Home Blog Pagina 12

Giacomo Armetta: ” Rivisitare la cucina tradizionale è tascio”

2

Negli anni 90, a Palermo, una nobildonna di nome Renata Zanca dava consigli e pareri di galateo e bon ton nell’ambito di un fortunato format televisivo dell’epoca. Poco tempo dopo, un esordiente Sergio Friscia, le dedicò esilaranti parodie creando un leit motiv che in città diventò la frase sulla bocca di tutti: “ siete tasci”. Questa infatti era la chiosa di Friscia ai suggerimenti parodiati della signora Zanca. Oggi si torna a parlare di tasci, e lo fa Giacomo Armetta, cuoco, cuciniere, con un profilo persino difficile da definire: tutto sommato basta non chiamarlo chef.

L'immagine può contenere: 2 persone, persone sedute e spazio all'aperto

“Siamo sommersi dai tasci, specie nelle cucine” – dice Armetta“perché, ad esempio, rivisitare il cibo della tradizione è decisamente tascio. 

In che senso?

“Perché, che senso ha scomporre il cannolo? Destrutturare la cassata? Verticalizzare la caponata? Non parliamo di ingegneria e tecnica delle costruzioni: parliamo di cucina, tradizionale, sana, vera e ruspante. Ma certo è facile tagliare quattro pomodorini e rivisitare invece che fare un sugo di pomodoro come tradizione comanda…Sono facili scorciatoie ”.

L'immagine può contenere: 1 persona

Ma esistono scuole di pensiero diverse dalla sua al riguardo.

“Certo: scuole frequentate da tasci. E’ tascio un cuoco che guardi i clienti dall’alto in basso, come se operasse la gente a cuore aperto; è tascio il cappello alto un metro, la giacca plurilogata, sono tasci gli attestati comprati e le menzioni sulle guide pagate fior di euro ma spacciate per puro merito. E’ tascio quel demone che si è impossessato della cucina italiana”.

L'immagine può contenere: 1 persona

Lei come si colloca in questo scenario?

“Non lo so. Io cucino, punto. Io amo cucinare e sono un ortodosso della tradizione. Non ho mai usato un grembiule: quando vado a lavoro e mi cambio passo da una t shirt ad un’altra pulita e se mi sporco i vestiti li lavo. Io amo i miei clienti, dai più blasonati ai più umili, da me mangiano tutti le stesse identiche cose e per tutti loro ho lo stesso sorriso e lo stesso entusiasmo”.

L'immagine può contenere: cibo

In che rapporti è con i suoi colleghi?

“Neanche questo so. Chi li vede? Io non vado a manifestazioni, eventi, fiere e cose del genere. Io, appunto,cucino: degli altri non mi interesso minimamente perché anche essere in competizione con qualcuno è estremamente tascio. Però so che sono scomparsi i cuochi: abbiamo solo chef. Questo, di per sé, è assai tascio”

tenerumi

Cosa sono le altre cose tasce, al di fuori della cucina?

“Fumare è tascissimo. Il fumo è in top list per quanto riguarda le cose tasce. Ma ce ne sono tante altre: parlare a voce alta al cellulare, vestirsi di lurex a pranzo, disegnare le labbra con la matita, inondarsi di dopobarba, roteare il calice del vino non capendo niente di vini, roteare il calice del vino anche capendo molto di vini, chiedere fuori menù a chi chiaramente non ne propone, sedersi in trattoria e chiedere l’asticino o l’ostrichetta, la cassata light, la parmigiana con le melanzane grigliate , farsi fare le recensioni positive dagli amici, accusare i colleghi di invidia se ne arriva qualcuna negativa. E poi la musica in auto a tutto volume, portarsi la birretta da casa, portarsi la birretta smezzata a casa fingendo che sia per il gatto alcolizzato… Insomma, la lista del tasciume è davvero lunga. Ma ce n’è una nuova: il cibo politicizzato!”

Cous cous "rosso"

Che significa?

“Significa che la gente ha perso la testa e fa politica anche rispetto al cibo. Pensi che ho organizzato delle cene a tema borbonico e che sono state fortemente osteggiate da chi si proclamava garibaldino: negando di fatto un’epoca storica – quella dei Borbone – che, specie in cucina, ha lasciato segni consistentissimi, anzi una vera e propria eredità. Tutto sommato la verità è che essere ignoranti è molto tascio”

Pomodoro fresco, melanzane fritte, abbondante ricotta salata.

Come mai siamo pervasi dal tascio, nella capitale della cultura?

“Perché il tascio è principalmente il vip. Perché non bisogna confondere i comportamenti poco canonici della gente umile con le tasciate degli acculturati “bene”: sono cose diversissime! Il tascio non è mai umile, anzi! Espone in bella vista la borsa firmata, piega e poggia il cappotto dal rovescio, cosicchè si possa vedere l’etichetta, gioca con gli anelli da svariate migliaia di euro. Bisogna solo allenare l’occhio per accorgersi di essere circondati da tasci.”

Il polpo bollito, tradizione palermitana

Tornando in cucina, se lei si sporca la T Shirt non si preoccupa che i clienti se ne accorgano?

“ Ripeto: io non sono un cardiochirurgo in camice bianco, o verde, o azzurro. Io cucino, e sono costantemente unto, schizzato di sugo, puntellato di pastella, con la mappina appizzata alla cintura. Io non esco dalla cucina a mani giunte in posa ieratica e con il naso all’aria quando visito i tavoli dei clienti. Io, se è il caso, tiro la sedia e mi siedo con loro. E ai miei clienti questo piace molto. Questo perché io non ho clienti tasci”.

Pasta con il broccolo "arriminatu"

Ma in sintesi?

“In sintesi le forzature sono estremamente tasce. Il cannolo è il cannolo, la cassata è tonda, colorata e ipercalorica, la parmigiana si fa con le milinciane fritte, la quarume non è obbligatoria ma non si può “alleggerire”, la fonduta va mangiata in Val d’Aosta, la quiche in Francia, e via di sèguito. Non essere orgogliosi delle proprie tradizioni è tascio. Essere chef e cuochi che rinnegano la cucina madre è tascio. Nove cuochi su dieci sono tasci, e lo confermo.”

Non teme di inimicarsi i suoi colleghi con questa sua linea dura?

