Il nome un po’ inflazionato, l’estrema vicinanza al porto commerciale con i suoi effluvi di nafta e risacca e la cornice di una giornata un po’ annuvolata farebbero pensare ad una delle tante trattorie di mare come ne esistono a decine. E invece no: il ristorante La Lampara di Sciacca è un vero must per chi ama mangiare bene (SdG)
Sulle prime non riusciamo neppure a capire se il posto sia aperto o no. E’ domenica, è già tardi e non gira anima viva; la giornata è pessima ed un mulinello di cartacce portate a spasso dal vento ci fa sembrare la zona molto degradata. Ma io, che conosco bene quegli scorci per goderli ogni estate, so che sono di solito molto diversi ed animati da una vita decisamente più colorata. So che il posto di solito mi piace, specie quando arrivano in porto i pescherecci ed inizia il mercato del pesce più fresco e più ambito. Saliamo una rampa di scale e ci troviamo dinnanzi un ambientino chic giocato su un contrasto di tinte chiare e scure molto “city sleek”, la sala è ampia ed accoglie diversi tavoli tutti bene apparecchiati con tovagliato e posaterie di qualità, ed ornati di fiori freschi. Non le solite margherite, ma rose di un rosso intenso che si prendono per tinta con le pareti. Al centro di un tavolo più grande addirittura un’intera corbeille. Siamo in quattro e scegliamo un tavolo affacciato sul Porto di Sciacca, cuore pulsante delle attività legate al commercio del pregiato pescato.
L’accoglienza in sala è garantita da un giovane gentilissimo e dal tono di voce straordinario: non resisto e gli chiedo contezza del suo accento. E’ romagnolo, ma sembra la controfigura di Mario Biondi. Decido che ha una voce “radiofonica”, sia per dizione che per timbro. Ma penso che se dovesse raccontarci tutto il menu ci vorrebbero delle ore: infatti la carta di questo ristorante ( dimenticatevi della trattoria marinara) è incredibilmente ricco e pieno di piatti dai nomi e dalle realizzazioni accattivanti. So già che avrò molto imbarazzo nella scelta. Ed infatti, come spesso succede dinnanzi a tanta innovazione ed a tanta varietà, decido di giocare sul sicuro ed ordino come antipasto il più classico dei cocktail di gamberi. I miei commensali ordinano insalata tiepida di mare, tagliere di salumi e formaggi ed uno strabiliante vassoio di “marinati”: gamberoni e scampi accompagnati da un tabulè ai peperoni.
Quello che mi induce ad ordinare il cocktail di gamberi è la trovata geniale della Julienne di mela verde al posto della solita rucoletta o del songino. Il gambero è fresco e tenero e la salsa cocktail è eseguita in modo esemplare,con un bilanciamento che la rende delicata e mai nauseante nè men che mai pungente. Non esiste accenno di asperità ed il gusto d’insieme e rotondo e gratificante. La mela verde fornisce il giusto contrasto dolciastro, sebbene dal retrogusto erbaceo, ad un’aspersione appena accennata di aceto balsamico. Il blend di gusto al palato è estremamente convincente, come pure le consistenze: quella croccante della mela si mischia a quella morbida del gambero, che incontra quella fluida della salsa. E’ un cocktail come Dio comanda: una rivisitazione senza voli pindarici di un gran classico della ristorazione, talvolta banalizzato da salsette in barattolo e da improbabili uova di lompo a guisa di decorazione.
Il tagliere è freschissimo. Anzi, val la pena di riferire che in prima battuta si era chiesto un tagliere di formaggi doc IGP e che l’ineffabile “Mario Biondi ma di sangue romagnolo” ci aveva invitati a lasciar perdere dato che, avendo riaperto per la stagione da pochi giorni, mancava ancora la fornitura completa di formaggi. Apprezzabilissimo dato che, anche laddove ci avessero servito qualche pezzetto in meno, non ce ne saremmo di certo accorti. Bresaole,salamini ed insaccati vari dunque, qualche olivetta e deliziosi pezzi di formaggi freschi e stagionati hanno fatto la gioia delle papille di un po’ di tutti, dato che tutti abbiamo “pizzicato” da una porzione decisamente generosa. Il vassoio dei marinati era uno spettacolo innanzitutto per gli occhi: bella disposizione e bell’arrangiamento di colori per gamberoni e scampi di una freschezza inarrivabili. Fette di arance a guarnire il taboulè screziato del verde dei peperoni e del prezzemolo, inseguite dal rosso intenso dei gamberoni di Mazara del Vallo, accompagnati dalla livrea rosa pallido degli scampetti.Chi li ha mangiati non ne ha neanche offerti in assaggio al resto dei commensali limitandosi a dire ” ne mangerei altri venti: sono superlativi”. Uguale tributo riceve l’insalata tiepida di mare, ricca di cozze freschissime.
