Ballarò giunge, dopo Vucciria e Capo, a far bella mostra di sé sulle pagine di questo giornale; a raccontare come secoli di storia non riescono a mutare le tradizioni: mercato così simile ad un suq arabo, così ricco di colori, un scorcio di mondo poliedrico che arricchisce il visitatore. Così diverso dalla turistica Vucciria e dal piccolo e “umano” Capo, Ballarò è la piazza della biodiversità, ed è spettacolare (Ti.Ni.)
Per due interi secoli di storia, la bella Palermo è stata dominata dagli arabi e qui loro hanno lasciato davvero molto, nella cultura, nel modo di fare, forse anche nei visi… e sicuramente in quei mercati che definiamo storici e che non sono quasi cambiati per forma e dimensione. Così Ballarò, nome che deriva dall’arabo Baiharu (il villaggio di provenienza dei commercianti arabi medievali), che ancor oggi si dipana lungo un intricato tessuto di vie (così come il suq arabo odierno) che porta da corso Tukory, ,addentrandosi lungo via Birago (parallela a via Maqueda), fino alla piazza di Casa Professa dove è d’obbligo una sosta presso l’omonimo complesso: la Chiesa del Gesù (conosciuta proprio come “Casa Professa”), il Museo, la Cripta e l’Oratorio, rappresentano un complesso magnifico, sfarzoso. Di merletti pare adornata la chiesa, ogni stucco – l’oratorio ne è pieno – del Serpotta è vera magia, poesia si respira tra i bassorilievi che in puttini, leoni, angeli e Santi fanno della Chiesa del Gesù un’opera d’arte di immane proporzioni, oggi impensabile da realizzare eppure così affascinante da togliere il respiro.
Un tuffo di pace prima di catapultarsi nuovamente tra le bancarelle del mercato; è il più grande per estensione e varietà di merce. Molto diverso dalla Vucciria e dal Capo, Ballarò è davvero multietnico: Cinesi, Magrebini, Ghanesi, Siciliani insieme vendono abbanniando la loro merce e tra pesci tipici (il tonno sembra essere esposto e macellato come in rituale mattanza) e atipici (piccoli squaletti in vendita tra le sardine), tra verdure e frutta di stagione, sembrano istallazioni post moderne tutte quelle salsicce appese come appesi sono i quarti di bue.
Ed i signori di una certa età mirano il passaggio degli avventori, seduti su sedie di plastica giocano a carte e pasteggiano una birra. I bar vendono il caffè, oltre che al banco, in pacco talvolta corredato di tazzine così che lo stesso bar diviene bazar. Le strade sono di pietra lustra e bagnata, il ghiaccio dei pescivendoli si scioglie e scola in rivoli mentre il colore rosso delle tende, stese tra terra e cielo, per riparare dal sole, getta su tutto ombre di purpureo mistero.
Presto viene dimenticato il profumo di rose della Chiesa del Gesù, ah che profumo di rose, così intenso da persistere nelle narici almeno fin quando il pesce affumicato ne sostituisce l’afrore; preghiere e rosario, recitate senza pudore a voce sgargiante dalle donne penitenti, vengono presto scordati e le strofe sostituite dagli inviti degli ambulanti – è quasi ora di pranzo e tra polpette fritte, carciofi già bolliti, pesce arrostito, cipolle ripiene, ruote di pane, si può anche pranzare tra quella merce esposta.
Bambini di ogni colore si rincorrono e madri chiamano improbabili nomi di attori hollywoodiani; i cani randagi, mogi e silenti, si aggirano e attendono pazienti i resti della giornata. I prezzi fanno cartello, si accordano in un unico coro per cui è facile a metri di distanza trovare le fragole, come le pere, allo stesso costo e non solo… radici di zenzero, patate (yam ne è un esempio) ghanesi e cibi cinesi, tutto si mescola tra i meandri di Ballarò. Tutto si trova, tutto si può comperare persino ferraglia e vestiti usati.
Un bimbo divide il suo passeggino con un “fustino”, la madre lo usa come schienale per il piccolo – il detersivo per il bucato – così la fatica dimezza e il trasporto raddoppia. E le cassette di legno restano vuote, accatastate e talune volte ricolme di resti vegetali, gli stessi che vengono scartati per fame dai disperati.
I turisti fotografano tutto, tutto, merce e mercanti si mettono in posa mentre riposa la voce.
Eppure, dopo tante parole, la penna di chi vi scrive si arresta alla consapevolezza che tutto quell’andirivieni di emozioni e sensazioni non si possono ben raccontare, solo vivere, assorbire ed assaporare. Così, noi di Scelte di Gusto, ci sentiamo di consigliarlo con calore: chi si dovesse trovare a passare, si lasci affascinare dal mercato storico, più storico di Palermo.
Tiziana Nicoletti
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