“A questa domanda se mi permette le risponderò domani: mi serve del tempo per capire quanto poco mi possa interessare una tale possibilità. Mi richiami domani e glielo saprò dire”

Alessandro Lo Iacono

Lo chef messinese Paolo Romeo entra a far parte di Euro-Toques

0

Lo chef messinese Paolo Romeo, 40 anni, entra a far parte della prestigiosa Associazione Euro-Toques, Comunità Europea di cuochi fondata da Gualtiero Marchesi. Euro-Toques Italia è l’unica associazione riconosciuta dalla Commissione Europea per la difesa della qualità degli alimenti e annovera tra i suoi iscritti alcuni dei più rinomati chef, tra cui i tristellati Massimiliano Alajmo, Heinz Beck, Massimo Bottura, Enrico Crippa, Annie Feolde, Niko Romito, Enrico e Roberto Cerea, Nadia e Giovanni Santini.

eurotoques italia

Tra gli obiettivi dell’associazione c’è quello di elevare il livello e il prestigio professionale dei propri soci, in modo che essi possano adeguatamente partecipare all’esercizio dell’arte culinaria, nell’interesse del suo turismo e dei paesi europei. Con l’ingresso di Paolo Romeo, si rafforza il gruppo siciliano dell’associazione che sta operando per attuare le direttive dei fondatori, di cui fa parte anche un altro chef messinese, Pasquale Caliri. Euro-Toques Sicilia, seconda delegazione per numero di associati dopo la Lombardia, è sempre più impegnata e attiva per eventi volti alla promozione della cucina regionale e con scopo solidale.

Paolo Romeo (1)

Rappresentata dal suo delegato regionale Giovanni Porretto, coadiuvato da Giuseppe Triolo, la delegazione sta lavorando ad un evento che vedrà coinvolti i soci isolani, oltre ad un nutrito gruppo di cuochi membri proveniente da altre regioni. Per festeggiare l’ingresso dello chef messinese, si svolgerà una cena evento a 10 mani a Messina, presso il Ristorante Grecale Kajiki in cui Paolo Romeo è executive chef, alla quale prenderà parte anche il Delegato regionale Giovanni Porretto.

Piatto di Paolo Romeo

Il giovane chef messinese rientrato nella sua città dopo diverse esperienze in giro per l’Italia, non nasconde la soddisfazione: “Ringrazio il presidente Enrico Derflingher ed il Direttivo per avermi voluto all’interno di questa prestigiosa Associazione che annovera tra i suoi iscritti grandissimi professionisti che per noi giovani cuochi restano degli esempi e dei grandissimi maestri che hanno fatto grande la cucina italiana, facendola apprezzare anche a livello internazionale” – ha commentato Romeo. “Sono certo che in Sicilia faremo grandi cose. Giovanni Porretto sta lavorando assiduamente per far crescere e compattare il gruppo già numeroso di questa splendida Regione”.

Paolo Romeo

“Euro-Toques rappresenta un unicum nel panorama dell’enogastronomia italiana – ha concluso Romeoe continuerò ad impegnarmi, come faccio ogni giorno, per valorizzare le materie prime del territorio, i piccoli produttori, le loro eccellenze e il loro legame con la terra, nel rispetto dei principi che fanno grande questa associazione”.

Kyoto. Nishiki Market e Street Food giapponese nel cuore della città gourmet

0

Kyoto è stata capitale del Giappone per oltre 1200 anni e ciò ha permesso non solo di tramandare la cucina tradizionale per secoli, ma soprattutto di far emergere le sue diverse declinazioni: Kaiseki ryori, Shojin ryori e Obanzai.

tako

 

Ad oggi Kyoto detiene ancora il primato di città gourmet del Giappone ed è famosissima anche per i suoi dolci che verranno trattati in uno dei prossimi articoli.

nishiki11

Il Nishiki è il principale mercato di Kyoto, nato ben 400 anni fa; quasi tutti i cuochi e i ristoratori della città si riforniscono qui per gli ingredienti, che sono di altissima qualità.

nishiki3

Quello del Nishiki Market è un percorso fatto di colori, odori e sapori che si snoda in linea retta per circa mezzo chilometro. Si tratta infatti di una strada pedonale coperta, la classica arcade giapponese.

nishiki4

Ai due lati della stradina ci sono ben 150 botteghe e negozietti con i loro prodotti esposti, sia ingredienti base della cucina, sia stuzzichini e street food particolari. Sembra un percorso interminabile perché ci si ferma svariati minuti ad ammirare ogni bancarella, ma la lunghezza del mercato è di appena 390metri.

 

Qui inizia un viaggio alla scoperta di aromi, profumi e consistenze che andranno a fissarsi, in maniera indelebile, tra i ricordi di questa meravigliosa terra.

nishiki9I prodotti più rinomati sono indubbiamente i sottaceti, chiamati tsukemono, che non hanno niente a che vedere con quelli nostrani sia per tipologia, che per colore e sapore.
Vengono impiegati diversi tipi di verdure ed anche alcuni frutti. Tra i più utilizzati vi sono il ravanello giapponese (daikon), il cetriolo, la melanzana, la carota, il cavolo, lo zenzero e la cipolla. Il tradizionale tsukemono alla prugna è chiamato umeboshi.

tsukemono

Servono per accompagnare il riso o come stuzzichino pulisci palato e si conservano senza alterarsi per lunghi periodi. Questa è la proprietà per cui sono presenti nella cucina giapponese da prima che fosse introdotta la refrigerazione, quando la salamoia era uno dei pochi metodi per conservare i cibi. Possono essere preparati conservandoli sotto sale, sottaceto, con l’ausilio di apposite muffe attraverso la fermentazione.

Una pregiata variante di sottaceto giapponese è il nukazuke, prodotto dalla fermentazione di verdure in crusca di riso (nuka). Quasi tutta la verdura commestibile può essere decapata con questa tecnica e anche il pesce può essere impiegato per questo tipo di conservazione. Il gusto dei sottaceti nuka può variare da piacevolmente piccante a molto aspro, salato e pungente. Questi sottaceti mantengono anche la loro freschezza che aumenta la loro popolarità.

nishiki8

 

I prodotti vengono tradizionalmente fatti fermentare in secchi di legno ed esposti direttamente così per la vendita.
Possiamo trovare moltissime bancarelle che propongono molluschi e mitili cotti o crudi, serviti su stecco o in vaschette monoporzione da consumare sul posto.
Volendo soddisfare quel languorino che facilmente ti coglie passeggiando, ci si imbatte in uno dei piatti simbolo del Giappone ma presente solo in alcune città: i takoyaki.