L’aspettativa cresce e culmina nei primi. Accolgo il suggerimento che parla di fettuccine al pesto con gamberi e panurina al pistacchio. Siamo in due a scegliere quella pietanza. L’altro primo sono trenette ai frutti di mare al cartoccio. Il quarto salta il primo e pensa già al secondo.
Le fettuccine sono parecchio infingarde: il loro punto di cottura è rigoroso ed intransigente, non fa sconti. Questo, di solito, è il motivo per cui non amo ordinarle. Normalmente infatti mi deludono perchè il loro punto di cottura è o di un pelo più basso o dello stesso pelo più alto: e questo mi disturba perchè incide negativamente anche sulla distribuzione e sull’assorbimento del sugo. Mi rimane slegato, ovvero si “impalla”, e la pasta risulta o callosa o collosa; una vocale che cambia del tutto la sorte del piatto: e questo non mi piace. Questa fettuccina già all’occhio si presenta fluida. L’attraverso coi rebbi e sollevo una forchettata: è vibrante ed avvolta del suo sugo. Non è impastoiata e non gocciola: è perfetta. Si sparge un profumo rassicurante ed apprezzo il perfetto punto di cottura,insieme ad un condimento assai ricco ma al contempo leggero, non unto. Il pesto è “alleggerito” con l’uso di poco aglio, ed il sentore dell’olio impiegato nella preparazione è delicato al palato e parla di olio evo locale. In quelle zone del resto l’olio evo è un asso nella manica da giocare con sicurezza ad ogni partita: ne ho solo avuto ulteriore conferma. Il gambero è della stessa forza di quello usato nel cocktail, di grandezza media e di ottima tenerezza. La panurina al pistacchio è una trovata semplice ma, come tutte le cose semplici, improvvisamente irrinunciabile: ci sta come un palloncino nella mano di un bambino; esattamente il giusto binomio.
La porzione è generosa, ma alla fine nel piatto rimarrà ben poco.
La trenetta al cartoccio è un effluvio di profumi che si inseguono e si susseguono: dal sentore del fumetto di pesce di base, ai crostacei generosamente sparsi qui e li, al pomodoro fresco. Il suo gusto è forte, così come il suo afrore. Chi mangia di mare conosce questi sapori. Per grazia di Dio la panna rimane la grande assente. Non che la disdegni, ma trovo che sia spesso abusata al punto da soffocare i gusti primari della materia prima: credo che la panna sia una grande livellatrice di sapori, e quindi una sorta di omologatrice dei gusti.
Il secondo, che pure avevo accarezzato scorrendo più volte la lunga lista di pietanze una più invitante dell’altra, non troverebbe spazio nel mio stomaco e piuttosto che non apprezzarlo decido di saltarlo. Mi basterà sentire l’opinione di chi sta già consumando una Mormore di medie dimensioni, dalla carne compatta e soda, semplicemente alla griglia con contorno di verdurine miste e la scelta di vari dressing di ottimo livello: oli aromatizzati all’arancia e al limone e sali in grani grossi con gli stessi profumi di agrumi.
La Mormore è un pesce da spina e le sue spine sono lunghe e spesse: occorre fare attenzione, ma del resto non passano inosservate.Il giudizio che ne ricavo non da adito ad ulteriori spiegazioni: “superlativo”.
Come il mio dolce, invero il dolce di tutti visto che ci ha conquistati tutti. Un dolce al cucchiaio servito in coppa Martini composto da ricotta dolce e crema. Il risultato? Una sorta di delicatissima spuma adagiata su una coulis di lampone ed adornata da qualcosa di molto simile alla buccia di cannolo.
Il pasto, che è stato accompagnato da Donnafugata Bianco ed acqua minerale, si conclude con grappa e caffè, ed il conto ammonta a circa 35 euro a persona. Decoro della sala ottimo e servizio di sala eccellente e discreto.
Un pranzo davvero sublime in un locale delizioso e dalla vista impareggiabile, che però patisce un senso di desolata solitudine in bassa stagione. Non lasciatevi demoralizzare però : in cima alle scale vi attende un pasto da ricordare.
SdG