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Celiachia: nelle mense è obbligatorio il pasto “gluten free”

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senza-glutineAbbiamo iniziato a trattare il tema delle mense scolastiche ed oggi vogliamo nuovamente segnalare come, nonostante esista una legge apposita , numerose persone e soprattutto bambini che sono affette da celiachia, debbano ancora battersi per vedere rispettato un loro diritto. L’articolo 4 della Legge 123/2005 al comma terzo recita “Nelle mense delle strutture scolastiche ed ospedaliere e nelle mense delle strutture pubbliche devono essere somministrati, previa richiesta degli interessati, anche pasti senza glutine”. gluten-main_2Per poter meglio perseguire lo scopo prefissato nella stessa legge sono stati stanziati appositi fondi nazionali, che vengono distribuiti alle Regioni sulla base del numero di mense pubbliche operanti sul territorio regionale; questi fondi possono essere utilizzati sia per l’acquisto degli ingredienti senza glutine (pane, pasta, farine speciali) sia per attività di formazione rivolte agli operatori, sia per interventi sulle attrezzature delle cucine, con la finalità di garantire i pasti gluten-free . Spetta all’attività della ASL, nello specifico del SIAN (Servizio Igiene Alimenti e Nutrizione) che ha l’obbligo di sorveglianza sulle caratteristiche igienico-nutrizionali dei pasti, ivi inclusa la valutazione delle tabelle dietetiche adottate di attività di vigilanza e controllo in conformità con le normative vigenti di controlli (ispezioni, verifiche, audit), controllo complessivo sul servizio soprattutto in caso di committenza del servizio a terzi, inoltre la Commissione mensa scolastica, quale organo di rappresentanza, può svolgere monitoraggio dell’accettabilità del pasto e delle modalità di erogazione del servizio anche attraverso schede di valutazione, opportunamente predisposte agli organi di controllo preposti verificare che le regole ministeriali siano rispettate . alimenti-per-celiaci_640x480Non di rado potrebbe accadere che, poiché fino a quel momento nessuno abbia manifestato l’esigenza di un menù gluten-free una mensa possa gluten-free-foodnon essere attrezzata ma previa istanza iscritta le stesse sono obbligate a dover fornire pasti adeguati alla dieta di un celiaco. Nota conclusiva in riferimento alle mense delle strutture private la Legge 123/2005 non è direttamente applicabile, è comunque possibile far valere una serie di diritti costituzionalmente riconosciuti quali il diritto alla salute, disciplinato dall’articolo 32 o il divieto di discriminazione espresso nell’articolo 3 sempre della Costituzione; numerose sono le mense private che si sono autonomamente adeguate e garantiscono pasti glunten-free nella loro offerta di menù.Tutte le strutture di ristorazione, mense comprese, devono esporre la tabelle allergeni in duplice lingua, un menù allergeni con l’evidenza di tutti gli allergeni compreso il glutine, presenti come ingredienti nel prodotto non imbustato erogato, ai sensi del Reg. 1169/2011 e di formare uno o più addetto allergeni che vigilino sulla cross-contamination , ma questo sarà trattato approfonditamente nel prossimo articolo.
A.Z.
Studio Legale Avv. Carmine Coviello

Nota: la tabella degli alimenti per celiaci è di benessere360.com

 

[1] http://www.celiachia.it

[1] http://www.salute.gov.it/imgs/c_17_pubblicazioni_1248_allegato.pdf

L’Editoriale. Se quel pane quotidiano…

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pane2Il pane quotidiano, per i credenti citato anche nelle preghiere che si imparano e si recitano sin da bambini. L’alimento principe che tutto il mondo prepara e consuma, con modalità diverse. Non esiste posto del mondo in cui non esista il pane.  Acqua e farina, a sostentare il mondo. Il pane è quotidiano. Costa poco e profuma tanto. Pochi profumi nell’aria possono essere confortanti e rasserenanti quanto quello del pane appena sfornato.  Il pane evoca infanzia, unione, desco. E’ compiacimento per l’olfatto ma anche per la memoria; chi non ricorda la nonna spalmare qualcosa su una fetta di pane – fosse anche solo zucchero bagnato – o  il papà tornare a casa la sera con la busta del pane? pane3E se i bordi della busta di carta erano aperti allora questo significava unicamente una cosa: quel pane era caldo, appena sfornato.  Quel pane che lo compri e, se è il caso. cominci già a sbocconcellarlo per strada, incurante degli altri. Perchè il pane non è gola, è essenza. Il pane è sacro. Ma quel pane quotidiano non è più alla portata di tutti. Sembra incredibile, specie a chi ne avanza, lo butta o ne fa pan grattato, ma non tutte le famiglie italiane possono ancora  permettersi il pane. Non ci si riflette, ci si bada poco, ma è proprio così. pane-giuliaEd ecco che, una mattina qualsiasi mentre organizzo il lavoro mio e degli altri e mentre do un’occhiata ai social con il mio caffè e, purtroppo, anche la mia sigaretta, mi imbatto in qualcosa che da un senso – già di per sè stesso – alla giornata. Qualcosa che esula dai soliti saluti a slavina, dalla solita montagna di foto di tazze di caffè e croissant, dai soliti aforismi di vario amore a raffica. Qualcosa di tanto importante che mi cambia la giornata, e con essa il lavoro che avevo già in buona parte organizzato e distribuito. Quello che cattura il mio interesse e mi siede alla mia scrivania insieme alla mia coscienza e ad una riflessione è un semplice cartello, apposto sulla vetrina di un panificio. Il panificio di Giulia. Chissà chi è Giulia, non mi è dato di sapere. Chissà dove si trova la sua forneria: poco importa. Giulia non ha bisogno di pubblicità perchè  Giulia non  è una catena della grande distribuzione, non è un supermercato. Giulia ha un piccolo panificio, possibilmente di quartiere: di quale città lo ignoro totalmente. Ma Giulia, dai suoi forse pochi e forse piccoli scaffali, lancia un messaggio immenso: che vale molto più di tanto “amore scritto” su tanti bigliettini telematici precostituiti. Il suo cartello  è li per essere visto. Non serve a Giulia per mettersi a posto la coscienza; le serve per fare del bene , e per farlo veramente. Ciò che è scritto su quel cartello lo vedete da voi.

