Ingegnere chimico,Jean D’Albret propone il suo ricettario per le famiglie ovvero un libro d’oro per tutti in cui consigli e scienza si mischiano a credenze popolari per divenire manuale di facile consultazione. Sono gli anni trenta, l’Italia non ha ancora dimenticato la Prima e già si avvia a grandi passi verso la Seconda Guerra Mondiale eppure numerosi sono i ricettari domestici sul mercato del tempo, segno evidente del desiderio di condurre una vita non priva di comodità (Ti.Ni.)
Negli anni ’30, l’idea di ricettario domestico si discosta nettamente da quella oggi diffusa: si tratta di veri e propri manuali per iniziati alle scienze, per conoscitori della chimica e della fisica. Il semplice mettere a bollire una pentola sul fuoco, viene condotto come un esperimento sul passaggio di stato dell’acqua (da liquido a vapore); complicatissime formule ed ancor più complicate interpretazioni precedono ricette, per non parlare dei costi, niente affatto contenuti. Tali manuali divengono accessibili solo ad un pubblico abbiente mentre Il ricettario delle famiglie di Jean D’Albret, edito nel 1931 dalla casa editrice La scienza del popolo, si prefigge il compito di essere per tutti. Eppure, rispetto all’idea odierna di ricettario, appare ancora come un piccolo manuale di chimica, basti pensare al fatto che è stato redatto da un ingegnere, un professore non certo da un’abile massaia.
“Gli uomini che non sanno come passare le loro ore libere, specie nelle lunghe sere invernali, troveranno qui il modo di dedicarsi ad occupazioni utili e dilettevoli molto interessanti, che permetteranno loro di rendere sempre più bella la casa (…). Le donne poi hanno qui un vero pozzo di ricette per ogni campo delle loro attività: dai dolci (…), ai liquori (…); dalle mille astuzie per conservare a lungo e bene gli indumenti dei loro cari, a quelle per dare un aspetto di eleganza, di nuovo, di lindo a qualsiasi arredo domestico.”
Questo l’estratto di una prefazione che non lascia dubbi al genere di libro che viene definito ricettario: elementi di conoscenza per dilettanti, negli anni ’30; elementi per piccoli scienziati nel ventunesimo secolo. Piegato al volere nel nuovo mercato, l’intelletto odierno non concepirebbe come “semplice”, alla portata di tutti, esperimenti in cui padroneggiare gli elementi del sistema periodico, dai bromuri agli ossidi, dai metalli di transizione ai sali, nel tentativo di trovare rimedi per ogni necessità domestica. Oggi il sapone si compra bell’e fatto, e ve ne sono infinite varietà e molti tipi (da quello solido a quello liquido, per non parlare dei diversi utilizzi), negli anni trenta il sapone (sapone medicinale, da toeletta, per lavare – speciale per lana o seta – sapone per sgrassare o per far shampoo) lo si faceva in casa. Così come la carta carbone, quella moschicida; ed ancora balsamo, trattamenti per la cute, brillantina, creme; antiruggine, prodotti per pulire gli argenti, vari tipi di colla, patinature in bronzo per imitare l’antico, il dentifricio (con creta, carminio, polvere di china, allume, polvere di mirra, acido salicilico e cannella). Sono solo alcuni esempi di tutto ciò che era possibile realizzare in quelle che in prefazione venivano indicate come “lunghe sere invernali”, nella propria abitazione domestica, non certo dentro un laboratorio attrezzato. Tutto autoprodotto, tutto recuperato, tutto valutato con il giusto peso, a discapito del consumismo distruttivo che è seguito in meno di ottant’anni!
Di immutato troviamo forse il desiderio di eterna giovinezza in una ricetta per ottenere la “gelatina contro le rughe” eppure nell’incipit di tale preparato Jean D’Albret regala un ammonimento che sarebbe bene ribadire anche in tempi odierni: “Naturalmente non si può pretendere a 90 anni di mostrarne sedici o diciotto, ma in apparenza diedi o dodici anni saranno tolti dall’almanacco della vostra esistenza, mediante l’uso di questa crema”.
E di ricette ve ne sono parecchie, tutte assolutamente non canoniche se si pensa al tipo di materie prime impiegate. Latte condensato, liquori e bibite gassate non conoscevano misteri per l’abile massaia degli anni trenta. Questi sono solo alcuni esempi:
Confettura di Latte:
si prende 1 litro di latte fresco non scremato, si aggiungono 2 grammi di borato di soda e 250 grammi di zucchero, e si fa consumare a fuoco dolce, mescolando continuamente fino ad avere la consistenza del miele. Si versa allora in un vaso a largo collo ed a chiusura ermetica. Un cucchiaio di questa crema sciolta in caffè nero, dà istantaneamente un caffè latte delizioso e fragrante. Questa confettura è di lunga conservazione.
Limonata – aranciata – ribes, ecc.
Nulla è più desiderato d’estate di una buona limonata, un’aranciata, uno sciroppo di ribes, una bevanda piacevole insomma, che disseti e rinfreschi. Per averla sottomano, anche se lontani dai posti di rifornimento, si tritura finemente e si mescola bene: 100 grammi di zucchero, 2 grammi di acido tartarico, 2 grammi di bicarbonato di soda e si aggiunge qualche goccia del profumo desiderato (limone, arancio, ribes) e sciroppo di zucchero goccia a goccia (sciroppo di zucchero ottenuto fondendo tre parti di zucchero in una d’acqua). Quando si avrà ottenuto una pasta abbastanza consistente si divide in grammi o pasticche e si fa seccare al sole, conservando poi in vasi di vetro o scatole di latta ben chiuse. Con un cucchiaio di questa miscela in acqua fresca si otterrà una bibita deliziosa, profumata e gasosa.
Oggi Jean D’Albret sorriderebbe innanzi a quelli che definiamo ricettari, ed a noi? Resta lo stupore nel pensare che ottanta anni di storia hanno cancellato la memoria di tante preparazioni e la conoscenza vera e genuina delle sostanze. Memoria abbarbicata sugli scaffali dei grandi ipermercati, immolata sull’altare della praticità, sacrificata in luogo dell’agiato vivere. Ma su quello stesso altare non stiamo forse sacrificando anche le risorse preziose di Gaia, nostra madre Terra?
Tiziana Nicoletti