Editoriale. Stelle Michelin: quando si splende di luce propria.

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Sfincione_palermitanoC’era un tempo in cui la Sicilia era pasta con le sarde, sarde a beccafico e sfincione. O meglio, questo era quanto i guru dell’alta cucina credevano fosse la Sicilia del buon gusto e dei gourmet.
Parlando con uno dei soliti “addetti ai lavori”, qualche tempo fa, sulla esiguità  di stelle conferite alla Sicilia, mi fu raccontata una bugia pietosa che – proprio perché tanto tenera e lusinghiera – si insediò in me come una mezza verità: la mezza verità del cuore, perché quella della ragione sapeva perfettamente che si trattava di una solenne panzana. Mi fu risposto: “ è difficile rimanere veramente stupiti e sorpresi in un ristorante siciliano, al punto da volergli conferire la stella. E questo è dovuto al fatto che cucinate e mangiate tutti talmente bene nelle vostre stesse case, che è difficile poter rimanere estasiati al ristorante, dopo avere cenato in casa di amici siciliani”.
sarde-a-beccaficoAdorai quella bugia impudica e sfrontata, spacciata per verità assoluta, che nascondeva una “presunzione di corteggiamento” che passasse anche per le sinapsi legate ad uno dei percorsi più sicuri  per fare breccia nel cuore d chiunque, ovvero il cibo.
La realtà era molto più terra terra, come spesso accade, e soprattutto era molto più prosaica. O almeno è questo il mio pensiero: la mancanza di stelle, al di la di quelle accese nel cielo da un’entità suprema gratuitamente ed a beneficio di tutti, credo sia dovuta ad una cronica povertà, unita ad una innata sfiducia nelle proprie capacità e nei propri mezzi. Non certo una pochezza di idee o un’incapacità di esprimere il meglio della cucina, quanto proprio la povertà materiale e la carenza di etica imprenditoriale. L’impossibilità, o delle volte l’indisponibilità, di pagare degnamente uno chef e, prima ancora, la difficoltà di uno chef di potersi adeguatamente preparare per affermare le proprie capacità. La tendenza ad andare fuori, ad andare via, a cercare realtà migliori che garantissero una qualità di vita accettabile. Di liberarsi dal giogo del lavoro in nero, dalla protervia di chi – e sono tanti – tende a sfruttare il lavoro altrui, massimizzando il rendimento ma minimizzando l’investimento.
pastaUn tempo bastava “mangiare” , e per tanta gente basta ancora dato che l’alta cucina rimane appannaggio di una fetta abbastanza ridotta di popolazione, e specialmente con i chiari di luna di questi ultimi anni. Ma va bene che esistano i ristoranti  “medi” e le trattorie a conduzione familiare, che spesso regalano inarrivabili sensazioni di retaggi antichi fatti di ricordi di nonne e di zie. Oggi però, grazie anche al coraggio imprenditoriale di alcuni che hanno scelto di fare cucina seria anche a costo di sacrifici materiali di discreta entità, il mangiare è divenuto un discorso più globale, slegato dal mero concetto di sazietà e pienezza, e sempre più parte di un ragionamento culturale più ampio. Oggi non ci si limita più a seguire i dettami di un vecchio adagio che recita “ inchi lu saccu e inchilu di spini” che – per i non siculi – significa “ riempi il sacco, foss’anche di spine”, ovvero ancora “ riempi la pancia, con qualsiasi cosa sia in grado di riempirtela”. aglio nubiaOggi il concetto di “ mangiare” ha assunto una connotazione culturale che è davvero piacevole scoprire anche nei non addetti ai lavori. Ogni piatto racconta una storia, un mood, una tendenza. Ogni ingrediente ha un suo retaggio. Ogni formaggio un casaro, ogni pesce una barca, ogni crostaceo una nassa, ogni goccia d’olio il suo profumo. Oggi la gente parla di cultivar come niente fosse , laddove un tempo si chiedeva se “evo” fosse il maschile del biblico Eva.
Oggi tutti sanno che l’aglio rosso di Nubia non arriva dall’omonima e grande regione egiziana, ma dalla Sicilia, o meglio ancora da una piccola frazione che si chiama proprio Nubia , vicinissima a Paceco e a Trapani. Oggi chi mangia si informa: chiede, conosce, impara. E paga volentieri per mangiare “sopra le righe” ma dentro i confini dei propri campi e dei propri allevamenti.
il-cappero-at-therasiaE per fortuna alcuni hanno deciso di fare sul serio decidendo, in primis, di pagare stipendi adeguati a chef che – a propria volta – hanno fatto anche durissime gavette pur di potersi perfezionare e che, in attesa di firmare e brandizzare il proprio locale, si esprimono in cucine in cui la lungimiranza imprenditoriale di alcuni ha fatto si che entrassero anche dei sous chef, dei capi partita e degli aiuti, e che il lavapiatti rimanesse vicino alla lavastoviglie: cosa che per anni non è stata affatto scontata. La “brigata” per molto tempo ha evocato immagini militari e non certo mestoli e pentoloni. Oggi la musica è cambiata e gli strumenti sono stati adeguatamente accordati.
Ed ecco la pioggerella di stelle. Ed ecco la coccarda appuntata orgogliosamente al petto di alcuni.
i pupi3Sempre poche in una regione per estensione tra le più grandi d’ Italia, ma estremamente significative.
giuseppe_costaSegno che la Sicilia sta iniziando a spingere sull’acceleratore, segno che questo motore ingolfato da troppi problemi e troppe crisi, sta iniziando a girare più fluido. Segno che forse si è capito che in questa terra esistono due vere e grandi ricchezze: il cibo ed il turismo, e che queste due ricchezze si abbracciano sempre più spesso percorrendo cammini comuni in una passeggiata resa oltremodo piacevole dalla terza ricchezza che è il clima. Sembra cosa da poco, ma il sole ha un peso determinante nelle caratteristiche organolettiche finali di moltissimi alimenti, così come l’aria salsa in prossimità del mare.
lo cocoSi è forse finalmente capito che sul Food è necessario investire perché restituisce ogni euro speso con gli interessi, perché fa immagine, perché è una forma d’arte e perché l’arte merita di essere rivalutata perchè un popolo senza arte è un popolo senza storia, dunque condannato all’oblìo ed alla povertà anche morale.
Crescenzo-Scotti-in-evidenzaLe stelle Michelin arrivate in questi giorni a coronare il capo di tre straordinari Chef siciliani partono da lontano: partono da una semina fatta di lacrime e sangue, di sudore, di mani ustionate, di salti mortali, di orari impossibili, di figli visti poco, goduti ancora meno, cresciuti all’improvviso. Di mogli silenziose, di vacanze negate, di anniversari non celebrati, di feste non godute, di Natale senza presepe, di capodanno senza botti. E’ una vita di sacrificio che quando ripaga non solo economicamente lo fa con una piccola stella Michelin: che diventa il panno di lino fresco che asciuga una fronte che lavora, ma anche il vanto e l’orgoglio di un’intera regione. Una regione che oggi ringrazia le tre nuove stelle Michelin, Tony Lo Coco, Crescenzo Scotti e Giuseppe Costa.

 

Alessandra Verzera

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