Giulia è una di decine di migliaia di fornaie d’Italia. rosticceriaLa mia città è Palermo: da questa città sono seduta a scrivervi, ma il mio giornale gira l’Italia intera ed anche una buona parte di mondo. Io so, perchè lo so da cinquant’anni, che in nessun posto del mondo i panifici sono stracarichi di ogni ben di Dio quanto lo sono a Palermo. Nei “forni” palermitani si produce di tutto: il pane, certamente, ma anche le pizze, gli sfincioni, i calzoni, la pasta al forno, le lasagne, le sfogliate, le torte salate, la parmigiana i bomboloni, i biscotti di ogni tipo…una varietà immensa di prodotto dolce e salato. Un’immensità di cibo. Questo vorrei. Vorrei che i fornai palermitani aderissero alla stessa iniziativa che Giulia ha avviato nella sua forse piccola città, nel suo forse piccolo quartiere, regalando ciò che avanza a chi non avanza mai niente. vetrina_2Vorrei che qualsiasi bambino potesse avere in mano un trancio di pizza, e che qualsiasi padre potesse portare a casa il pane quotidiano, ma anche un pezzo di sfincione, o qualche biscotto Excelsior, o qualche genovese con la ricotta, o un occhio di bue con la marmellata, o i biscotti algerini. Vorrei che ogni fornaio avesse una mano libera da mettersi sul cuore e che ogni mio concittadino potesse soddisfare una piccola voglia, che per lui è un lusso. Vorrei che ogni madre avesse sempre un piccolo capriccetto da portare in tavola, e vorrei che ciò potesse allietare o perlomeno sopire per un po’, la mestizia che accompagna i pasti di tante famiglie,  delle quali non abbiamo neanche la minima idea. E non solo i fornai dovrebbero farlo: ma anche i fruttivendoli, i pescivendoli, i macellai. ortofrutta_1Tutti quegli esercizi che vendono prodotto fresco e deperibile dovrebbero non consentire a sè stessi di gettarlo via. Immaginate che grado di civiltà raggiungerebbe Palermo se una famiglia di poveretti uscisse con zero euro in tasca e potesse tornare a casa con tre panini, due fette di pesce spada, tre mele e magari anche un hamburger per il piccolo di casa che non mangia il pesce. Pensate per un attimo alla gioia di sapere di aver sfamato una famiglia, laddove prima mettevate tutto in un cassonetto. Pensate a quanto bene ciò vi farebbe sentire, nel momento in cui voi stessi doveste sbucciare una mela. bancofruttaQuesto vorrei, idealmente: che ogni negozio avesse un piccolo banco a parte, in cui esporre la merce di immenso valore e perciò senza prezzo. Ma naturalmente vorrei che non ne approfittassero quelli che poi di fatto girano in Mercedes: ma questa, eventualmente, è un’altra storia. Ma soprattutto vorrei che chiudessero un occhio  i signori della Guardia di Finanza così come quelli della Polizia Municipale: che senso ha multare un esercente perchè regala un panino e, dunque, non emette lo scontrino fiscale?  Che senso ha dissuadere la gente dalla solidarietà e condannarla all’egoismo che spreca e che getta via per paura di una sanzione ingiusta? Che senso ha, nell’economia dei veri grandi evasori a diversi zeri, pensare di “pizzicare” un fornaio che ha regalato un panino ad un extracomunitario o ad un’anziana signora? Non c’è niente di illecito: è merce già certificata che era già idonea alla vendita e che non è stata venduta. E’ un dono, un regalo: è beneficenza. Siate buoni con voi stessi per amore degli altri, per piacere…

Alessandra Verzera

 

Cosmofood. La cucina d’autore è di casa a Vicenza

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banner-cosmofood-400x400-itSpazio alla cucina d’autore alla quarta edizione di Cosmofood, in programma dal 12 al 15 novembre alla Fiera di Vicenza. Ernst Knam, Chiara Maci, Giuliano Baldessari e Lorenzo Cogo saranno i protagonisti di quattro show cooking gratuiti nello spazio Arena, principale novità dell’edizione 2016.
lorenzo-cogoSabato 12 novembre alle ore 12 inaugurerà il programma Lorenzo Cogo, chef stellato del ristorante El Coq, che porterà il suo bagaglio di esperienze accumulate nel corso dei numerosi viaggi all’estero. Domenica 13 alle 17 salirà sul palco dell’Arena Giuliano Baldessari, chef stellato di Aqua Crua e oggi giudice dello show televisivo Top Chef.

