Eccellenze siciliane: il pane nero di Castelvetrano

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Il pane fece la sua prima comparsa in Egitto, infatti furono proprio gli egiziani che scoprirono per gradi le tecniche fermentative dopo essersi accorti che la pasta fresca avanzata e lasciata casualmente per qualche tempo a contatto con l`aria si inacidiva ed aumentava di volume. Tale tecnica fu acquisita successivamente dai greci e venne trasmessa nella nostra isola quando questi la colonizzarono. In Sicilia si produce esclusivamente grano duro, quindi anche il pane veniva fatto con questo tipo di frumento. Nei paesi della Valle del Belice si coltivava oltre alla “Russulidda” (tipico grano duro maggiormente in uso in tutta la Sicilia) la “Tumminia”.

Quest`ultimo era di piccole dimensioni, più scuro e con una bassa resa; il pane di “Tumminia” era di colore scuro ma era più gustoso e si manteneva morbido per parecchi giorni, per questo motivo le massaie preferivano panificare con questa farina durante il periodo estivo (le elevate temperature favoriscono infatti l`indurimento precoce del pane). Oggi questa varietà di frumento è stata soppiantata da altre con più alta resa. La panificazione con la farina di “Tumminia” è in disuso ma viene effettuata ancora con i metodi tradizionali grazie all`abilità di poche persone anziane e si può trovare ancora nei paesi della Valle del Belice ed in particolare a Castelvetrano. La pezzatura del pane variava rispetto ai nostri giorni: si dava il nome di “pani” se aveva la forma circolare e pesava circa 2 chili, “vastedda” sempre di forma circolare ma con pezzatura di 1 chilo, seguivano poi le “cuddure” (pane della pezzatura di mezzo chilo) e le “cudduredde” (di circa 150 – 200 grammi). Se la farina era ricavata da frumento nuovo si confezionavano le “cuddure” a “pedi di voi” (simili al piede di un bue), forse per devozione, ma probabilmente come segno di riconoscenza verso quell`animale che aiutava a solcare la terra.

La denominazione “Pane nero di Castelvetrano” è propria del pane ottenuto mediante l’antico sistema di lavorazione (con lievito madre, lu criscenti) e dall’impiego di una miscela di due semole: quella ottenuta da grano biondo siciliano integrale e quella ricavata da un’antica varietà di frumento locale, la tumminìa. Quest’ultima è una varietà di grano duro a ciclo breve (detta anche grano marzuolo) anticamente seminata come ringrano o quando le annate piovose non consentivano la semina autunnale. Pare che la tumminìa fosse coltivata, con il nome di trimeniaios, già dai coloni greci insediatisi nella vicina città di Selinunte. Il pane fatto con la tumminìa si mantiene gustoso e morbido per diversi giorni. Questo particolare ingrediente, di scarsa reperibilità, conferisce al prodotto finito un caratteristico sapore dolce. La cottura secondo il metodo antico avviene esclusivamente in forni di pietra riscaldati con legna d’ulivo (solitamente immagazzinata ed essiccata direttamente dal fornaio, che la recuperava dalle fronde eliminate durante la potatura). Se ne ottiene una pagnotta rotonda di media pezzatura, che in siciliano si chiama vastedda, in grado di mantenersi per 7-10 giorni. La forma tondeggiante e bassa è considerata, sin dall’antichità, funzionale per poter essere spezzata a mano, e sembra essersi così tramandata nei secoli. Un’altra forma, caratteristica di quasi tutte le zone rurali dell’isola, è quella che ricorda lo zoccolo di bovino, o “a piede di bue”, chiamata cuddura: veniva in passato confezionata una volta l’anno con il primo frumento dell’ultimo raccolto, con funzione di rito di ringraziamento e propiziazione, come ogni altra forma di offerta delle primizie.

 

La pezzatura è anch’essa una reminiscenza antica, in quanto le massaie preparavano il pane una volta alla settimana il sabato o il lunedì.

Il Pane Nero di Castelvetrano può essere richiesto a Sebastiano, che è contattabile al cell.327.4474115