Biancomangiare: dolce senza tempo nelle ricette di Pellegrino Artusi e Ada Boni
Lo scorso venerdì 4 novembre, è stata inaugurata alla Galleria d’Arte Moderna di Palermo la mostra “1861-2011. L’Italia dei libri. La storia di un Paese fra le pagine” che sarà possibile visitare fino al 27 novembre. La mostra si snoda lungo cinque percorsi ben delineati: 15 superlibri, i “must” che rappresentano l’Italia nel mondo; 15 personaggi , autori che non possono essere ricordati per un unico capolavoro ma per la totalità del loro contributo all’identità degli italiani; 150 libri, che hanno scandito la storia d’Italia contribuendo a plasmare i nostri usi e costumi; Editori, intellettuali illuminati che hanno pubblicato libri, scoperto autori e, soprattutto, lanciato fenomeni di costume; Fenomeni Editoriali, Gialli Mondadori, Enciclopedia Treccani, Manuali Hoepli che hanno divulgato le discipline tecniche.
Ma ancora più sorprendente, per chi come noi di Scelte di Gusto ha fatto della cultura gastronomica il proprio credo, è stato ritrovare tra i 150 testi prescelti che hanno fatto la storia d’Italia , la presenza di due antichi testi gastronomici che rappresentano due vademecum fondamentali della gastronomia italiana : “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi e “ll talismano della Felicità” di Ada Giaquinto Boni.
Nel primo caso, “La Scienza in cucina e l’arte di mangiar bene” di Pellegrino Artusi, si tratta di una raccolta di ben 790 ricette, frutto di innumerevoli viaggi, divise dall’autore per categorie che rappresenta oggi il libro che ha dato origine alla cucina italiana, quello da cui tutti i più,noti chef hanno tratto ispirazione e consigli, pur riconoscendone i limiti dovuti ai metodi di cucina adoperati e all’uso di ingredienti ormai “anacronistici”. Più che di un ricettario, in realtà, si tratta di un libro di gusto nella sua accezione più ampia di ricercatezza e “bien vivre”, ricco di spunti e dissertazioni.
All’Artusi va il grande merito di avere unificato la cucina italiana regalandole un’identità specifica in cui tutti gli italiani, senza distinzioni di classe potessero identificarsi: gli spaghetti col pomodoro, gli gnocchi, il risotto alla milanese, il vitello tonnato, le scaloppine al marsala, le crostate di frutta e la zuppa inglese sono solo alcuni dei piatti che devono alla paternità artusiana la fama di “piatti nazionali”. Più attuali e sicuramente più aderenti alle specificità regionali, sono le ricette contenute nello lo storico manuale gastronomico dall’irresistibile titolo “Il Talismano della Felicità” di Ada Giaquinto Boni la cui prima versione fu pubblicata nel 1929 dalla casa editrice Colombo e aveva 600 pagine. Negli anni lei poi lo ampliò fino a 1000 pagine adottando, inoltre, le tecniche più evolute di realizzazione delle pietanze, pur mantenendone intatta l’impronta originaria. Un esempio di correzione modificata nel tempo è la sostituzione della frase “fate portare in tavola” con “portate a tavola” che conferma un evidente passaggio dall’uso frequente della servitù nelle famiglie alla gestione da parte della padrona di casa dell’intera vita domestica.
La cucina di Ada Boni è espressione diretta della “classe borghese” che frequentava la scuola di cucina che aveva aperto nel 1915 a Roma costituita da fanciulle di buona famiglia e signore bene. Il taglio elitario del suo libro si evince anche dai precisi riferimenti alla norme di “bon ton” da osservare nel caso in cui tra i propri ospiti vi fossero principi o rappresentanti dell’aristocrazia o del clero. Sicuramente questo aspetto più aristocratico della Boni la rendeva molto piena di sé e piuttosto critica nei confronti dei colleghi, al punto da arrivare a definire Artusi “Nume custode di tutte le famiglie dove non si sa cucinare”.
Nonostante le indubbie differenze tra questi due autori , dovute anche al diverso periodo in cui hanno vissuto, da uno studio attento delle loro ricette è possibile individuare delle somiglianze al punto che a noi di Scelte di Gusto, dall’animo un po’ romantico, piace pensare ad un ipotetica “tavola rotonda” (ovviamente imbandita) tra Ada e Pellegrino durante la quale entrambi, superando i confini dello spazio e del tempo, si sfidino in un duello culinario perdendosi in amabili chiacchiere, sorseggiando un buon vino, tra una pietanza e l’altra.
Di certo vi sarebbe l’imbarazzo nella scelta delle pietanze con le quali comporre il menù, ma sicuramente, qualsiasi sia la decisione, per addolcire gli animi ma, soprattutto , i palati, non potrebbe mancare il dolce, ci piace pensare che si tratti di un morbido e profumatissimo “Biancomangiare” , citato da entrambi gli autori nei loro testi ed espressione di un antico dolce siciliano senza tempo che mutua il nome dal candore dei suoi ingredienti.