63994359 - takoyaki, octopus balls, japanese food, on a black background

Sono una sorta di polpetta composta da una pastella e da pezzettini di polpo inseriti all’interno. Vengono cotte su apposite griglie con forme semisferiche di ghisa preventivamente unte d’olio, dove viene versato il composto a base di farina, uova, polpo e cipollotto. Il contenuto va fatto ruotare con degli appositi punteruoli affinche si possa formare una sfera perfetta. Vanno serviti caldi accompagnati da tonnetto essiccato Katsuobushi, maionese e Aonori, una polvere di alga verde. Il costo è decisamente abbordabile, con il corrispettivo di 5euro ne vengono serviti sei.

okonomiyaki2

 

A Kyoto, come nel resto del Giappone, una pietanza molto popolare è l’okonomiyaki. Ogni città ha la sua versione ed è quindi possibile mangiare un prodotto che, nonostante abbia lo stesso nome, ci si presenterà con ingredienti e forme diverse.
Sostanzialmente l’impasto è composto da acqua, farina e uova ai quali vanno aggiunti foglie di verza tagliate a chiffonade. All’impasto base, secondo la scelta del cliente, vengono inseriti carne di maiale, seppie, gamberetti, cipollotto, porro o il konjac a cubetti. Il piatto viene completato con una spolverata di bonito, una versione più economica dei fiocchi essiccati di tonno.

okonomiyaki

Solitamente viene cucinato negli appositi ristoranti su una piastra calda chiamata teppan che può fa parte del tavolo dei commensali e viene utilizzata per cucinare direttamente l’okonomiyaki o per mantenere caldo quello già cotto. Questo piatto si prepara utilizzando semplici spatole metalliche che serviranno per rivoltarlo quando è pronto. La versione “Kyoto style” è caratterizzata dalla chiusura a portafogli come un’omelette.
Roberta Evangelista

Cannavacciuolo Bistrot Novara: l’esperienza da vivere.

0

canavacciuolo bistrot outAi novaresi non piace molto, secondo me.
Niente avvocati, né Novara “bene”, nè gran ricconi locali stasera al Bistrot,  di Antonino Cannavacciuolo : solo persone disposte a “sperimentare”, gente curiosa, normale, come me e la mia amica Pier.
Gira voce che si mangi poco, ed è ovvio, se vuoi Il salam d’la Duja e la Paniscia vai pure da un’altra parte. Questo è il Bistrot di un Re Mida della cucina italiana, di uno dei pochi stellati che sono anche davvero simpatici ed entrano nel cuore della gente.
Il luogo è particolare per la storia della città e  la vista, dal terrazzo, è splendida anche ad ottobre.
cannavacciuolo zuppetta 2Abbiamo scelto il Menù “Sipario”, una degustazione di 5 portate a cui abbiamo aggiunto un aperitivo fornito di “bollicine” e un passito col dolce. Vincenzo, lo chef, ci ha accolte con alcuni stuzzichini tra cui ho apprezzato molto quello alla burrata e il tonno, con un pomodoro verde saporito ed eccezionale, cotto varie ore sotto vuoto. Per la verità anche il pomodoro rosso aveva un gusto vero, genuino, ottimo e la focaccia minuscola era davvero buona

Il crudo di ricciola, papaia, cipollotto e sesamo era sicuramente una degustazione particolare:  il piatto è un’opera d’arte, come ogni piatto qui, e il sapore non si dimentica perché è semplice e particolare nello stesso tempo. Malgrado la raffinatezza della presentazione persino la quantità è giusta, sembra anche molto di più di quanto ci si aspetti a prima vista.
cannavacciuolo zuppetta1Il risotto è un omaggio alla mia amata città del riso, Novara, e al Mezzogiorno italiano; si sposano nel piatto ricci di mare, capperi, limone e acciuga in modo delizioso. Non è un risotto salato come ti aspetteresti quando ti dicono che c’è l’acciuga, non è insipido e neanche acidulo per via del limone: è un piatto che ti consegna direttamente  il sapore del mare. E del resto gli equilibri ed i bilanciamenti di sapori, agglomerati poi in un blend rotondo, sono gli “equilibrismi” di chi ha “staccato” molti colleghi conquistando posizioni di rilievo nel panorama culinario internazionale. Senza esagerare; questo è un ottimo piatto, da provare, un risotto cotto al punto giusto, proprio buono.
cannavacciuolo zuppettaA seguire viene presentato un piatto di minuscoli gnocchetti di patate  e ci dicono che addirittura si facciano i turni per realizzarli. Sono con cacio, pepe nero e coniglio di Carmagnola. Al centro si trova una emulsione di cacio e pepe nero  che, mescolata al piatto, gli conferisce un sapore squisito.
Del rombo mi ha entusiasmato soprattutto il contorno:  ottimi i fagiolini lunghi e l’emulsione composta da sedano rapa e mela verde. Rilevo che il pesce, apparentemente senza alcun condimento, era già da solo molto speciale e di qualità. L’altra prova provata del fatto che, in presenza di materia prima eccellente, il piatto è già a metà del suo percorso verso l’essere un piatto ottimo.

cannavacciuolo pesce

Il pre-dessert è tutto da annusare, profuma di basilico, sembra una “pappetta”, ma non lo è affatto.
Il dolce non ha rivali anche perché, si sa, i dolci del Sud sono sempre meglio del solito noioso bunet novarese.

canavacciuolo dolci

Il pane è buonissimo e viene presentato con un burro gustoso,  francese e , se fai anche un po’ di “scarpetta”, come ho fatto io, e finisce presto te lo riportano subito!
Il servizio è migliore che nei reparti di rianimazione o anche a scuola, sei ragazzi esperti sanno accogliere e consigliare, praticamente il rapporto è 1 a 6: essenzialmente perfetto.
A noi è capitata Giulia, una bella ragazza, colta e competente che ci ha accompagnate in questa esperienza, non so quanto guadagni, ma immagino bene perchè  è la cameriera ideale, sorridente, esperta, capace di ironia e complicità.

cannavacciuolo vino

Mi sono trovata proprio bene in questo ristorante, che reputo il migliore di Novara.
Il costo c’è :  è evidente che qualità, servizio e professionalità debbano essere pagati. Il nostro conto è stato di € 231, e comprendeva due Menù Sipario, una degustazione di vini in abbinamento alle portate: cinque calici in totale, dall’aperitivo al passito. Non per tutti i giorni ma decisamente anche un pelo sotto la media per locali di simile progenie.

cannavacciuolo bistrot

In definitiva, il Bistrot di Antonino Cannavacciuolo, con le sue atmosfere un po’ vintage ed il mobilio anni 60 su cui stanno poggiate pregevoli porcellane inglesi,  non è un locale adatto a tutti nè per i gusti o le possibilità di tutti. Tuttavia è un luogo contemporaneo piacevole, adatto a cene romantiche, colazioni di lavoro e situazioni in cui sia possibile passare facilmente dal formalismo alla convivialità. Ideale per ricorrenze, anniversari e piccoli eventi, ed anche a cene in famiglia – proprio per la sensazione di “casa” che gli allestimenti infondono –  non può non colpire l’interesse del gourmand.
Consiglio a tutti una visita a Novara che non è solo la Fatal Novara della Storia, ma anche un luogo in cui il bello, il buono e il gusto si affacciano sulla bella piazza della città.