Lunedì 14 alle ore 15 si potranno conoscere le ricette di Chiara Maci, una delle più popolari foodblogger italiane. Infine, martedì 15 alle 12 la chiusura sarà affidata al “re del cioccolato” Ernst Knam, pasticcere noto al grande pubblico per le sue apparizioni su Real Time, che proporrà l’incontro “Il cioccolato incontra le spezie“.ernst-knam
Il pubblico di Cosmofood potrà anche mettersi al lavoro a fianco dei grandi chef: tre laboratori tenuti da Cogo, Baldessari e Knam sono previsti rispettivamente sabato, domenica e martedì. Tre incontri riservati a 50 persone ciascuno nei quali gli aspiranti cuochi potranno carpire i segreti della cucina realizzando un piatto sotto la loro supervisione. giuliano-baldessariCosti e prenotazioni sono disponibili sul sito, dove si può trovare il calendario dei 100 eventi che completano il programma dei quattro giorni di fiera.
Si tratta di seminari e corsi rivolti tanto ai professionisti, che troveranno informazioni utili su tecniche di gestione aziendale e marketing, quanto agli appassionati, che potranno scegliere tra corsi di pasticceria, cucina senza glutine, cake design e nuove tendenze, come quella della vasocottura. Da segnalare lo show cooking di cucina vegetariana gourmet (sabato 12 novembre alle 16:30 con Martina Cortellazzo); il corso di “cucina stellata” (domenica 13, ore 17,30) con cui lo chef Samuele Beccaro introdurrà il pubblico nelle cucine dei migliori ristoranti d’Italia svelando segreti e tecniche di preparazione e di cottura innovative; l’incontro “Celiachia e dieta senza glutine: verità e miti a tavola” (domenica 13 alle 15:30 a cura della dietista Silvia Scremin).
aisTante le degustazioni di vino, in collaborazione con Ais, Fisar e Consorzio Vini Colli Berici, ma anche di birra e olio extravergine di oliva. Tra gli appunamenti da segnalare quello con Cameron Tapp, esperto statunitense di acque minerali, che spiegherà gli effetti dell’uso dell’ozono nell’acqua minerale.
logo-fisarUn ventaglio di proposte quanto mai ricco che trasformerà la visita a Cosmofood in un’esperienza interattiva che proseguirà con la visita ai tre padiglioni della fiera. Qui troveranno posto 450 espositori, con prodotti tipici da tutta Italia e numerosi paesi europei, da scoprire, degustare e acquistare direttamente ai banchi. Completa l’esposizione l’area Cosmotech, interamente dedicata alle attrezzature professionali per la ristorazione, quest’anno raddoppiata rispetto alla scorsa edizione.

“Chef4Charity”, nel Salento dieci artisti del gusto al lavoro per Amatrice

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amatriciana pastaA meno di due mesi dal terribile sisma che ha colpito il centro Italia, danneggiando gravemente diversi comuni e strappando la vita ad oltre 300 persone, si registrano e si moltiplicano le iniziative solidali. Una grande fetta di solidarietà alle popolazioni colpite dal sisma è da subito arrivata dalle “Toques”, con iniziative che hanno avuto ed ancora hanno un’eco immensa e che hanno coinvolto cuochi e chef anche all’estero. Ciò è dovuto al fatto che uno dei luoghi più colpiti è stato Amatrice, la storica patria della pasta all’ Amatriciana. locandinaSuggestivamente quindi, tutte le cucine  del mondo si sono adoperate per preparare questo piatto: sia per accendere sempre più riflettori sulla città e sul sisma, che per apportare un contributo vero ed efficace alle popolazioni. di-iorioE una squadra di dieci artisti del gusto è al lavoro in queste ore nel Salento per costruire un evento di solidarietà a sostegno della popolazione di Amatrice: tra questi – solo per citarne alcuni -­‐ lo chef stellato Giuseppe Di Iorio, in arrivo dall’ “Aroma Restaurant” di Roma, il suo collega di “Bleu Salento” Franco Tornese, Simone De Siato per la Boscolo Etoile Academy di Tuscania e Alessio Gubello, della Tenuta Mosè di Sannicola, ideatore e promotore dell’iniziativa: obiettivo, costruire una serata gourmet dedicata al gusto, all’arte e alla musica, ma soprattutto alla solidarietà. torneseAppuntamento venerdì 28 ottobre alle 20.30 nello splendido Castello Angioino di Gallipoli, dove l’arte culinaria del team di professionisti del gusto in questione incontrerà il cuore di un lungo elenco di amministratori e cittadini di buon cuore della provincia salentina, idealmente capitanati dal presidente della Regione Michele Emiliano, e quello di tutti coloro che vorranno contribuire, partecipando al convivio, alla raccolta di fondi da destinare alle popolazioni terremotate del Centro Italia. gubelloLa somma, versata come liberalità e deducibile fiscalmente, sarà devoluta infatti per intero alla cittadinanza di Amatrice. L’iniziativa, condivisa con Officina Creativa, la no profit del famoso brand Made in Carcere, in collaborazione con Actionaid Lecce e Comune di Gallipoli e patrocinio di Regione Puglia, Provincia di Lecce e Comune di Gallipoli, sarà caratterizzata da una serie di accessori appositamente creati dalle donne detenute nel Carcere di Lecce e dal sorteggio di un prezioso monile realizzato dal designer-­‐orafo Gianni De Benedittis, guru del brand “futuroRemoto”: un anello che rappresenta il battente antico di una porta, simbolo domestico per eccellenza e dunque emblema di una ricostruzione possibile.

