Ho già raccontato,in un precedente servizio, del Tempio mariano di Monte Grisa, che si erge sulla città di Trieste e sul mare, circondato dai boschi di pini del Carso. Meta di numerosi turisti, tanto da far sì che il Santuario nel 2005 abbia dato un mandato alla cooperativa La Melagrana per un ristorante, un bar e un negozio equo solidale all’interno dell’area facente parte della chiesa, come punti di ristoro, poiché in mezzo al bosco oltre al santuario non c’è altro (E.Ri.)
La ragion d’essere di una bottega che vende un po’ di tutto, dai vini alla pasta, ai detersivi, dai rosari ai crocefissi, ai quadretti religiosi forse non è così immediata e ne intraprendo una breve spiegazione. Che i turisti vogliano acquistare oggetti di devozione come souvenirs, a ricordo di esser stati al Santuario è comprensibile. I generi alimentari venduti nella bottega sono gli stessi offerti al bar (cioccolata, caffè, birra, vino, cocktail al guaranà…) e con cui preparano i piatti sia di tradizione mediterranea che quelli esotici serviti al ristorante; il turista così può acquistare gli ingredienti per rifarsi a casa quello che ha appena bevuto al bar o mangiato al ristorante e questo è decisamente un valore aggiunto a questa triade: ristorante, bar e bottega.
Soprattutto, però, lo scopo è di far conoscere e promuovere la filosofia del commercio equo e solidale a chi entra nella bottega. Commercio, la cui idea di fondo è che la povertà non sia un male inevitabile, ma l’effetto di sistemi economici sbagliati, dove i più forti e ricchi impongono condizioni di sfruttamento a paesi o realtà più deboli. Nell’equo e solidale invece, si invita il consumatore ad evitare questa logica scegliendo per un mercato che prevede più giuste retribuzioni per i produttori. Si fa ciò saltando l’intermediazione delle grandi compagnie e dei grossisti e preferendo il contatto diretto coi produttori: sono le diverse organizzazioni non governative che sviluppano progetti e realizzano i prodotti che danno alle centrali di distribuzione no profit.
La bottega equo e solidale preleva i prodotti dalle centrali di distribuzione del commercio equo e solidale e poi li distribuisce direttamente al consumatore. I prodotti che si possono acquistare nella bottega vanno da svariati oggetti artigianali a prodotti enogastronomici. Su ogni cosa c’è un cartellino che informa del paese di provenienza, del progetto, una sorta di piccola storia del prodotto. Ciò rende più interattivo l’acquirente che può scegliere, attraverso le etichette, quale realtà andare ad aiutare. Tutto è puntato sulla trasparenza del processo, con la completa tracciabilità del prodotto dalla produzione alla vendita. Il commercio equo e solidale non è sufficiente per migliorare il mondo, ma intanto insegna un altro tipo di mentalità: la cultura del consumo responsabile.
Ci sono i caffè, classico prodotto del commercio equo e solidale, ne prendo un pacchetto a caso, sopra è riportata la zona del Messico in cui le piante di caffè sono coltivate e da quale cooperativa; così per i vari tipi di tè e per lo zucchero di canna, che arriva dal sud America, dalle Filippine… C’è il cacao solubile, un assortimento eccezionale di cioccolate, la crema spalmabile alla nocciola, che è prodotta in un laboratorio retto da un gruppo di volontari italiani dove lavorano ragazze con problemi psichici alle spalle e viene prodotta con il cacao equo e solidale, senza additivi chimici e con lo zucchero esclusivamente di canna. Sulle etichette dei mieli posso leggere esattamente le piantagioni da cui provengono, sud America per lo più, il miele aromatizzato al limone proviene dal Messico per esempio; le marmellate sono quasi tutte africane, quella all’ananas viene dall’Ecuador. Lo sciroppo alla menta è giallo paglierino, cioè naturale e senza coloranti o additivi.
C’è il riso, di varie provenienze e tipi (thailandese, indiano…), la quinoa, come proposta alternativa al riso, anche se trattasi di pianta erbacea ma dalle ricche proprietà nutritive; arriva dagli altipiani andini dove è coltivata ad altitudini che vanno anche oltre i 4000 metri. Ci molti tipi di biscotti, la frutta secca, le salse particolari come quella agli anacardi, che si consiglia di adoperare per condire la pasta, e non posso che confermare visto che l’ho acquistata, provata e apprezzata; ci sono le spezie, il muesli che mette assieme la tradizione della colazione europea con gli ingredienti esotici, come il cacao equo e solidale, lo zucchero di canna, la banana essiccata dalle Filippine, l’uvetta dal Sud Africa, il mango del Burkina Faso e, crispies alla quinoa. Ci sono le birre, chiare e scure, con quinoa della Bolivia e riso indiano, belghe di produzione, anche se ovviamente le materie prime arrivano da lontano. La pasta è fatta con grano duro proveniente da terreni confiscati alla mafia, precisamente a Provenzano, nella Valle dello Jato, in Sicilia: da lì viene fatta la farina di grano duro e con quella farina la pasta che si può mangiare al ristorante come comperare nella bottega. Sono attirata dall’aceto di miele, sì proprio miele, di provenienza brasiliana, poi acetificato da frati piemontesi; è lo stesso che portano ai tavoli al ristorante per condire le insalate. Così per il vino, quello che si beve al bar o al ristorante è quello stesso acquistabile nella bottega; fatto con uve coltivate su terreni confiscati alla mafia nell’Oltrepò Pavese e dati in coltivazione ad una cooperativa senza fini di lucro che fa inserimento lavorativo di persone con storie di disagio alle spalle, come problemi di tossicodipendenza, ma non solo, e se tutte queste cose non sono riportabili sulle etichette dei vini, ci sono sempre dei bigliettini aggiuntivi che raccontano i progetti che sono riusciti a realizzarsi in quei prodotti. Ma di vini ce n’è ampia scelta, anche fra quelli cileni per esempio. Mi piace l’idea di una contaminazione di gusti e culture, di una multi identità enogastronomica. Poter fare colazione con il miele millefiori di foresta messicana o con la marmellata all’ananas senza chiamarlo sfizio, semmai trattandosi di equo e solidale, impegno sociale. Sono prodotti che hanno un valore etico aggiunto, e i prezzi non sono più alti di ciò che si acquista solitamente al supermercato, anzi, e di qualità (e bontà) eccellente. È una bottega, vero incrocio di culture, che coniuga prodotti locali con quelli che arrivano da altre lontane tradizioni; che si trovi all’interno dell’area del Santuario, assieme ad un bar e un ristorante ugualmente equo e solidali la rende, se possibile, ancor più caratteristica.
Eleonora Righini