bistrot logo

 

Laura Razzano 

 

Scheda: 

Patron : Antonino Cannavacciuolo

Chef : Vincenzo Manicone

Coperti: > 60 (in) –  > 50  (out )

Range:  Alto

Categoria: Ristorante Gourmet

 

Ranking (*)

Location: 5

Cibo: 5

Carta Vini: 4.5

Presentazione: 5

Servizio: 5

Mise en place: 5

Atmosfera: 4

Allestimenti: 4

(*) Legenda :

1 = pessimo
          2 = scadente
          3 = sufficiente
         4 = ottimo
            5 = eccellente.

Fabio Ugoletti, lo Chef di N.10, il ristorante di Alessandro Del Piero.

0

1C0A0046Fabio Ugoletti parmigiano, classe 1976 si forma all’istituto alberghiero di Salsomaggiore Terme (PR) e dopo aver conseguito il diploma con il massimo dei voti, comincia a lavorare in giro per l’Italia nelle cucine di alcuni tra i più rinomati Hotel di Lusso quali lo Sheraton Diana Majestic di Milano.

Presto comprende che il lavoro di Executive Chef all’interno di grosse catene alberghiere lo stava allontanando sempre più dalla gioia di spadellare in cucina e dalla sua indole creativa. “Sicuramente, dichiara Ugoletti, devo molto a questa esperienza perché mi ha insegnato la complessità di gestione di una brigata di cucina in linea con le esigenze amministrative e i budget aziendali, ma appunto si trascorre più tempo chiusi in un ufficio che dietro ai fornelli”.

2018_03_19_No10_001Grazie all’incontro con la moglie Francesca, Ugoletti decide di ritornare al piacere di stare in cucina e mettere in pratica la sua vena creativa e accetta di guidare le cucine del Ristorante Gallopapa, situato nelle stupende colline del Chianti. Qui il giovane Fabio trascorre sei anni che descrive tra i più appassionanti e formativi della sua carriera. Difatti non passa molto tempo che i suoi piatti fanno ottenere una prestigiosa Stella Michelin al suo ristorante.

Trascorso questo periodo Fabio decide di volere dedicarsi all’insegnamento e all’addestramento di nuovi talenti e così comincia a collaborare con la Scuola Internazionale di Cucina Italiana diretta da Gualtiero Marchesi, Alma di cui diventa docente e ambasciatore in diverse missioni all’estero. Ugoletti presto amplia le sue collaborazioni prima con l’International School of Hospitality Apicius Firenze, per continuare con l’ICE – Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle Imprese Italiane e con l’IVSI – Istituto Valorizzazione Salumi Italiani, per le quali sviluppa programmi di addestramento sull’utilizzo dei prodotti alimentari Italiani.

30167880_10155173647191227_4223656981673473902_o

Il ritorno alle cucine arriva quando ad Ugoletti propongono di curare l’apertura di un ristorante in California, Bettolino a Redondo Beach, dove resta per 2 anni. Nel settembre del 2017 riceve la telefonata del “Capitano”, il mitico Alessandro Del Piero, la maglia 10 più famosa al mondo che stava per aprire un ristorante a Los Angeles. Guess what? Ugoletti diventa Chef di cucina di N.10, uno dei ristoranti più frequentati dalle star di Hollywood e ovviamente dagli Italiani e dai fan del Capitano.

Ugoletti, tre parole per descriversi.

Perfezionista. Sono ossessionato dai dettagli. Determinato. Mi piace raggiungere gli obiettivi che mi pongo attraverso le scelte quotidiane e amo le sfide personali. Artigiano. Vorrei definirmi Alchimista, ma la modestia maturata con l’età me lo impedisce.
Trovo grande soddisfazione nel trasformare la materia prima. Credo che cercare di ottenere qualcosa di meglio rispetto alla materia, prima utilizzando la propria intelligenza e poi la fantasia sia uno degli aspetti più interessanti della vita.

L’avere avuto un Maestro come Gualtiero Marchesi, padre della Cucina Moderna Italiana ed avere avuto il privilegio di andare in giro per il mondo a rappresentare la sua scuola, come questo ha segnato la sua carriera e soprattutto qual è l’eredità che il “Divin Marchesi” le ha trasmesso.

Anatra - Ristorante 10

Collaborare con Alma è stata una grande esperienze per la mia crescita professionale. Insegnare è il miglior modo per continuare a studiare e rimanere aggiornati. Se ci aggiungi la possibilità di collaborare con grandi professionisti e di assorbire la filosofia di Marchesi, allora diventa un’esperienza formativa determinante.

Marchesi ha rappresentato un punto di svolta nell’evoluzione della cucina italiana perché ha saputo mettere al centro la figura del cuoco come interprete della tradizione. Interpretare la tradizione è il modo più evoluto di innovare perché presuppone la conoscenza del passato, la tecnica per attualizzarla nel presente e una visione che si proietti nel futuro. Questa visione è illuminante per chi vuole esprimersi attraverso la gastronomia. Il Maestro si è sempre definito cuoco non chef, dicendo che “l’esempio è la più alta forma d’insegnamento”. L’integrità, il pensiero e la condivisione sono per me i valori fondanti del lavoro in cucina, oltre che gli aspetti cardine dei successi professionali.

Apple - Ristorante 10

Lei definisce la sua cucina “un equilibrio tra tecniche innovative e tradizione”. Quanto il legame tra cultura, cibo, arte, cucina ed estetica influisce sulla creatività dei suoi piatti?

La tradizione di oggi è l’innovazione di ieri e quindi quello che creiamo oggi, potrà essere la tradizione di domani.
I punti di partenza per concepire un piatto sono spesso ingredienti o preparazioni della tradizione gastronomica Italiana. A questa idea di base applico tecniche di cottura o presentazioni diverse, allo scopo di renderle più attuali, o meglio conformi ai gusti di una specifica clientela, o consone alle esigenze di una determinata situazione. Questo processo diventa ancora più importante per noi che abbiamo deciso di cucinare italiano all’estero, dove spesso la nostra tradizione non è conosciuta nella sua autenticità. Tutto sta nella sensibilità personale, nel decidere cosa togliere, cosa aggiungere o cosa cambiare per ottenere un piatto che sia Italiano nella sua essenza ma che soddisfi i gusti dei propri ospiti. Nell’elaborare una nuova creazione quindi attingo a tutta la mia esperienza non solo professionale ma di vita, a tutto quello che ho visto, mangiato, pensato fino ad ora. L’evoluzione è continua e quindi l’espressione della mia idea di cucina è dinamica. Si cucina un po’ quello che si respira.