ais-logoIl team di chef è al lavoro già da settimane per preparare la cena gourmet e  sta realizzando un tipico menu di Amatrice ripensato con i prodotti di alcune tra le più prestigiose aziende agroalimentari locali, e impreziosito dai vini di alcune delle migliori cantine del Salento, serviti dai professionisti dell’Associazione Italiana Sommelier di Lecce. Alla cena, a numero chiuso, sono stati invitati i rappresentanti delle maggiori istituzioni locali pubbliche e private, a sancire l’impegno personale e politico di rappresentanza nei confronti di un territorio sempre in prima linea quando il cuore chiama, ma in generale tutti i salentini di buona volontà, che vorranno  partecipare alla serata di fund raising in favore delle comunità profondamente colpite dal sisma  che ancora oggi fa registrare sempre nuove scosse.

 

Alessandro Lo Iacono

Ricette d’autore. Il coniglio all’ischitana e le linguine di Antonio Borrelli

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coniglio-ischitanaIl coniglio di fossa all’Ischitana.

ingredienti:
1 coniglio a pezzi di circa 1,5kg.
150 gr di pomodorini.
2 bicchieri di vino bianco secco
1,5 dl di olio di oliva, aglio ,peperoncino, basilico, timo, maggiorana qb. Questa è la ricetta originale ,dell’isola, però esistono alcune variazioni . come le linguine all’Ischitana
(ragù di coniglio)

linguineingredienti:

Sull’isola  ,alcune varianti prevedono l’aggiunta di olive di giardino di Ischia.

Io un po’ ho snellito la ricetta:
Rosolare il coniglio a pezzi con una testa d’aglio.
Poi in un tegame di coccio (in mancanza va bene un tegame con i bordi un po più alti) soffriggere due spicchi d’aglio, aggiungere il coniglio fritto ,fare scaldare e bagnare col vino bianco secco, fare evaporare ,aggiungere le spezie ,il pomodoro e coprire. A Ischia con questo sugo ci condiscono i bucatini , però molti isolani usano anche le linguine ,entrambe le paste vanno rifinite con abbondante parmigiano grattugiato.

Antonio Borrelli Chef 

Pietro D’Agostino ambasciatore del Gusto Made in Sicily nel mondo

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Pietro d'agostinoProsegue il tour di promozione gastronomica dello chef Pietro d’Agostino, 1 stella Michelin, che in collaborazione con le Camere di commercio di Bielorussia, Lussemburgo, Finlandia e Bulgaria sarà in giro per il Nord Europa in qualità di ambasciatore del gusto Made in Sicily per far conoscere la Sicilia, il mare, l’Etna, le produzioni Dop, il vino, le primizie a migliaia di cittadini d’Europa.

E così, dopo un primo ‘assaggio di Sicilia’ che lo ha visto protagonista già a settembre scorso in una tre giorni nella Repubblica Ceca, Pietro D’Agostino si dedicherà ad una full immersion già a partire dal prossimo 1 novembre per concludersi il 24 novembre, appena in tempo per riaccogliere nel mese del Natale ospiti, avventori e appassionati nella sua “Capinera” di Taormina.
pietro d'agostinoPrima tappa sarà in Bielorussia, dove fino al 5 novembre, verranno messi in bella mostra i prodotti tipici della nostra terra, cucinati e interpretati per l’occasione da uno chef stellato che nei suoi piatti non dimentica mai di raccontarne quell’ancestrale legame, che in fondo ne fa un po’ la differenza.

