Il pane quotidiano, per i credenti citato anche nelle preghiere che si imparano e si recitano sin da bambini. L’alimento principe che tutto il mondo prepara e consuma, con modalità diverse. Non esiste posto del mondo in cui non esista il pane. Acqua e farina, a sostentare il mondo. Il pane è quotidiano. Costa poco e profuma tanto. Pochi profumi nell’aria possono essere confortanti e rasserenanti quanto quello del pane appena sfornato. Il pane evoca infanzia, unione, desco. E’ compiacimento per l’olfatto ma anche per la memoria; chi non ricorda la nonna spalmare qualcosa su una fetta di pane – fosse anche solo zucchero bagnato – o il papà tornare a casa la sera con la busta del pane? E se i bordi della busta di carta erano aperti allora questo significava unicamente una cosa: quel pane era caldo, appena sfornato. Quel pane che lo compri e, se è il caso. cominci già a sbocconcellarlo per strada, incurante degli altri. Perchè il pane non è gola, è essenza. Il pane è sacro. Ma quel pane quotidiano non è più alla portata di tutti. Sembra incredibile, specie a chi ne avanza, lo butta o ne fa pan grattato, ma non tutte le famiglie italiane possono ancora permettersi il pane. Non ci si riflette, ci si bada poco, ma è proprio così. Ed ecco che, una mattina qualsiasi mentre organizzo il lavoro mio e degli altri e mentre do un’occhiata ai social con il mio caffè e, purtroppo, anche la mia sigaretta, mi imbatto in qualcosa che da un senso – già di per sè stesso – alla giornata. Qualcosa che esula dai soliti saluti a slavina, dalla solita montagna di foto di tazze di caffè e croissant, dai soliti aforismi di vario amore a raffica. Qualcosa di tanto importante che mi cambia la giornata, e con essa il lavoro che avevo già in buona parte organizzato e distribuito. Quello che cattura il mio interesse e mi siede alla mia scrivania insieme alla mia coscienza e ad una riflessione è un semplice cartello, apposto sulla vetrina di un panificio. Il panificio di Giulia. Chissà chi è Giulia, non mi è dato di sapere. Chissà dove si trova la sua forneria: poco importa. Giulia non ha bisogno di pubblicità perchè Giulia non è una catena della grande distribuzione, non è un supermercato. Giulia ha un piccolo panificio, possibilmente di quartiere: di quale città lo ignoro totalmente. Ma Giulia, dai suoi forse pochi e forse piccoli scaffali, lancia un messaggio immenso: che vale molto più di tanto “amore scritto” su tanti bigliettini telematici precostituiti. Il suo cartello è li per essere visto. Non serve a Giulia per mettersi a posto la coscienza; le serve per fare del bene , e per farlo veramente. Ciò che è scritto su quel cartello lo vedete da voi.
Giulia è una di decine di migliaia di fornaie d’Italia. La mia città è Palermo: da questa città sono seduta a scrivervi, ma il mio giornale gira l’Italia intera ed anche una buona parte di mondo. Io so, perchè lo so da cinquant’anni, che in nessun posto del mondo i panifici sono stracarichi di ogni ben di Dio quanto lo sono a Palermo. Nei “forni” palermitani si produce di tutto: il pane, certamente, ma anche le pizze, gli sfincioni, i calzoni, la pasta al forno, le lasagne, le sfogliate, le torte salate, la parmigiana i bomboloni, i biscotti di ogni tipo…una varietà immensa di prodotto dolce e salato. Un’immensità di cibo. Questo vorrei. Vorrei che i fornai palermitani aderissero alla stessa iniziativa che Giulia ha avviato nella sua forse piccola città, nel suo forse piccolo quartiere, regalando ciò che avanza a chi non avanza mai niente. Vorrei che qualsiasi bambino potesse avere in mano un trancio di pizza, e che qualsiasi padre potesse portare a casa il pane quotidiano, ma anche un pezzo di sfincione, o qualche biscotto Excelsior, o qualche genovese con la ricotta, o un occhio di bue con la marmellata, o i biscotti algerini. Vorrei che ogni fornaio avesse una mano libera da mettersi sul cuore e che ogni mio concittadino potesse soddisfare una piccola voglia, che per lui è un lusso. Vorrei che ogni madre avesse sempre un piccolo capriccetto da portare in tavola, e vorrei che ciò potesse allietare o perlomeno sopire per un po’, la mestizia che accompagna i pasti di tante famiglie, delle quali non abbiamo neanche la minima idea. E non solo i fornai dovrebbero farlo: ma anche i fruttivendoli, i pescivendoli, i macellai. Tutti quegli esercizi che vendono prodotto fresco e deperibile dovrebbero non consentire a sè stessi di gettarlo via. Immaginate che grado di civiltà raggiungerebbe Palermo se una famiglia di poveretti uscisse con zero euro in tasca e potesse tornare a casa con tre panini, due fette di pesce spada, tre mele e magari anche un hamburger per il piccolo di casa che non mangia il pesce. Pensate per un attimo alla gioia di sapere di aver sfamato una famiglia, laddove prima mettevate tutto in un cassonetto. Pensate a quanto bene ciò vi farebbe sentire, nel momento in cui voi stessi doveste sbucciare una mela. Questo vorrei, idealmente: che ogni negozio avesse un piccolo banco a parte, in cui esporre la merce di immenso valore e perciò senza prezzo. Ma naturalmente vorrei che non ne approfittassero quelli che poi di fatto girano in Mercedes: ma questa, eventualmente, è un’altra storia. Ma soprattutto vorrei che chiudessero un occhio i signori della Guardia di Finanza così come quelli della Polizia Municipale: che senso ha multare un esercente perchè regala un panino e, dunque, non emette lo scontrino fiscale? Che senso ha dissuadere la gente dalla solidarietà e condannarla all’egoismo che spreca e che getta via per paura di una sanzione ingiusta? Che senso ha, nell’economia dei veri grandi evasori a diversi zeri, pensare di “pizzicare” un fornaio che ha regalato un panino ad un extracomunitario o ad un’anziana signora? Non c’è niente di illecito: è merce già certificata che era già idonea alla vendita e che non è stata venduta. E’ un dono, un regalo: è beneficenza. Siate buoni con voi stessi per amore degli altri, per piacere…
Alessandra Verzera