Paccheri - Ristorante 10

Dovendo i suoi piatti piacere al palato dei clienti americani i quali spesso ritengono che gli Spaghetti and Meatballs e l’Alfredo Sauce siano l’emblema della tradizione culinaria italiana, quanto la sua cucina si è dovuta diversificare dalla vera tradizione italiana per accostarsi ai gusti dei suoi clienti?

La mia cultura è fortemente Italiana e quindi è molto difficile per me allontanarmene. Anche nei compromessi gastronomici cui necessariamente ho dovuto far fronte nei primi anni che ho trascorso negli Stati Uniti, non mi sono mai allontanato troppo dalla nostra tradizione: non ho mai avuto spaghetti meatballs, alfredo sauce, chicken parmigiana… nel menu.
La situazione è certamente migliorata da quando lavoro al N°10. Qui è esattamente l’opposto: tutto deve essere rigorosamente Italiano, che sia tradizionale o rivisitato ma tutto riconducibile alla nostra gastronomia. Per questo importiamo gran parte degli ingredienti dall’Italia e applichiamo tutti i metodi che caratterizzano la nostra cucina: pasta secca cotta espressa al dente, pasta fresca fatta a mano, pizza a lievitazione lenta, caffè espresso macinato al momento, … e tutte quella piccole attenzioni ai dettagli, che tutti noi sappiamo fanno la differenza.
Al N°10 la sfida è quella di ricreare non solo il cibo ma anche la convivialità che il ristorante in Italia riesca a trasmettere. Vogliamo un ambiente, dove non solo si mangia bene, ma dove si “mangia insieme” e si condividono momenti e situazioni piacevoli… come in Italia.

Chef Fabio Ugoletti

Fabio, lei avrà servito una svariata varietà di clienti. Se prendiamo un parmigiano, un toscano, un milanese e un americano, qual è il cliente più difficile?

Sono giunto alla conclusione che non esistono “clienti difficili”. Quando un ristorante ha una sua identità, è più facile per l’ospite sapere cosa troverà, sta poi alla nostra professionalità cercare di capire, anticipare e soddisfare le sue aspettative. E’ quindi una questione di dettagli che rendono il tempo trascorso al ristorante “speciale”. Il nostro lavoro è un successo quando siamo in grado di costruire ricordi piacevoli, che si prolunghino oltre la durata del pasto. La soddisfazione del cliente si sviluppa spesso intorno al giusto equilibrio tra la propria zona “comfort” e la voglia di rischiare provando qualcosa di insolito. Ragionando per stereotipi, se un Parmigiano, un Toscano, un Milanese venissero a N°10 troverebbero una zona comfort in cui identificarsi. Abbiamo un’ampia selezione di salumi Italiani serviti con la torta fritta come si inizia il convivo a Parma, abbiamo la bistecca, grigliata sull’osso e da condividere, come amano i Toscani, abbiamo la Cotoletta alla Milanese, “orecchia d’elefante” in stile Meneghino. Come dicevo prima la scelta dei piatti è sempre il frutto della propria esperienza personale e i sapori di queste zone d’Italia li ho in testa. E per l’Americano? A lui chiediamo di fare un piccolo passo al limite della sua “comfort zone” e di condividere con noi piatti autentici cucinati con passione e serietà.

Non le chiedo la sua fede calcistica perché sono clemente e soprattutto perché da Juventina sfegatata e fondatrice, insieme ad un gruppo di amici, dello Juventus Club Texas “Alessandro Del Piero” farei molta fatica a sentirle pronunciare un colore di maglia che non sia “bianconero”. N°10, una maglia, una leggenda, un ristorante. Come si sente a gestire le cucine di Alessandro Del Piero? Come comincia questa collaborazione?

Adoro il calcio, soprattutto visto dal vivo, ma non ho una fede e sono tifoso solo della Nazionale Italiana. Quando mi hanno proposto di collaborare al progetto del ristorante non sapevo che Alessandro Del Piero fosse coinvolto, me l’hanno comunicato solo dopo aver accettato l’incarico. Ovviamente lo conoscevo come sportivo per i suoi straordinari meriti nazionali e internazionali ma devo confessare che non sapevo nulla di lui fuori dal campo, non sapevo nemmeno che vivesse a L.A.!
Per me Alessandro è un anzitutto un imprenditore che ha investito in un progetto di grande respiro e N°10 è soprattutto un ristorante che ha l’ambizione di voler essere un punto di riferimento della gastronomia e del bien vivre Italiano. Sono onorato di essere parte di questa impresa ma allo stesso tempo sono consapevole dell’onere di dover garantire un livello di eccellenza del cibo e un’integrità professionale all’altezza delle aspettative.

Un sogno nel cassetto?

Mi piace pensare in grande ma non voglio mettere nessun sogno in un cassetto. Cerco di vivere il sogno quotidianamente, godendo delle piccole grandi gioie in famiglia, al lavoro e progettando un futuro dove il successo professionale possa convivere con la vita familiare, le passioni personali, i viaggi…

La tradizione di oggi è l’innovazione di ieri e quindi quello che creiamo oggi, potrà essere la tradizione di domani” quanto mi è piaciuta questa frase di Ugoletti. E si, perché come ci racconta nella nostra intervista cucinare all’estero è un “arte” assai complessa. Riuscire a rimanere saldi alla nostra tradizione culinaria e farla conoscere nel mondo nella sua autenticità è un’abilità che non tutti possiedono. Ma Fabio ha fatto davvero tesoro degli insegnamenti del “Maestro” il quale sosteneva che nella cucina come nella vita si insegna per imparare, senza mai smettere di dare e ricevere conoscenza. Avendo avuto l’opportunità di cenare da N.10 non posso che dirvi che la cucina di Ugoletti e il calore con cui siamo stati accolti sono degni di un Grande Campione, di un Capitano: sentirsi a casa lontani da casa, un’accoglienza che solo un Italiano sa dare.

Come rimanere stupiti da tutto ciò se alla base dei valori cardine di Ugoletti vi sono “L’integrità, il pensiero e la condivisione…” E di questi valori dovrebbero tutti farne tesoro al di la della professione che si volge.

