Incontro ravvicinato con Diego Galdino, il Nicholas Sparks italiano. L’intervista.

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Un caffè. Il primo del mattino. E poi l’ultimo della sera. Quanti ne abbiamo bevuti? Gesti normali, ma che possono far nascere magie d’amore, se sono i caffè “serviti” da Diego Galdino, tra i più famosi scrittori di romanzi d’amore italiani.

Da pochissimo tempo è uscito nelle librerie “L’ultimo caffè della sera”, seguito dal best seller – che presto diventerà un film – “Il primo caffè del mattino”.
L’autore, nonostante il successo internazionale non ha mai lasciato il suo lavoro “originale”, ovvero barista nel bar di famiglia ed è da poco tornato in libreria con una storia bellissima: c’è tutta la sua Roma in questo libro. C’è l’aroma dei caffè più fantasiosi, ci sono tutti (o quasi) i clienti amici del bar Tiberi che dopo “Il primo caffè del mattino” sono diventati una sorta di famiglia anche per i lettori. E soprattutto c’è l’amore. L’amore quello vero, che non ha bisogno di gesti eclatanti per sbocciare e crescere ma che necessita solo della capacità di riconoscersi e la giusta dose di coraggio per lasciarsi andare. Il tutto raccontato come solo Galdino sa fare, col suo stile sempre gentile e garbato che arriva dritto al cuore.

Ma quando e come ha iniziato a scrivere?

Essendo diventato uno scrittore di romanzi d’amore, non potevo che iniziare a causa di una donna. Lei mi aveva regalato un romanzo di Rosamunde Pilcher, dicendomi che – pur essendo un libro ‘da donne’ – grazie alla mia sensibilità mi sarebbe piaciuto tantissimo. E così è stato, tanto che poi ho letto tutti gli altri romanzi di questa scrittrice. Un giorno questa ragazza mi disse che il suo sogno più grande era quello di visitare i posti in venivano ambientate quelle storie, solo che lei aveva un grave problema fisico che di fare spostamenti lunghi. A quel punto io le ho detto: ‘Vado io al posto tuo, faccio un sacco di foto e poi te le porto’. E l’ho fatto davvero, questo viaggio folle: due ore di volo fino a Londra, poi sei ore di treno attraversando la Cornovaglia fino alla cittadina di Penzance, dove sono ambientate le storie, e poi quattro ore di corriera per arrivare quasi al tramonto alle scogliere di Land’s End, uno dei posti più descritti dalla scrittrice. Ho fatto duemila foto a tutti i particolari, mare, aria, muschio, colori e poi, all’alba del giorno dopo, sono ripartito per Roma. Appena arrivato ho creato un album fotografico dove ho messo le pagine corrispondenti del libro accanto al posto che avevo fotografato. Sono corso a regalarlo a questa ragazza, che ne è stata felicissima”.

E poi?

Poi, a causa dei suoi problemi di salute, si è dovuta trasferire in un’altra città. All’epoca i social non c’erano e, con il tempo, abbiamo perso i contatti. Però tutto questo mi aveva fatto venire la determinazione di scrivere una storia che, a differenza della mia, finisse bene. Ho iniziato a scrivere e, libro dopo libro, sono arrivato a questa intervista”.

La storia che ci ha raccontato è talmente bella e romantica da essere già un’ottima trama per un libro.

“E infatti viene riportata anche ne “L’ultimo caffè della sera”, ovviamente adattata al suo protagonista Massimo. Questo perché lo scrittore Diego Galdino nasce proprio su quelle scogliere, mentre faceva quelle foto. Penso sempre che ci sia un motivo per tutto: il destino ha già deciso per noi, poi sta a noi decidere se seguirlo o no. Evidentemente io dovevo stare lì non tanto per quella ragazza, quanto per delineare il mio futuro”.

Quanto di lei c’è in Massimo, il protagonista di questi due romanzi?

