Sono lontana ormai da anni dalla tastiera e dal mondo del cibo. Sono lontana da tutto ciò per scelta e senza rimpianti. Ma con tanti ricordi.
Oggi è uno di quei giorni in cui i ricordi si presentano con prepotenza e si fanno taglienti, e ripercorrerli è una lunga doglianza, un dolore profondo.
I ricordi hanno la forma di un sapore, di un profumo.
Hanno il suono di una voce, di una risata.
Sanno di soffritto e di limoncello.
Sanno in qualche modo di nostalgia.
Oggi sono seduta alla tastiera perchè il ricordo ha il nome di una persona che ci ha lasciati assai prematuramente. Lui era Giacomo Armetta.
Giacomo piombò nella mia vita dal nulla.
Un giorno, diversi anni or sono, mi giunse un messaggio da parte di quest’uomo disincantato ma allo stesso tempo pieno di sogni e di chimere.
Diceva più o meno così: ” Signora ho visto che lei si occupa di locali e che è molto seguita. Il mio locale è praticamente sull’orlo della chiusura. Mi serve il suo aiuto“.
Ricordo che andai a testare il suo locale con un po’ di scetticismo: era lontano dai canoni e dagli standard di cui mi occupavo. Ciononostante decisi di andare a trovare Giacomo in quello che era il suo locale ma che lui definiva la sua casa.
In estemporanea mi fece assaggiare la sua “cucina ortodossa”, come lui la definiva.
Ricette tipiche della tradizione palermitana, senza rivisitazioni nè altre gabole.
Una cucina golosa, ruspante, sincera: esattamente come era Giacomo.
” Ma chi è tuttu stu pistacchio dunn’è ghiè! Nella mia cucina non ne deve entrare!” In un certo qual modo, già diversi anni fa, aveva preconizzato quella che oggi è la domanda che tutti ci poniamo.
Apprezzai un entusiasmo fanciullesco ma non solo. Apprezzai la sua volontà di far tornare tutti al ristorante con prezzi davvero popolari a fronte di cibo povero ma convincente.
“Desidero che ogni padre di famiglia possa portare la famiglia a pranzo fuori la domenica anche se non ha tanti soldi“.
La famiglia: il vulnus di Giacomo, il suo grande amore ed anche la sua grande ferita.
Ovviamente accettai una sfida ad altissimo coefficiente di rischio flop.
Creammo una pagina sui social ed iniziò la campagna di promozione.
L’Osteria Armetta nel volgere di alcuni mesi era sulla bocca di mezza Palermo.
Piena ogni sera.
Anche perchè in realtà Giacomo aveva un passato lungo e molto solido nell’ambiente della ristorazione, quando però la ristorazione era ” un’altra cosa“, come spesso diceva con rammarico.
In quel luogo, che ormai non esiste più, si fecero anche musica e serate a tema: non dimenticherò mai l’orgoglio di Armetta quando riuscì a portare nella sua modesta osteria lo storico Gaetano Basile, con il quale creammo un calendario di cene tematiche ispirate al periodo borbonico e al Regno delle Due Sicilie.
Furono serate incantevoli, indimenticabili.
Ricette originali spettacolari tra cui il famoso Timballo del Gattopardo, tanto per citarne uno. Giacomo lo sperimentò più e più volte: io ero l’assaggiatrice ufficiale. Ci lavorò indefessamente fino ad ottenere un prodotto eccellente. Quando gli dissi “è perfetto” si illuminò. Beh, tantissima gente venne in Osteria non foss’altro che per quel pezzo di storia.
Ovviamente, anche per via del suo carattere estroverso ma istintivo e dei suoi modi accoglienti, il rapporto si evolvette da squisitamente professionale ad amichevole.
Passai innumerevoli e piacevoli serate seduta ad uno di quei tavoli, molto curati malgrado fosse solo un’osteria.