E con un “Fino alla Fine” da Los Angeles è tutto

Tiziana Ciacciofera Triolo per SdG International

 

https://www.n10restaurant.com/chefs

Brownies alle noci ed una variante vegana

0

Chocolate brownie cake, dessert with nuts on dark background, directly above, flat layI primi accenni dei brownies, dolce tipico statunitense, si trovano nella raccolta di ricette della Boston Cooking School pubblicata nel 1896. Oggi è un dolce che tutti conoscono, davvero semplice da realizzare e, per questo motivo, anche alla portata dei meno esperti in cucina. Scopriamo insieme come si realizza questa delizia al cioccolato nella variante con le noci, conosciuta come walnut brownies.
INGREDIENTI
150 g di burro
190 g di cioccolato fondente
50 g di farina di frumento
270 g di zucchero
2 g di lievito vanigliato
60 g di cacao amaro in polvere
3 uova
40 g di gherigli di noci
55 g di mirtilli secchi oppure di uvetta
15 ml di rum
Un pizzico di sale

PROCEDIMENTO

Prima di tutto preriscaldate il forno a 200°. Nel frattempo, prendete una teglia da forno e imburratela per bene, non dimenticando i bordi. In alternativa potete foderarla con un foglio di carta forno, scelta migliore specialmente se siete alle prime armi.
Prendete un pentolino d’acciaio e fate sciogliere a fiamma media il burro e il cioccolato fondente, avendo cura di farli amalgamare bene. Dopodiché, versateli in una ciotola capiente, unitevi le uova e mescolate attentamente con una frusta elettrica finché il composto non diventa liscio e omogeneo.
A questo punto, in una ciotola a parte, mescolate la farina, il lievito, lo zucchero, il cacao amaro e una presa di sale e aggiungete questo mix in polvere al composto di uova e cioccolato, unendo anche il rum. Fate amalgamare bene tutti gli ingredienti con le fruste da cucine facendo attenzione che non si formino grumi, quindi aggiungete la frutta secca e continuate a mescolare con una spatolina.
Versate il composto ottenuto nella teglia imburrata o ricoperta di carta forno e fate cuocere in forno per circa 30 minuti. A cottura ultimata, lasciate raffreddare la torta con il coperchio del forno semiaperto e, infine, sistematela su un piatto da portata dopo averla tagliata a cubetti.

Basic Chocolate Cake or Cookie Dough

Vegan brownies

Se volete provare la versione un po’ più leggera dei brownies provate la ricetta che stiamo per proporvi, perfetta anche per chi segue una dieta vegana. Stiamo parlando della torta vegan brownies, che non prevede l’utilizzo di ingredienti di origine animale ed è davvero facilissima da preparare, al pari della versione che vi abbiamo appena proposto.

INGREDIENTI

170 g di cioccolato fondente
30 g di cacao amaro
165 g di farina
10 ml di aroma di vaniglia
4 cucchiai di olio di cocco
220 ml di latte di soia
140 g di zucchero di canna
Un pizzico di sale

PREPARAZIONE

Fate sciogliere il cioccolato fondente a bagnomaria e, una volta raggiunta la temperatura ambiente, mescolatelo in una ciotola con l’olio di cocco e con il latte di soia. Fate raffreddare il composto e, dopodiché, aggiungete poco alla volta lo zucchero, il cacao amaro e la farina setacciata, quindi mescolate con una frusta elettrica finché non otterrete un composto liscio e omogeneo.
A questo punto aggiungete l’aroma di vaniglia e un pizzico di sale e mescolate nuovamente. Prendete una teglia di medie dimensioni foderata con un foglio di carta forno e versate il composto ottenuto. Fate cuocere in forno preriscaldato a 170° circa e, quando la torta sarà pronta, fatela raffreddare. Prima di servire il dolce, tagliatelo in tanti quadrati con un coltello e servite i vostri vegan brownies.
Se vi piacciono, potete aggiungere all’impasto noci, nocciole o mandorle e creare in questo modo una versione vegana dei walnut brownies: il risultato sarà irresistibile.

 

Viaggio in Giappone : Nagoya, Hitsumabushi e Melonpan

0

CASTELLO NAGOYAA 350 km a ovest di Tokyo troviamo Nagoya, una delle città più popolose del Giappone conosciuta per la casa automobilistica Toyota, le splendide ceramiche Noritake e il suo castello risalente al XVI secolo ma ricostruito dopo gli attacchi bellici della Seconda Guerra Mondiale.

Sbirciando tra i vari menù presenti al di fuori dei ristoranti, si nota quanto i giapponesi amino l’anguilla, che svolge un ruolo di primo piano nella cucina regionale di Nagoya.

hitsumabushi1

Il piatto di riso bianco condito con anguilla grigliata, salsa a base di soia e spezie come il pepe giapponese è noto come hitsumabushi.
L’anguilla detta unagi viene dapprima privata della pelle, tagliata a filetti e poi cotta su una griglia su fiamma viva. Durante la cottura viene irrorata con saké e salsa di soia. In alcune regioni del Giappone, l’anguilla viene prima cotta al vapore e poi ripassata sulla graticola. Il sapore è molto simile alla carne di maiale alla brace, complice la componente grassa che caratterizza questo pesce e che lo rende molto nutriente, nonchè ricco di proteine.

melonpan

Passeggiando per le vie di Nagoya, ci si imbatte in alcune pasticcerie specializzate nella vendita dei melonpan. Si tratta prevalentemente di vendita d’asporto, effettuata su strada da una vetrina aperta con la commessa che impacchetta quello che le viene indicato.
In questo caso, più che dai profumi, veniamo ispirati da ciò che cattura l’attenzione dei nostri occhi.
Il melonpan, infatti, prende il suo nome dalla sua somiglianza estetica ai meloni Cantalupo e non perché sia aromatizzato al melone.
Sono costituiti da un impasto aromatizzato e ricoperti da un sottile strato croccante di biscotto. Possono essere farciti con del cioccolato, crema pasticcera o deliziose creme al matcha o con gocce di cioccolato o te verde direttamente nell’impasto, determinandone il classico colore verde. La consistenza è piena e non prevale un risultato soffice o morbido per cui se ne consiglia la farcitura, anche per stemperare il sapore decisamente troppo zuccherino.

melonpan1

Di seguito trovate la mia ricetta per poter provare a riprodurli a casa.

