte forti.

Il partenopeo si definisce Napoletano, mai Campano, ancorato alla terra, alla città, non alla più generica regione. E non ama essere ricordato per pizza, mandolino e trallallà. Eppure la pizza è più di un semplice cibo. Farina, acqua, lievito, pummarola e mozzarella non bastano per raccontare il rito. Si sceglie la pizzeria, fallisce il locale che non è rigorosamente dotato di forno a legna. Si sceglie il gusto adattandolo al momento: più leggera, più grande, più corposa, meno o più condita, con olio d’oliva, con burro, fritta, a calzone, marinara o margherita?

La pizza nasce a Napoli e si diffonde in tutto il mondo, eppure a Napoli mantiene quel tocco di semplicità che in altre città si perde in luogo della più sfrenata invenzione. Della vera pizza bisogna assaporarne la pasta, toccarla, mangiarla prima a bocconi d’odore, poi con gli occhi, con il tatto e solo in ultimo il rito si conclude con la degustazione.

Napule è na’ camminata

int’ e viche miezo all’ate

Tra i vicoli, in mezzo alla gente, brusio di voci concitate che fanno della Signora una città quasi surreale in cui attendere due ore per mangiare la pizza di Michele (in Via cesare sersale, 1) diventa un momento di aggregazione collettiva tra sconosciuti. Si attende, si spera, si gusta già nel crescente appetito, una pizza che si fa desiderare come la sposa all’altare. Mai arrivare da Michele all’ora di punta, il pranzo sarà ritardato dalla moltitudine variopinta di gente che attende d’entrare, locali e turisti da ogni dove. “Il tempio sacro della pizza”, così è stata definita la piccola pizzeria a conduzione familiare che si erge immutata da ben oltre un secolo, dal 1870 per l’esattezza, offre solo due gusti: margherita o marinara.

Gusti che entrano nella memoria degli avventori in modo indelebile, che cancellano le precedenti esperienze, che raccontano la verità sulla pizza napoletana, ovvero la sua ricercata semplicità. Non è necessario condire oltremodo la pizza, se l’impasto è morbido e gustoso. Una margherita doppia mozzarella, con foglia di basilico donata a cottura ultimata, una bibita, un posto a sedere da condividere con altri commensali, uno scarno apparecchiare, un rapido servire, un economico finale, questi gli elementi sobri di Michele.

Ma non interesserà allo sguardo lo sfoglio arredo, non urterà la sensibilità del timido una condivisione di spazi e la scarsa intimità del desinare, non sosterà sulla via della memoria la lunga attesa, quando la pizza sarà recapitata. Al primo morso tutto apparirà chiaro come dopo un lungo sonno ristoratore, al primo incontro sarà amore: funghi, olive, prosciutto e altri arricchimenti del genere, altre variazioni sul tema, saranno dimenticati, spazzati via per innalzare la margherita e la marinara a primordiale innamoramento, a verità indiscussa su un gusto che non si può dipingere diversamente.

I prezzi sono estremamente contenuti, quella di Michele è forse tra le pizze più economiche della città, ed è sicuramente tra le pizze più conosciute al mondo.

Per saperne di più: http://damichele.net/

Tiziana Nicoletti

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