Sarò lieto di far conoscere una Sicilia del gusto – dichiara Pietro D’Agostinopercorsa in lungo e in largo alla ricerca di prodotti dop, unici per le loro caratteristiche e per l’habitat nel quale sono stati coltivati, per questo porterò in valigia il pomodorino di Pachino, pilastro della dieta mediterranea, raccolto nelle calde terre più a sud dell’isola, la tipica mandorla “pizzuta’ di Avola, nel siracusano; così come non possono mancare, la tipica cipolla rossa di Giarratana, il caciocavallo di Ragusa, i capperoni di Salina o l’occhio di pernice di Pantelleria. Immancabile l’olio extra vergine di oliva, il sale di Motia e l’ aglio di Nubia

Poi, dal 6 all’9 novembre lo chef si sposterà in Lussemburgo per una kermesse gastronomica organizzata dalla Camera di Commercio Italo-lussemburghese e dal 11 al 15 novembre in Finlandia per partecipare a un workshop organizzato dall’Istituto italiano di Cultura e infine, dal 22 al 24 novembre si chiude in bellezza in Bulgaria con un evento dedicato agli abbinamenti del cibo e del vino.
Noi chef siciliani abbiamo una grande responsabilità – aggiunge Pietro D’Agostino –pietro-d-agostinoperché la Sicilia non è affatto una terra sconosciuta, al contrario, tanti sanno quanto essa sia espressione di tantissime eccellenze, tanto nell’aspetto artistico-culturale e o storico-paesaggistico quanto in quello gastronomico, e pertanto la vera sfida consiste nel non deludere mai le aspettative di chi arriva nei nostri luoghi, e di mantenere sempre molto alti gli standard di qualità. Non basta saper cucinare bene, ma è necessario farlo utilizzando i prodotti e le materie prime migliori e mettere nei piatti quell’ingrediente “segreto” che è il ostro “dna” che quel siamo come popolo”.

Immagino la Sicilia come l’isola dei sapori e della bellezza, una terra del cibo di qualità, della cultura, della natura e dell’accoglienza, in un tripudio di colori: l’azzurro del mare, il nero e il rosso dell’Etna, il verde delle ricche vegetazioni, il giallo oro delle immense distese di grano che sono certo non lascerà indifferente le migliaia di visitatori che parteciperanno agli eventi in programma e che rappresentano per la Sicilia quel potenziale di turismo di qualità di cui la nostra economia ha bisogno”.

 

 

Slow Food : “Slow Wine è un manifesto politico”

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slowine-logo-1«Slow Wine è molto più di una guida, è un manifesto politico: porta con sé tutto il messaggio di Slow Food
». È Daniele Buttignol, segretario generale di Slow Food Italia a presentare a Montecatini Terme Slow Wine 2017. «La recente storia del vino nel nostro Paese, a partire dallo scandalo del metanolo che nel 1896 ha messo in ginocchio il comparto italiano, segue la storia di Slow Food. Slow Wine racconta proprio questo percorso comune, scrive la storia della grande capacità dei produttori italiani di risollevarsi dopo quella tragedia, del loro impegno a restituire al cibo e al vino il giusto valore. Per questo il mondo del vino può fare da apripista per tutta la nostra economia: il vino non ha ricetta, ma un territorio e dentro ogni bicchiere c’è la storia e l’identità di quel territorio. E questa è la formula vincente per promuovere e valorizzare la nostra produzione agroalimentare, che nell’identità può trovare la vera forza.»

daniele-buttignol-segretario-slow-food-italia2Una strada questa, indicata anche dai tre importatori chiamati a condividere con i produttori presenti in platea le strategie giuste le per far apprezzare i propri prodotti all’estero.

vino_francese--400x300«La Francia si contende con l’Italia il primato di maggiori produttori di vino» ci spiega Bruno Colucci consulente agroalimentare & vino del gruppo Carniato Europe, in Francia: «Gelosa delle proprie eccellenze, difficilmente si apre al vino italiano. Considerate che l’80% dei vini stranieri sono distribuiti dalla Gdo, e qui l’Italia, con i suoi 11 milioni di euro di venduto, arranca dietro Spagna, che vende per 35 milioni di euro, e Portogallo. C’è quindi un margine di progressione enorme. Dobbiamo puntare sul commercio di prossimità, l’unico che può dare una marcia in più alle nostre produzioni. Questo perché, oggi, il francese che desidera la qualità italiana può solo rivolgersi alla ristorazione. Per questo bisogna puntare sui negozi di prossimità, le piccole enoteche, le botteghe alimentari. Il vino italiano non deve competere con il prezzo, l’Italia, non è un paese da produzioni mastodontiche, non può sfamare il mondo o annegarlo con i suoi vini. Ma dalla sua parte ha la grande ricchezza di proporre caratteristiche uniche al mondo. Per questo si salverà con l’artigianato e con le piccole aziende che si impegnano per ottenere il miglior risultato possibile».

slow-food-300x225Altrettanto complicato è sbarcare in Cina, Paese cui molti produttori stanno guardando con crescente interesse.