Ingredienti

(per 6 panini)
– 250 gr di farina 00
– 15 gr di lievito di birra disidratato
– 75 gr di burro ammorbidito
– 1 uovo
– 70 ml di acqua
– 30 gr di zucchero
– 1 pizzico di sale

Per i biscotti da incorporare

-200 gr di farina 00
-1 cucchiaino di lievito per dolci
-50 gr di burro morbido
-40 gr di zucchero
-1 pizzico di sale
-1 uovo
-50 ml di latte

Preparazione

Preparate la pasta di pane. Sciogliete il lievito di birra nel latte tiepido, mettete la farina nella ciotola di un mixer con lo zucchero, l’uovo e il sale, quindi aggiungete l’acqua con il lievito.
Mescolate fino a formare una palla, quindi aggiungete il burro ammorbidito e un po’ di farina se l’impasto risulta appiccicoso.
Infarinate leggermente la pasta, dividetela in 12 panetti delle dimensioni di una pallina da golf e metteteli a lievitare in un luogo tiepido, avvolgendoli con un panno pulito, per circa 2 ore.
Preparate l’impasto dei biscotti. Mescolate il burro e lo zucchero, aggiungete l’uovo intero e continuate a mescolare, quindi aggiungete la farina, il lievito, il sale e il latte.
Mescolate fino a formare una palla, infarinatela se necessario, quindi avvolgetela con della carta da forno o della pellicola trasparente, dandole la forma di un salame, e mettetela a riposare in frigo per 30 minuti.
Preriscaldate il forno a 180°c e rivestite una teglia con un foglio di carta da forno.
Dividete la pasta in 6 parti, formate delle palline e stendetele sul piano di lavoro, formando 6 dischi del diametro di circa 12 cm.
Prendete in mano uno dei dischi, mettete una pallina di pasta lievitata al centro, quindi ripiegate il disco di pasta per racchiudere la pallina, inumidendolo con un po’ di acqua per farlo aderire meglio.
Spennellate la superficie con del latte e quadrettatela delicatamente e spolverate i Melonpan con dello zucchero semolato.
Metteteli sulla teglia da forno e infornateli per 20-25 minuti, finché non saranno gonfi e dorati. Una volta freddi potrete decidere se farcirli con della crema pasticcera o al cioccolato.

Roberta Evangelista

La Domenica in famiglia: alla scoperta degli antichi sapori all’ Osteria Armetta

0

osteria6Si respira un’aria un po’ retrò in questi giorni all’ Osteria Armetta: un’atmosfera anni ’70 che riecheggia una cucina antica, tradizionale, intensamente gustosa senza strafare. Giacomo Armetta ci racconta la sua idea di cucina.

Voglio premettere che non ho nulla contro i locali di lusso nè tantomeno contro gli stellati: i loro costi di gestione e di personale sono elevatissimi, le loro attrezzature sempre all’avanguardia ed i corsi di aggiornamento professionale sono all’ordine del giorno. E’ chiaro che tutto ciò debba riflettersi sui prezzi al pubblico. Oltre a ciò chiaramente la materia prima è di primissima scelta: e, specie parlando di pesce o di carni di un certo tipo, i prezzi non possono che essere alti. Sarebbe da diffidare parecchio se fossero bassi, a dire il vero. Premesso ciò, e premesso che esistono molteplici segmenti sia nella ristorazione che nella clientela, con diverse capacità di spesa, io sono mosso principalmente dall’amore per la tradizione. Io sono di Palermo, orgogliosamente di Palermo, e desidero che la cucina verace e tradizionale della mia città finisca sulla bocca di molti se non di tutti: specie su quella dei turisti, esteri e non. Credo che sia un modo sano di far conoscere la nostra vera tradizione“.

involtini armetta

Lei ha ideato la formula “Domenica in famiglia”, che non è che in sè sia originalissima. In cosa si differenzia dalle altre la sua idea di domenica in famiglia?

Mah, innanzitutto nel prezzo. La mia Osteria porta il mio nome, e non è un caso dato che è a strettissima conduzione familiare. Questo naturalmente mi consente di spendere relativamente poco e di mantenere i costi di gestione al minimo. Non tengo vini di lusso nè tantomeno champagne: la mia piccola e modesta cantina è costituita da aziende siciliane, e la scelta non è illimitata.  Ricordiamoci però di una cosa fondamentale: la cucina siciliana tradizionale è, in definitiva, una cucina povera, poverissima. Anche nelle vecchie ricette tradizionali, laddove era previsto il pesce, questo era – ed è rimasto – pesce povero. Sarde, capone, pisci stoccu: gamberoni e vari altri crostacei sono una trovata moderna. Squisito tutto, ma non tradizionale, non multicentenario.”

 

L'immagine può contenere: cibo

Una cucina povera ma gustosa…

Una cucina povera ma ricca, se mi consente l’ossimoro. La fantasia e la creatività non ci sono mai mancate. Basti pensare a cosa sia possibile realizzare con una sola melanzana: almeno cinque o sei preparazioni diverse, e forse mi sto mantenendo basso. Questo perchè la Sicilia, pur avendo vissuto i fasti delle monarchie, è sempre stata essenzialmente povera, e quando c’era ” d’accurdari u pranzu c’a cena” i siciliani hanno prodotto il meglio di quanto la loro cucina e la loro materia prima potesse offrire. Ricette e pietanze che permangono e che vanno tramandate., Guai a disperdere l’origine: significherebbe non avere più radici.  Io lavoro di stagionalità e adesso con i meravigliosi prodotti dell’autunno arriveranno piatti con la ricotta, i carciofi, i broccoli. Vedrete vedrete…”

Pomodoro fresco, melanzane fritte, abbondante ricotta salata.

Insomma, siamo un po’ come i napoletani in questo senso: pane e fantasia.

Mi ha anticipato perchè stavo proprio per dire la stessa cosa: napoletani e palermitani sanno benissimo cosa significhi fare di necessità virtù. Lo hanno sempre saputo. Non è un caso che uno dei profumi più invitanti sia quello del soffritto: un semplice spicchio di aglio in un po’ di olio sprigiona uno degli odori più stuzzicanti al mondo. E moltissima della nostra tradizione centenaria deriva proprio dal periodo borbonico del regno delle Due Sicile. Tante preparazioni, con le modifiche apportate nei decenni, sono presenti ancora oggi sia a Napoli che a Palermo. Ed infatti uno dei prossimi eventi riguarderà proprio la cucina dell’epoca borbonica: sarà una serata straordinaria in cui tanta gente scoprirà cose che non ha saputo mai, ma che ha saputo sempre!”

Ma quindi, i suoi prezzi?