Di Giacomo raccolsi i racconti di un’intera vita. La sua fame di ascolto era immensa. La sua fiducia nel consegnarsi a nudo era quasi infantile. Più di una volta trovai i suoi racconti commoventi, anche se aveva un dono particolare: riusciva a far ridere anche raccontando eventi essenzialmente tragici.
Ma Giacomo aveva negli occhi una tristezza antica. Rideva più con la bocca che con lo sguardo.
Giacomo mi “costrinse” ad un patto. Per pura casualità ogni volta che arrivavo al locale lo trovavo deserto: ma poco dopo si riempiva al punto che più di una volta mi trovai a cedere il mio tavolo per darlo ad un intero nucleo familiare.
Lui, nel suo fanciullesco modo di vedere le cose, ritenne che io gli portassi fortuna. Per cui mi chiese di andare al locale più spesso che fosse possibile.
Lo feci, ma ben presto si rese conto che non era fortuna e che il locale si riempiva anche senza che io fossi seduta lì. Si riempiva perchè Giacomo era bravo e perchè non si dava arie.
Si riempiva perchè aveva solo bisogno di essere conosciuto: ed in questo, e solo in questo, io lo aiutai.
Me ne fu grato per sempre.
Anche quando il mio compito si esaurì rimase un rapporto di affetto e di stima: da parte mia anche di tenerezza.
Non importa per quale ragione oggi un uomo di appena 53 anni non sia più con noi.
Non importa nè come nè perchè.
Giacomo non c’è più: è da qualche parte a cercare sua madre e suo padre, perchè lui ci credeva fortemente.
Giacomo era un padre che non aveva mai tuttavia smesso di essere figlio benchè entrambi i suoi genitori fossero passati a miglior vita da molti anni. Giacomo era l’amico ed il fratello maggiore del suo unico figlio, Alessandro.
Un uomo con un animo da adolescente, combattuto come lo sono gli adolescenti, tormentato come l’animo degli adolescenti.
Ma era essenzialmente una persona buona e generosa.
Del poco che aveva Giacomo faceva tesoro, e se era il caso lo divideva con chi aveva persino meno di lui.
Nel “frullatore” dei ricordi in particolare mi torna in mente un episodio di una sera.
Locale pieno.
Lui sentì un miagolìo e riuscì a capire che c’era un gattino dentro il motore di un’auto parcheggiata.
Senza esitazione incaricò il suo aiuto e i camerieri di occuparsi dei clienti: lui trascorse l’intera serata sdraiato sotto quell’auto, cercando di salvare quel gattino. Fino a che arrivò il proprietario dell’auto, al quale impedì di mettere in moto.
Ebbe però un’intuizione: chiese a quel proprietario di aprire e richiudere lo sportello.
Funzionò. Il rumore ed il contraccolpo fecero decidere a quel gattino di tuffarsi tra le mani di Giacomo.
Raramente ho visto una persona adulta così felice e commossa per aver salvato un gattino.
Potrei scrivere fiumi di parole citando innumerevoli episodi e ricordi.
Ma alla fine non serve a molto dato che chi lo ha conosciuto sa bene che tipo fosse e che chi non lo ha conosciuto non potrà saperlo mai più.
Ma la morte di Giacomo ha aperto uno squarcio nei ricordi, nel cuore. Una perdita grave. Un incontro previsto per i prossimi giorni che invece non ci sarà: voleva parlarmi di un progetto. Ne aveva tanti…ne aveva sempre avuti tanti. Non saprò mai quale fosse il progetto di cui voleva parlarmi, ma so che non aprivo questa pagina da tempo.
E so anche che per molto tempo lui rimarrà in prima pagina per tutti coloro i quali vorranno leggere di lui.
Addio Giacomo, questo saluto pubblico te lo dovevo per tutta la stima, l’affetto ed il rispetto che hai avuto per me in tanti lunghi anni e che ho ricambiato.
Sii felice, finalmente.
Alessandra Verzera
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