«Il mercato cinese – spiega Alessandro Mugnaioli, sales Advisor Yishang Wine Business Consulting Co.Ltd – condivide molte caratteristiche con quello francese, perché, per i cinesi, il vino è per antonomasia francese. Ma non solo: prima di noi arrivano Australia, Chile e Spagna. Questo anche perché con Australia, Nuova Zelanda e Cile la Cina ha un accordo commerciale che abolisce i dazi. Come entrare stabilmente nel mercato cinese? Attraverso la formazione degli operatori, stiamo lavorando affinché si appassionino al nostro prodotto, anche perché in generale in Cina non si ha nemmeno idea che l’Italia produca vino. Per cui dobbiamo impegnarci per una grande comunicazione di massa e insistere per una promozione di qualità fatta dai consorzi e le cantine. Uno strumento utilissimo sarebbe proprio Slow Wine: il racconto perfetto per soddisfare la grandissima voglia di conoscenza dei cinesi».

new-york2Stando ai numeri, dovremmo avere vita facile negli Usa dove da anni conserviamo il primato delle esportazioni. E invece, ci spiegano Iacopo Di Teodoro NYC, Italian Portfolio Manager, Artisanal Cellars e Giuseppe Lo Cascio fine Wine Sales and Marketing Consultant, US: «Negli States si consumano 340 milioni di casse da nove litri di vino (12 bottiglie) all’anno. Nel 2015, il consumo pro capite è stato di 15 bottiglie. Di questi, due terzi è prodotto domestico, soprattutto californiano. Nel terzo che rimane l’Italia se la gioca con tutti gli altri. Al momento siamo in testa, ma non con un margine altissimo: nove milioni di casse nei primi 4 mesi del 2016, che significa che un terzo di vino importato è italiano. Se poi guardiamo nello specifico i vini mossi, i nostri rappresentano praticamente i 2/3 delle importazioni a stelle e strisce. Ma questo non ci deve rassicurare. Il mercato statunitense è molto variegato e oggi dominato dai millennials: curiosi sì, ma poco dediti all’approfondimento, rincorrono soprattutto le novità. Quindi il miglior suggerimento che possiamo dare è quello di comunicare con grande chiarezza, di dare tutte le informazioni possibili a partire dall’etichetta. A partire, per esempio dalle certificazioni, considerato l’orientamento del mercato verso le produzioni biologiche e i vini naturali»

gariglio_giavedoniUna tendenza non solo del mercato, ma anche una scelta etica e sociale. Scelta che Slow Food sostiene da sempre e che ora Slow Wine ha voluto intraprendere: «La novità più rilevante di questa edizione va proprio alle fondamenta della guida, di quelli che più di tutti incarnano i valori della nostra della nostra associazione: le Chiocciole e i Vini Slow. Le prime evidenziano la in sintonia con Slow Food per ragioni organolettiche, territoriali e ambientali, e i secondi riconoscono quei vini che più di altri condensano nel bicchiere l’identità del territorio d’origine», raccontano Giancarlo Gariglio e Fabio Giavedoni, curatori della guida. Ora per ottenere questi riconoscimenti è il rifiuto dei diserbanti chimici in vigna: «Una scelta necessaria, i tempi sono maturi e le tecniche agricole lo consentono. Del resto, dalla prima edizione di Slow Wine le produzioni che hanno scelto di convertirsi al biologico sono aumentate del 50%» conclude Gariglio.

 

Ricette d’ Italia. L’antipasto di verdure fritte ligure

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verdure-in-pastella-50428-1Le verdure sono necessarie ad una buona dieta bilanciata, così come la frutta. Ma spesso sono poco appetibili e vengono definite “tristi” proprio perchè non esistono troppi modi creativi per poterle preparare. In Liguria invece esiste un piatto tradizionale che prevede una formula decisamente golosa per consumarle. Il piatto si chiama, semplicemente, “Antipasto di verdure fritte“.  In realtà si tratta delle “verdure in pastella” conosciute un po’ in tutta Italia, con delle varianti nel procedimento per ottenere la pastella: in alcune zone si prepara con la birra in luogo dell’acqua addizionata di anidride carbonica o del latte, in altre zone  si aggiunge alla pastella del lievito di birra, o si tralasciano le uova, o si prediligono altre verdure, come cavolfiori e melanzane, o cardi e fiori di zucca,  e via di seguito. Molto dipende dalla “regionalità” in cui viene realizzato il piatto. In realtà l’origine di questo piatto sembra essere ligure, e la pastella è qualcosa che sta a metà tra una qualsiasi delle pastelle da noi conosciute, e la più raffinata ed esotica Tempura. Vediamo cosa occorre.

frittoIngredienti per 6 persone :

6 cuori di carciofo

4 carote

1 porro

2 zucchine

1 limone

3 uova

60 grammi di farina

2 dl di latte

2 dl di olio extra vergine d’oliva

2 dl di olio di semi di arachide

una presa di sale

abbondante prezzemolo tritato

verdure-pastellaProcedimento:

Tagliare a spicchi  molto sottili i cuori di carciofo e lasciarli a bagno con acqua e limone per almeno un’ora. Successivamente lessarli in acqua salata, assicurandovi di tirarli via ancora croccanti. Ripetere la stessa operazione anche con le carote e i porri, che però non andranno immersi preventivamente in acqua e limone, ma semplicemente lessati e tagliati finemente.