In età medievale il Biancomangiare era un piatto salato, cui in seguito furono aggiunti acqua rosata e zenzero. In seguito , si diffuse in Veneto e in Val d’Aosta per poi arrivare nei ricettari della nostra regione , quasi certamente, nell’XI secolo, con i popoli musulmani, soprattutto nel modicano e nel ragusano. In Sicilia tradizione prevede, per la realizzazione di questo semplice e delicato dolce dal colore bianco candido, l’uso del latte di mandorla che gli conferisce un retrogusto lievemente amaro che ben si abbina con la sua stucchevole dolcezza. In seguito, per rendere più facile la preparazione, il latte di mandorle è stato sostituito con il latte bovino o ovino.
Di seguito, in esclusiva per i nostri lettori proponiamo la ricetta arrivata fino ai nostri giorni, comparata con quelle tratte da gli antichi ricettari di Artusi e Boni.
BIANCOMANGIARE
Un litro di latte di mucca o pecora (o mandorla)
250 grammi di zucchero semolato (per Artusi 150 gr, per Boni 300 gr)
100 grammi di amido per dolci (per Artusi 20 gr. colla di pesce, per Boni 30 gr colla di pesce)
1 stecca di cannella (non prevista né da Artusi né da Boni)
(Artusi aggiunge 2 cucchiai d’acqua di fiori d’arancio; Boni mezzo bicchierino di rum)
Per decorare : cannella in polvere, pistacchi tritati, dadini di zuccata, gocce di cioccolato , mandorle a scaglie ( Artusi e Boni lo decorano solo con panna).
Procedimento
In una ciotola mettete il latte e scioglietevi lo zucchero. In seguito unire l’amido a freddo mescolando bene con una frusta in modo da non formare grumi. A questo punto portate su fuoco dolce e continuando a mescolare con un cucchiaio di legno fin quando il liquido comincia ad addensare (senza portare a ebollizione). Togliete dal fuoco e continuate a mescolare energicamente con la frusta per qualche minuto . Versate il composto in uno stampo umido e fate raffreddare . Una volta freddo mettetelo in frigo. Quando il biancomangiare sarà ben denso, capovolgetelo su un piatto da portata e spolveratelo con la cannella e a piacere pistacchi, zuccata, gocce di cioccolato o mandorle a scaglie.
A Castronovo di Sicilia si rinnova l’appuntamento con la “Truscitedda”
Paese che vai, sagra che trovi. Lasciateci passare questa licenza di modificare il tradizionale modo di dire popolare. A Castronovo di Sicilia dal 2 al 4 dicembre prossimi si rinnova l’appuntamento con la sagra della “Truscitedda”, giunta quest’anno alla XII edizione e legata alla III edizione della sagra della “Taralla”, dolce tipico locale. (A.Fi.)
Castelvetrano e il suo oro: l’olio extra vergine d’oliva
Sono una decina, se non di più, i frantoi che ogni anno – in questo periodo e atteso il primo vero freddo autunnale – aprono i battenti e accolgono quintali di olive destinate alla produzione di olio extra vergine di oliva. Un olio così naturale da sembrare smeraldo, nel colore, da profumare l’aria nei dintorni di questi imponenti caseggiati – i frantoi – da farsi assaporare, a filo, sul pane nero: altra specialità di Castelvetrano.
Nella provincia di Trapani, a pochi passi da un mare da bere – San Vito lo Capo ne è dimostrazione – e da una delle aree archeologiche più note in Sicilia – il parco archeologico di Selinunte – la valle del Belice si estende tra ettari di terreno coltivati ad ulivi, tra cui il nocellara oggi marchio D.O.P., che raccolgono, unite nelle intenzioni, le diverse frazioni di questa valle: Castelvetrano, Partanna, Gibellina, Camporeale, Santa Ninfa, Salemi, alcune delle cittadine che l’olio extra vergine d’oliva, il gusto vero di un cibo così pregiato, lo conoscono da sempre.
A Castelvetrano sono forse più di dieci i frantoi che lavorano accogliendo produttori e consumatori; ogni anno, dall’inizio di novembre, è possibile fermarsi sulla soglia di uno di questi caseggiati e contrattare il prezzo dell’olio direttamente dagli agricoltori. Loro, i produttori, si rivolgono al frantoio per lavorare le loro olive, ricavare l’olio, vendono poi al frantoio stesso l’eventuale esubero d’olio (quello non utile alle loro strette necessità e che resta invenduto alla clientela diretta) e perfino la sansa – materiale di esubero della lavorazione delle olive, che non si scarta viene invece destinato ad ulteriori lavorazioni. I frantoi macinano olive giorno e notte, ininterrottamente dall’inizio della raccolta fino all’ultima stilla, mentre i produttori portano lì il frutto del loro lavoro, mostrano orgogliosi il processo di lavorazione, raccontano di una vita dura eppure la voglia di non perdere le tradizioni, di tramandare il gusto vero di un condimento che talvolta diviene companatico: ottimo l’olio a crudo direttamente sul pane, per un pasto frugale e nutriente.
