E’un piccolo comune che si abbarbica sulle pendici a nord-ovest dell’Etna. Bronte è conosciuto in tutto il mondo per l’eccellenza del suo pistacchio. La produzione agricola brontese vanta aranci, ulivi, mandorli, noccioli, castagni eppure nel pistacchio trova quella realizzazione e quel rilancio economico che ne fa uno dei comuni più singolari al mondo. Ed ogni anno apre le porte ai visitatori e mette in mostra la sua sagra (Ti.Ni.)
Ci saremmo, però, aspettati un’accoglienza differente e una sagra un po’ più viva, eppure tra maltempo e crisi economica la sagra, oggi men che ieri, risulta meno popolosa e meno ricca. Quasi nulla in degustazione e il pistacchio è solo raccontato nella memoria di quanti, a Bronte, hanno fondato casa, famiglia e speranze di fortuna. L’oro verde – così è definito il frutto del pistacchio – viene raccolto ogni due anni e la produzione è spesso soggetta alle intemperie, come tutte le coltivazioni. La richiesta resta alta è questo permette ai produttori di vendere il loro “oro” a 40 euro il chilogrammo.
Ciò potrebbe essere sufficiente a spiegare il perché la sagra tanto attesa si trasforma in fiera, ma forse le ristrettezze a cui i Comuni sono soggetti in tempo di crisi fanno il resto: pochi i fondi (forse!), molto è lasciato all’ingegno personale e il prodotto deve essere venduto, vantato, mostrato solo per attirare ammirazione. E tra gli stand si percepisce un pizzico di malumore. Chi racconta della lunga attesa – in fondo la sagra del pistacchio è un appuntamento annuale che promette affari per i brontesi e pochi altri sono i momenti in cui il paese risulta così vivo e animato dai visitatori – chi pone l’accento sull’impossibilità che tutto il pistacchio che rivendica il marchio sia in realtà di Bronte – ed in effetti con una raccolta biennale appare chiaro che la domanda superi l’offerta – chi invece fa di necessità virtù ed in un tempo in cui il lavoro è appannaggio di pochi, bisogna inventarsi amorevolmente un mestiere. Questo il caso di Cannolandia Siciliana di Gabriele Lo Monaco: la moglie, Ivana Meli, si ferma a raccontare come nasce l’idea. Dalla ricotta ragusana, dalla fattura artigianale di una donna catanese che prepara le scorze o cialde di cannolo colorate e di diversi gusti, dalla voglia di non fermarsi mai, in giro per l’Italia, prende vita una vera e propria attività. Tra rivendita e sagre, i Lo Monaco portano in giro i loro cannoli rinnovati nell’aspetto e nel gusto. Alla sagra brontese largo spazio a cialde verdi al gusto di pistacchio, mentre a tutte le altre sagre, di volta in volta, i cannoli si vestiranno di nuova appartenenza: dal gusto fragola al meno tipico gusto carciofo.
Alla sagra, il pistacchio viene presentato così, come appare dopo sgusciatura; viene rielaborato in creme dolci o salate, viene usato per una serie preparazioni, alcune molto singolari: nasce la torta al pistacchio, ottimi i formaggi – il pecorino con l’aggiunta, in lavorazione dei pistacchi – così come i salami e le salsicce con dentro sapor d’oro verde. Buonissime le arancine siciliane con quel tocco in più, di pistacchio ovviamente e poi la pasta. Non solo nel condimento, il pistacchio viene inserito nell’impasto e la pasta si colora, si profuma e inizia a raccontare una nuova storia come quella di Biagio Saitta, il primo ad avere l’intuizione – più di venti anni fa – ed a produrre una pasta fresca all’uovo, con l’aggiunta di pistacchi al suo interno.
E poi tante le realtà che urlano la voglia di essere ricordate per l’attenzione al biologico, per le scelte vegan, per la serietà nella produzione e nella fattura dei preparati, questo il caso dell’azienda agricola di Cartillone. Tutte realtà che meritano attenzione, giusto peso per l’impegno svolto nel portare avanti un progetto: pistacchio sì, ma di Bronte, nessuna sofisticazione nella preparazione. Eppure un pizzico di delusione resta per chi, come noi, si attendeva un tripudio di pistacchio e nulla più. E’ quanto meno singolare ritrovarsi tra venditori di coltelli e pentole, tra stand di specialità non attinenti alla sagra in corso, tra pistacchi “veri”, nel presentarsi alla vista con una pelle rosso vivo – merito dei terreni lavici di produzione – e “finti”, nel non essere propriamente di Bronte come mostrava aspetto, gusto e costo. Se il pistacchio di Bronte è venduto a 40 euro, una sorta di cartello rivendicato e imposto, impossibile trovare produttori con pistacchi venduti alla stessa sagra a 15 euro, vi direte. Eppure tale divario di costi lo abbiamo notato.
Ci sentiamo di salutare la ventiduesima edizione della sagra con una semplice, eppur gustosa, preparazione: il torrone. L’azienda Mandorla di Sano, presente ogni anno alla sagra del pistacchio, è un’azienda che opera la prima fase di lavorazione della frutta secca, sgusciando mandorle, nocciole, pistacchi. Creano le paste madri, senza aggiunte di coloranti, conservanti o oli. Paste che possono essere salate (nel caso del pistacchio, il pesto usato come condimento) o dolci e possono essere usate come base sia in pasticceria che in gelateria. Le fasi per la preparazione del torrone sono semplici: un chilo di zucchero, un mestolo di miele (per mantenere la morbidezza del torrone), si caramella e si aggiungono i pistacchi. A fuoco vivo si lasciano tostare e poi sul marmo – con abilità di mano – si stende il torrone. Giusto il tempo di lasciarlo raffreddare, lo si taglia e… buon appettito!
Tiziana Nicoletti