Intanto preparare la pastella versando in una ciotola la farina, le uova, il latte e la presa di sale. In una padella o in un tegame versare i due tipi di olio in parti uguali.  Passare le verdure nella pastella, dopo averla fatta riposare per mezz’ora, e friggere. Le verdurine pastellate vanno servite ben calde, dopo essere state decorate con una bella manciata di prezzemolo fresco finemente tritato.

Alessandra Verzera

 

Nicosia (En): alta tecnologia ed innovazione nell’agroalimentare. L’intervista.

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nicosia-nottePer concludere degnamente il mio viaggio nella provincia ennese, e nello specifico tra le belle valli di Nicosia  di cui ho apprezzato l’ assoluta pace, l’eccellente gastronomia ed una serie di prodotti di alta gamma veramente ragguardevoli, vi racconto una storia di intelligenza e tecnologia che – in ogni caso – nasce comunque dall’amore per la propria terra e per i prodotti che da essa derivano: l’olio, in questo caso, ma non solo. Si tratta di una macchina incredibile che si chiama Bio Spremi A 500; un brevetto di Antonino La Greca: che si è inventato un modo tutto nuovo di “spremere” le olive ma non soltanto loro. Dina La Greca, giornalista e responsabile marketing per il progetto, ci spiega meglio.

 

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Dina, esattamente, come funziona la Bio Spremi A 500?

La tecnologia innovativa di questa attrezzatura sta nella nuova formula di spremitura di qualsiasi alimento da succo.In particolar modo si prende ad esame il settore olio/olive da spremitura perché è nella nostra nazione uno dei settori trainanti dell’agroalimentare.

Certamente, ma non solo olive, come vedremo in appresso, ma in verità qualsiasi frutto che possa di fatto dare un succo…Ma con quali caratteristiche specifiche lavora la macchina?

La specifica più importante della nostra frontiera è relativa alla spremitura in assenza di acqua e di centrifughe. Argomentazioni, quelle appena addotte, che convincono chi, avendo dimestichezza col lavoro di spremitura delle olive, sa bene che incidono fortemente nel processo lavorativo e nella qualità del prodotto ottenuto. La Bio Spremi A500 riesce, in via unicamente meccanica e senza aggiunta di acqua o additivi chimici, ad estrarre un olio puro e non centrifugato, come invece accade con la tecnologia corrente che utilizza solamente centrifughe ad altissimi giri che deviano e danneggiano le qualità organolettiche del re della tavola: l’olio.

Questo procedimento innovativo, in che cosa si traduce in termini pratici?

Garantisce un’ ineguagliabile qualità, nonché un’eccezionale resa percentuale: la rivoluzione in questo campo industriale.

oliv_02In termini di maggior resa, quando prodotto in più ci si può realisticamente aspettare di estrarre?

Circa un 20% in più, grossomodo: ma non solo “di più” – che è comunque importante – ma anche “migliore”. In rapporto alle altre macchine attualmente a disposizione per la spremitura infatti , rileviamo e garantiamo vantaggi su tre aspetti fondamentali di qualsiasi processo produttivo: ovvero, tempistica, quantità, qualità. Quello che Bio Spremi A 500 fa, a differenza delle altre macchine, è “spremere” i frutti, laddove altre macchine “sbattono”. Gli attuali sistemi “sbattono” le olive stressando la pasta oleosa con conseguente perdita di componente polifenolica. Questo con Bio Spremi A 500 non succede.

mano-oliveI risultati sono stati effettivamente dimostrati o si è ancora in fase sperimentale?

L’olio che risulta dal nostro metodo di spremitura, che non prevede aggiunta nè di acqua nè di altri elementi di scissione, è il prodotto di una spremitura dolce che non stressa la pasta di olive appena gramolata. La spremitura è dunque veloce, e non intacca le proprietà organolettiche dell’olio, anche perchè la macchina lavora in assenza di calore. Da tutto ciò deriva un prodotto di eccellenza sotto tutti gli aspetti. Analisi biochimiche sul prodotto estratto dimostrano quanto affermiamo. Attualmente si stanno molendo le prime olive pronte alle comparazioni

gramolaNon ultimo c’è un aspetto “economico” che va evidenziato…

Certo. Questo tipo di lavorazione, che dimezza i tempi di spremitura e riduce quelli della precedente gramolazione, ha sicuramente una ricaduta in termini positivi anche sui costi di produzione e, quindi, sui costi del prodotto al dettaglio. In ultima analisi, un prodotto migliore, più salutare, più abbondante e ad un prezzo di mercato più abbordabile. Questa si, è rivoluzione.

Immagino che questo brevetto stia attirando molto interesse sia a livello dello studio vero e proprio che dell’applicazione in campo industriale..

