Il caso. Vendemmia 2011: la rottamazione continua

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Una situazione molto complessa e controversa, un Nord Italia che continua a produrre uve senza problemi, mentre il sud e soprattutto la Sicilia sono in piena crisi. In Sicilia divampa come un incendio indomabile la Vendemmia Verde (complimenti a chi ha coniato questa definizione), con la quale i contadini non coltivano piu’ i loro vigneti, facendo – conseguentemente – diminuire la produzione globale regionale (Ni.Pa.)

Ma c’è un altro dato che sfugge ai più: tanti viticoltori hanno preferito, visti i prezzi di mercato delle uve ed i costi della manodopera, non andare a vendemmiare. Il dato relativo al crollo della produzione di uve non è quantificabile, ma si può tranquillamente affermare che nel complesso la produzione siciliana si è perlomeno dimezzata o di più.

( Foto: I vigneti di Liberaterra)

Terreni in abbandono e crisi nelle famiglie di chi lavorava i vigneto e viveva col reddito che derivava da esso, spesso contadini che hanno sempre e solo lavorato nelle vigne, da padre in figlio, e non hanno capacità di riconvertire la loro produzione in altre alternative e remunerative. Un’altra conseguenza non trascurabile, i terreni in vendita sono diventati tantissimi, a prezzi da saldo naturalmente. I primi falchi già si aggirano tra le cantine cercando di predare le migliori terre, possibilmente le estensioni più ampie ed omogenee.

Le istituzioni cercano di confortare varando la DOC Sicilia, che dovrebbe garantire maggiore ordine col disciplinare, maggiore qualità nella bottiglia. Tutto giusto, ma il problema del viticoltore resta e una ripresa richiederà decine di anni. L’intoppo è sempre stato a monte, leggasi comunitario. Nel Mercato Comune Europeo il sud Italia e la Sicilia in particolare non sono mai stati tutelati. Le masse vinose sfuse prodotte, si è visto, vengono convogliate nei serbatoi di pochi acquirenti, sempre gli stessi in Nord Italia e all’estero. Sono questi grandi  gruppi d’acquisto che decidono, praticamente, i prezzi dei vini sfusi e le giacenze vengono comprate all’approssimarsi dell’estate da commercianti sciacalli che – prendere o lasciare – offrono i soliti pochi euro a quintale, ma maledetti e subito. Una proposta che una cantina sociale non può non accettare, visto che dopo pochi giorni inizia la nuova vendemmia.

Ecco che il prezzo medio dei vini crolla paurosamente e con esso il dividendo del socio. Gli stessi interessi commerciali hanno fatto si che la Spagna diventasse il massimo produttore di vini europeo, in pochi anni e senza controlli: i costi di produzione assai bassi e i trasporti più agevoli permettono di comprare in Spagna a costi assai contenuti rispetto a quelli siciliani o pugliesi. Infine il problema annoso, irrisolto, dello zuccheraggio: esso prevede che i vini siciliani debbano essere arricchiti mediante mosto concentrato rettificato (MCR), che ha costi di produzione notevolissimi, mentre i Francia lo stesso arricchimento viene effettuato “tradizionalmente” con zucchero di canna, a costi di gran lunga inferiori. I francesi sostengono che il risultato è lo stesso, ma in realtà l’aggiunta di un elemento esogeno quale lo zucchero di canna non può essere equiparato organoletticamente ad un arricchimento mediante zucchero d’uva. Battaglia persa la nostra, sempre e in qualunque sede: i nostri rappresentanti di Bruxelles e Strasburgo non hanno mai avuto la capacità di far valere le ragioni della nostra terra.

Quindi il crollo inevitabile del sistema: siamo passati da oltre 160 cantine di una dozzina di anni addietro ad una quarantina di oggi. Tra le superstiti, molte sono vere e proprie cattedrali nel deserto, ammassano da 500 hl a milioni di hl, in quanto sono il frutto di un accorpamento che è avvenuto negli anni da parte di cantine che man mano chiudevano. Ecco che i soci delle odierne strutture sociali sono diventati migliaia: il problema della loro gestione diventa politico. Occorrono aiuti, ma da parte di chi ? Il finale non è a sorpresa come nei migliori thriller ma, piuttosto, scontato ed immaginabile.

Nino Panicola

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