Negli anni 90, a Palermo, una nobildonna di nome Renata Zanca dava consigli e pareri di galateo e bon ton nell’ambito di un fortunato format televisivo dell’epoca. Poco tempo dopo, un esordiente Sergio Friscia, le dedicò esilaranti parodie creando un leit motiv che in città diventò la frase sulla bocca di tutti: “ siete tasci”. Questa infatti era la chiosa di Friscia ai suggerimenti parodiati della signora Zanca. Oggi si torna a parlare di tasci, e lo fa Giacomo Armetta, cuoco, cuciniere, con un profilo persino difficile da definire: tutto sommato basta non chiamarlo chef.
“Siamo sommersi dai tasci, specie nelle cucine” – dice Armetta – “perché, ad esempio, rivisitare il cibo della tradizione è decisamente tascio.
In che senso?
“Perché, che senso ha scomporre il cannolo? Destrutturare la cassata? Verticalizzare la caponata? Non parliamo di ingegneria e tecnica delle costruzioni: parliamo di cucina, tradizionale, sana, vera e ruspante. Ma certo è facile tagliare quattro pomodorini e rivisitare invece che fare un sugo di pomodoro come tradizione comanda…Sono facili scorciatoie ”.
Ma esistono scuole di pensiero diverse dalla sua al riguardo.
“Certo: scuole frequentate da tasci. E’ tascio un cuoco che guardi i clienti dall’alto in basso, come se operasse la gente a cuore aperto; è tascio il cappello alto un metro, la giacca plurilogata, sono tasci gli attestati comprati e le menzioni sulle guide pagate fior di euro ma spacciate per puro merito. E’ tascio quel demone che si è impossessato della cucina italiana”.
Lei come si colloca in questo scenario?
“Non lo so. Io cucino, punto. Io amo cucinare e sono un ortodosso della tradizione. Non ho mai usato un grembiule: quando vado a lavoro e mi cambio passo da una t shirt ad un’altra pulita e se mi sporco i vestiti li lavo. Io amo i miei clienti, dai più blasonati ai più umili, da me mangiano tutti le stesse identiche cose e per tutti loro ho lo stesso sorriso e lo stesso entusiasmo”.
In che rapporti è con i suoi colleghi?
“Neanche questo so. Chi li vede? Io non vado a manifestazioni, eventi, fiere e cose del genere. Io, appunto,cucino: degli altri non mi interesso minimamente perché anche essere in competizione con qualcuno è estremamente tascio. Però so che sono scomparsi i cuochi: abbiamo solo chef. Questo, di per sé, è assai tascio”
Cosa sono le altre cose tasce, al di fuori della cucina?
“Fumare è tascissimo. Il fumo è in top list per quanto riguarda le cose tasce. Ma ce ne sono tante altre: parlare a voce alta al cellulare, vestirsi di lurex a pranzo, disegnare le labbra con la matita, inondarsi di dopobarba, roteare il calice del vino non capendo niente di vini, roteare il calice del vino anche capendo molto di vini, chiedere fuori menù a chi chiaramente non ne propone, sedersi in trattoria e chiedere l’asticino o l’ostrichetta, la cassata light, la parmigiana con le melanzane grigliate , farsi fare le recensioni positive dagli amici, accusare i colleghi di invidia se ne arriva qualcuna negativa. E poi la musica in auto a tutto volume, portarsi la birretta da casa, portarsi la birretta smezzata a casa fingendo che sia per il gatto alcolizzato… Insomma, la lista del tasciume è davvero lunga. Ma ce n’è una nuova: il cibo politicizzato!”
Che significa?
“Significa che la gente ha perso la testa e fa politica anche rispetto al cibo. Pensi che ho organizzato delle cene a tema borbonico e che sono state fortemente osteggiate da chi si proclamava garibaldino: negando di fatto un’epoca storica – quella dei Borbone – che, specie in cucina, ha lasciato segni consistentissimi, anzi una vera e propria eredità. Tutto sommato la verità è che essere ignoranti è molto tascio”
Come mai siamo pervasi dal tascio, nella capitale della cultura?
“Perché il tascio è principalmente il vip. Perché non bisogna confondere i comportamenti poco canonici della gente umile con le tasciate degli acculturati “bene”: sono cose diversissime! Il tascio non è mai umile, anzi! Espone in bella vista la borsa firmata, piega e poggia il cappotto dal rovescio, cosicchè si possa vedere l’etichetta, gioca con gli anelli da svariate migliaia di euro. Bisogna solo allenare l’occhio per accorgersi di essere circondati da tasci.”
Tornando in cucina, se lei si sporca la T Shirt non si preoccupa che i clienti se ne accorgano?
“ Ripeto: io non sono un cardiochirurgo in camice bianco, o verde, o azzurro. Io cucino, e sono costantemente unto, schizzato di sugo, puntellato di pastella, con la mappina appizzata alla cintura. Io non esco dalla cucina a mani giunte in posa ieratica e con il naso all’aria quando visito i tavoli dei clienti. Io, se è il caso, tiro la sedia e mi siedo con loro. E ai miei clienti questo piace molto. Questo perché io non ho clienti tasci”.
Ma in sintesi?
“In sintesi le forzature sono estremamente tasce. Il cannolo è il cannolo, la cassata è tonda, colorata e ipercalorica, la parmigiana si fa con le milinciane fritte, la quarume non è obbligatoria ma non si può “alleggerire”, la fonduta va mangiata in Val d’Aosta, la quiche in Francia, e via di sèguito. Non essere orgogliosi delle proprie tradizioni è tascio. Essere chef e cuochi che rinnegano la cucina madre è tascio. Nove cuochi su dieci sono tasci, e lo confermo.”
Non teme di inimicarsi i suoi colleghi con questa sua linea dura?
“A questa domanda se mi permette le risponderò domani: mi serve del tempo per capire quanto poco mi possa interessare una tale possibilità. Mi richiami domani e glielo saprò dire”
Alessandro Lo Iacono
sei un grande
Esatta analisi della situazione concordo in pieno col tuo pensiero continua così non puoi sbagliare la tradizione prima di tutto sempre , Sasa Caminita