Il progetto parte dall’ottenimento del brevetto al prototipo nel giugno 2015, e la macchina ha avuto applicazione già nel corso della scorsa campagna olearia, 2015/16, ottenendo i risultati sperati sotto i profili qualitativo/quantitativo rapportati alle attuali tecnologie estrattive moderne (la centrifugazione). A oggi l’invenzione è inserita in progetti di studio comparativo da parte delle università di Catania e Perugia, oltre ad una collaborazione didattica con l’Istituto Tecnico S.A.S.R. (Servizi per l’Agricoltura e lo Sviluppo Rurale), propedeutica al confronto tra teolivecnologie d’avanguardia in campo sperimentale. Abbiamo in essere diversi contatti con aziende agricole e produttori in larga scala che si occupano di estrazioni diverse dall’olio di oliva, come i semi di fichi d’india e/o la spremitura di frutti da succo; in quanto la Bio Spremi è duttile e compatibile a diverse lavorazioni e consistenze.

E tutto questo prende le mosse a Nicosia…

Esattamente. L’Inventore, progettista e costruttore della macchina Bio Spremi A500 è Antonino La Greca di Nicosia, che è anche la sede del frantoio. Chi volesse saperne di più e volesse conoscere meglio al nostra macchina, ci può contattare nei seguenti modi: 0935/640016 3935908933 dina.lagreca@gmail.com

 

Alessandra Verzera 

A Nicosia ( En), un prodotto caseario d’eccellenza: la mozzarella di bufala

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mozzabufalaProbabilmente pochi conoscono la solida e variegata tradizione enogastronomica nicosiana che, io stessa, ho scoperto solo da pochi giorni rimanendone assai sorpresa. Oltre ad essere una cucina genuina, in larga misura grazie al fatto che la maggior parte della materia prima è di reperimento locale, la cucina nicosiana è anche molto varia ed anche abbastanza ricercata, e la sua raffinatezza è dovuta ad un elemento storico molto importante: la fusione assai felice dell’antica tradizione nobiliare con quella contadina.

Nicosia infatti è conosciuta come la “ città dei 24 baroni” ed essendo terra di baronìe la sua tradizione enogastronomica è decisamente “nobile”.  burrataPer la sua posizione geografica, per i pascoli particolarmente ubertosi e verdeggianti, la città è  da sempre dedita all’agricoltura e al pascolo: questo la rende nota per la genuinità dei suoi prodotti, ed in particolare per le carni, specie le ovine e le suine. Ma un’altra eccellenza nasce in quei territori che non tutti conoscono: parlo della mozzarella di bufala.  Punta di diamante di una produzione casearia degna di nota che comprende formaggi di varia stagionatura, la mozzarella di bufala nicosiana ha caratteristiche organolettiche davvero eccellenti, così come l’ottima burrata.

caseificioHo gustato quella del Caseificio Albereto: un’azienda moderna,all’avanguardia ed accreditata ,con una fascia di clientela in continua crescita, che prende il nome dalla contrada in cui insistono i suoi stabilimenti in cui si produce una vasta gamma di prodotti sia caseari che di carne bufalina. L’intera produzione dell’azienda si avvale di prodotto locale, dal latte ai capi di bestiame, tutti di allevamento siciliano.

Un altro dei prodotti di punta dell’azienda è la ricotta, ma noi ci soffermeremo sulla mozzarella che presenta caratteristiche davvero eccellenti in cui la gamma organolettica si dispiega lentamente rivelando una storia ed una tradizione ma soprattutto l’assoluto rispetto delle procedure di lavorazione. Intanto occorre precisare che la giusta conservazione di tutti i prodotti freschi è in frigorifero: per la mozzarella di bufala e per degustarla al meglio, il consiglio è di tirarla fuori dal frigo almeno due ore prima di consumarla. Le sue caratteristiche infatti saranno meglio percebili e maggiormente epprezzabili a temperatura ambiente. Idealmente la mozzarella andrà privata del suo involucro  e del suo liquido di governo e posta in ciotole di porcellana per almeno due ore. Dopo quel tempo al taglio si verificherà immediata la fuoruscita del latte, a garanzia di freschezza, e la mozzarella risulterà ammorbidita e pertanto più gradevole sia al palato che alla masticazione.  guasteddaRispetto alla gamma del caseificio Albereto una menzione spetta anche alla burrata che, come del resto anche le mozzarelle, viene prodotta a fermentazione naturale, quindi senza addizione di acido citrico. Questo procedimento del tutto naturale preserva le caratteristiche organolettiche che partendo da una nota di dolcezza, sprigionano la gustosa sapidità assolutamente caratteristica della mozzarella di bufala.Io l’ho gustata in purezza, proprio per catturarne ogni caratteristica, ma anche come ripieno della “guastedda” ennese, condita giusto con un filo di olio extra vergine di oliva ed una spolverata di origano dopo un sostanziale ripasso in forno caldo. Veramente eccellente, sia al naturale, sia scaldata e quasi filante come ripieno della guastedda.  L’azienda, che merita di essere conosciuta ancora più di quanto non sia già,  ha un suo sito web in cui è illustrata la gamma dei prodotti e che è possibile visitare qui http://www.caseificioalbereto.it/

 

Alessandra Verzera