Arriva la partita d’olive, trasportata con appositi automezzi, ed inizia la coda al frantoio in attesa di poter macinare. Intanto i produttori vengono avvicinati dagli avventori – taluni saltuari, altri ormai abituali – e si contratta il prezzo dell’olio venduto al chilogrammo, quest’anno a Castelvetrano i costi oscillavano tra 5.50 e 6.00 euro al chilo. Gli ulivi hanno un ciclo vitale che li porta ad anni di piena e anni di minore produzione di frutti – come questo – in più l’anomalo caldo autunnale, protrattosi fino a Novembre inoltrato, ha rischiato di guastare i raccolti. Gli uliveti hanno richiesto un ciclo di innaffiatura ulteriore, gravando sia intermini di costo che di fatica sui produttori, che hanno conseguentemente alzato leggermente il costo dell’olio.
Le olive vengono dunque introdotte all’interno del processo di lavorazione: una prima vasca che serve a separare le foglie, poi le olive vengono lavate ed ancora trasportate, con apposito nastro, alla macina. Vengono triturate, polpa e noccioli, e impastate. Questo impasto si scalda leggermente, grazie ad un flusso di acqua a temperatura (siamo intorno ai 35 gradi) e l’olio si separa dal resto attraverso un processo di filtrazione meccanica. Il liquido color smeraldo affluisce ad un bacino di raccolta ed attraverso apposito rubinetto si riempiono i bidoni, le bottiglie e tutto quanto serve a trasportare il prodotto finito. I frantoi possiedono appositi silos di stoccaggio dove permane l’olio invenduto dai produttori, olio che verrà poi venduto dai frantoi stessi o al dettaglio, oppure all’ingrosso a ditte che opereranno una seconda lavorazione e l’imbottigliamento.
Pizzica l’olio nuovo, sembra talmente allegro da essere quasi effervescente, schiumoso, eppure il profumo è indescrivibile, il sapore unico e il potersi permettere tale privilegio – avere in casa, magari in una giara di terracotta, l’olio nuovo da usare tutto l’anno fino a nuovo raccolto – è un lusso da raccontare.
Tiziana Nicoletti
Zeppole di riso o di San Giuseppe
Una gustosa ricetta che farà sicuramente contento chi la gusterà. Un dolce inconsueto al quale l’autrice ha sapientemente abbinato il giusto vino. Sono le zeppole di riso, o di San Giuseppe di Maria Grazia del blog Tentazioni da gustare.
Falsomagro Siciliano
Farsumagru, brusciuluni, rollò: quanti nomi per uno stesso piatto, tanto diffuso sulle tavole della nostra Sicilia. Si avvicina Natale e questa delizia non può certo mancare, se ne sentirebbe troppo la mancanza. Si tratta del falsomagro siciliano di Maria Grazia del blog Tentazioni da gustare.
Gli ingredienti
per 6 persone
- 800 g Fetta di manzo
- 100 g prosciutto cotto o mortadella
- 3 uova
- 2 cipolline fresche
- provola ragusana a fette
- 200g piselli
- 2 cipolle grosse
- olio extra vergine d’oliva
- sale e pepe q.b
Difficoltà: Media
Preparazione: 20′
Cottura: 1h 50′
Vino consigliato: Vitigno “Merlot”
Preparazione: Sopra una larga fetta di carne di manzo mettere sale, pepe e cipollina tenera. Aggiungere fino a coprire tutta la fetta prosciutto cotto o mortadella, uova sode e provola ragusana a pezzetti.
Avvolgere la carne su se stessa fino a formare un “rotolo” che verrà chiuso con dello spago da cucina facendo attenzione a non far uscire il condimento contenuto all’interno.
Adesso mettiamo il “Falsomagro” in un tegame con dell’olio d’oliva e della cipolla, farlo rosolare e intanto aggiungervi i piselli e un pizzico di sale, tempo di cottura 15 minuti circa.
Intanto a parte tagliate a fette una cipolla grossa e fatela rosolare appena con olio d’oliva; aggiungete un pò di sale e acqua fino a coprire la cipolla stessa. Lasciare cuocere a fuoco lento fino a quando avremmo ottenuto una crema.
Adesso mettiamo questa crema di cipolla dentro il tegame dove c’è il falsomagro, aggiungiamo 2 bicchieri d’acqua e un pezzetto di dado di carne; lasciare cuocere per 1 ora e mezza circa.
Io consiglio di aggiungere altra acqua se si dovesse asciugare il sughetto.
Lasciare raffreddare il rotolo di carne (vi consiglio di cuocere il falsomagro la sera prima per poterlo affettare al meglio il giorno dopo) tagliarlo a fette di un paio di centimetri e condirlo con il sughetto di piselli e cipolla.