A parte la bellezza e l’età, praticamente tutto, specialmente ne “L’ultimo caffè della sera”, dove ho messo davvero me stesso nei panni di Massimo: gli aneddoti dell’infanzia, le cose successe nel bar, le persone che sono gravitate nella mia vita. Scriverlo è stato quasi una seduta di psicoterapia: come il protagonista del libro, ho perso un carissimo amico, per me un secondo padre, una perdita gravissima per me e per il bar; poco dopo mio padre ha avuto un grave problema di salute che l’ha costretto a stare lontano dal bancone che aveva condiviso con me per una vita. Quindi sono rimasto solo sia dietro che davanti al bancone del bar. E allora ho deciso di scrivere per rendere leggendario l’ordinario, per ricordare queste persone e tante altre persone. È un romanzo romantico non solo per la storia d’amore, ma perché romanza fatti realmente accaduti”.

Che rapporto ha lei con i suoi clienti? E, al contrario, che rapporto hanno loro con lei, sapendo che è diventato uno scrittore famoso?

“Quasi il 90% dei miei clienti ormai sono diventati ‘familiari aggiunti’, tutte persone con cui sono praticamente cresciuto. Il mio è un po’ come un bar di paese, il fatto che io sia anche uno scrittore è l’unica cosa che prendono in maniera superficiale: se vedono le lettrici arrivare con i libri in mano per fare la foto con me mi prendono in giro. Secondo loro è tutta un’esagerazione, perché loro mi vedono sempre come Diego il barista. Nessuno di loro ha mai letto i miei libri, aspettano il film per sapere cosa succede. Il mio rapporto con loro non è mai cambiato”.

I suoi libri sono tradotti in 8 paesi europei e in Sud America: che effetto le fa sapere che milioni di persone si emozionano leggendo le sue storie, al punto di essere stato soprannominato il Nicholas Sparks italiano? E che effetto le fa vedere entrare nel suo bar, dove comunque lavora regolarmente tutti i giorni, persone provenienti da ogni parte del mondo con i suoi libri in mano, per farseli autografare?

“Un po’ la cosa mi imbarazza, anche se ovviamente è molto gratificante. Vedere persone che rubano due ore del loro tempo alla città più bella del mondo per una dedica o una foto con me è una cosa che davvero mi riempie di gioia. Vedere che si rendono conto che quello che hanno letto è tutto vero, che davvero sto dietro al bancone a fare i caffè è una bella sensazione, capisco che si sentono parte integrante della storia che hanno letto. Il paragone con un mito come Sparks è sicuramente una cosa che mi onora: io scrivo romanzi d’amore, quindi essere accostato al più grande di tutti mi lusinga molto”.

Diego si sente più barista o più scrittore?

“Non mi sono mai sentito barista: io lì ci sono nato, praticamente a mia madre si sono rotte le acque sul bancone dove adesso io faccio i caffè. Ho imparato a camminare qui dentro, mi sono innamorato per la prima volta in questo bar, ci ho vissuto tutta la mia vita. Il mio bar è ormai una casa, per me. Posso girare tutta l’Italia o l’Europa per presentare i libri, ma so che la mattina dopo alle 5:30 alzerò la serranda e troverò Antonio l’idraulico che vorrà il suo caffè. Scrivere mi piace e in più mi dà l’opportunità di conoscere tantissime persone”.

Quanto il caffè e Roma hanno influito nel suo essere scrittore?

“In realtà hanno condizionato solo “Il primo caffè del mattino” e “L’ultimo caffè della sera”. Il primo si può dire che era il romanzo che tutti si aspettavano, l’ultimo come dicevo è una sorta di seduta di psicanalisi in cui metto tutto me stesso. I veri romanzi d’amori, quelli per cui sono stato scelto dalla Sperling & Kupfer, sono gli altri tre. E in quelli non si parla né di caffè né di Roma. Ovviamente mi sento legato alla mia città, che è la più bella del mondo, in maniera indissolubile, quindi se attraverso i romanzi riesco a far scoprire alcuni angoli che nemmeno i romani forse conoscono lo faccio volentieri, ma – nel caso degli altri libri – non è il luogo dove ho ambientato le storie. Il caffè, invece… non so quanti milioni ne abbia fatti, nella mia vita: questa cosa mi ha sempre accompagnato e gratificato e sempre lo farà. Perché vedere un cliente che raschia la tazzina con il cucchiaino perché ha gradito molto è sicuramente una bella soddisfazione”.

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Quasi quanto vedere un lettore arrivare felice alla fine di un libro di Diego e non vedere l’ora di iniziarne un altro.

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