Che dirle.. il pranzo da me costa 12 euro. La formula “Domenica in famiglia” ne costa 16. Un pasto normale alla carta non supera mai i 20 euro incluso il vino. Ma non è che io faccia i miracoli: la materia prima non è costosa, la mia gestione è all’osso. Io credo che chiunque, volendo, potrebbe praticare gli stessi prezzi. Ma chiaramente altri hanno esigenze diverse, più personale. Io questo non lo so e non faccio i conti in tasca agli altri. Io seguo la mia strada: io amo cucinare e vedere la gente mangiare di gusto. Soprattutto amo vederla andare via con il sorriso sul volto per aver pagato un conto davvero piccolo. Questo è lo scopo, portare  a pranzo fuori, la domenica, la gente anche in tempi di crisi. Fare in modo che le famiglie possano godere di una giornata in centro, con del buon cibo, a prezzo veramente contenuto. Il resto sono fatti di altri di cui non mi interessa. Io non faccio la guerra a nessuno, se non all’appiattimento dei sapori e alla globalizzazione dei menù. “

Pasta con il broccolo "arriminatu"

Ma lei lo sa che così non diventerà mai ricco?

Avrei paura di essere ricco, le confesso: io credo che del proprio onesto lavoro non si arricchisca nessuno, tranne casi sporadici di chef che diventano star e che impazzano sui canali tv, ma in generale la vita del ristoratore e del cuoco è molto dura, sacrificata. La pressione fiscale non aiuta di certo, e i rincari dell’IVA e tutto il resto. Ma io appunto non ambisco ad alcuna ricchezza: a me interessa fra girare il messaggio della sana e buona cucina tradizionale alla portata di tutti, e che questo messaggio consenta a me e a mio figlio di vivere serenamente immersi in quella che è la nostra passione. Tutto qua”.

involtinimelanzane

Per conoscere le novità e i menù?

Non ho sito web – altro costo abbattuto – ma ho una pagina Facebook della quale non sono molto pratico ma dove si possono trovare diverse informazioni anche in ordine ai contatti, a come prenotare e a cose così. Ci siamo capiti…”

Si, ci siamo capiti: Armetta non è tecnologico. In compenso però cucina davvero bene e, soprattutto, con grande amore.

 

Alessandro Lo Iacono

 

https://www.facebook.com/armettaofficial/

Viaggio in Giappone. Nikko: Yuba e Gyudon

0
nikko-shinkyo-02A due ore di treno a nord di Tokyo, troviamo Nikko con le montagne e le lussureggianti foreste a fare da sfondo. Le decine di siti storici da visitare sono stati inseriti nell’elenco dei Patrimoni dell’Umanità Unesco. In questa incantevole cornice, ci si imbatte in locali caratteristici che offrono prodotti  difficilmente reperibili al di fuori della città stessa. Uno di questi è lo yuba.

YUBA

Lo yuba viene chiamato anche “pelle di tofu” ed è un cibo derivato dalla soia, legume che negli ultimi anni ha preso piede anche in Italia con la diffusione della cultura vegetariana e vegana.

Durante la bollitura, il latte di soia coagula in superficie formando una sottile membrana ricca di proteine. Questa pellicola viene raccolta e lasciata essiccare in fogli giallognoli che vanno reidratati in acqua prima dell’uso. Diversamente, può essere anche acquistato fresco e viene utilizzato per creare degli involtini oppure delle crespelle da inserire nelle zuppe.

yuba 3Essendo un derivato del tofu, il sapore dello yuba è quasi inesistente ma riesce a prendere forza dagli ingredienti con i quali lo si accompagna creando un’ottima armonia di gusto.

gyudonUn altro piatto consumato in questa meravigliosa cittadina si chiama gyūdon ed è composto da carne di manzo, cipollotto fresco o cipolla bianca, lasciati bollire in una salsa leggermente dolce e aromatizzata con il dashi che è un brodo leggero di pesce, la salsa di soia e il mirin, una sorta di sakè da cucina. Il composto creato viene poi versato in una ciotola contenente riso caldo e mangiato rigorosamente con le bacchette. Questa pietanza può essere anche accompagnata da uovo crudo, carne di maiale e zenzero sottaceto.

Il gyūdon è un piatto molto popolare in Giappone caratterizzato dalla velocità di esecuzione e il basso costo. Prodotto nelle sue infinite varianti, costituisce un piatto unico, completo e nutrizionalmente equilibrato. Il prezzo si aggira intorno ai 700¥, circa 5euro e quindi accessibile a chiunque.

gyudon1

CURIOSITA’: in qualsiasi locale tu voglia entrare, l’acqua sarà sempre compresa nel servizio. Potrai trovarla in caraffe refrigerate e direttamente sul tavolo oppure dopo aver preso posto, il cameriere si avvicinerà per riempirti il bicchiere.

Assolutamente vietato lasciare mance. Questa usanza tipica occidentale è vista come un gesto di disonore. La gentilezza e la cortesia impeccabili che vengono profuse all’interno delle molteplici attività ristorative, non necessitano di riconoscimenti economici essendo insite nello spirito dell’accoglienza giapponese.

 

Roberta Evangelista

 

 

 

 

Cento piante di ulivo per la rinascita dei Nebrodi: Serata di beneficenza a Castel di Tusa

0

Castello di San Giorgio Castel di TusaLunedì 24 Settembre a partire dalle ore 17.30, nel trecentesco castello di San Giorgio, dimora dei baroni  Salamone, ospiti della Torre dell’Arte e del Gusto e della Salamone Sinergy Groop , di cui è presidente il giovane manager Placido Salamone,  si terrà il prestigioso evento benefico denominato l’Altra Sicilia, che alternerà momenti culturali, show cooking a degustazioni gastronomiche, tutto all’insegna del buon gusto e dell’arte.

Placido Salamone ed il padre Benedetto.

Madrina della serata Donna Costanza Afan De Rivera, figlia di Giulia Florio, che insieme al barone Giuseppe Giaconia di Migaido e al professore Vittorio Lo Jacono, relazionerà sulla vita, sorte e miracoli di una delle famiglie protagoniste dell’ ottocento e primi del novecento siciliano: I Florio, con i mitici Donna Franca e don Ignazio Florio. Coordinerà gli incontri la giornalista Letizia Passarello, coadiuvata dal masterphotography Alessandro Savarese.

Durante la serata verranno offerti al sindaco di Tusa, avvocato Luigi Miceli, cento piante di ulivo destinate al rimboschimento della zona dei Nebrodi, martoriata dai numerosi incendi delle due estati scorse. L’uliveto che verrà a formarsi, sarà ricordato come l’Uliveto della Memoria. Ogni piantina porterà il nome di un donatore.

di vita

La Kermesse, patrocinata dal comune di Tusa e dalla Fondazione Elisabeth De Rotschild si aprirà con l’interpretazione poetica dell’artista Valeria Andreanò, allieva di Lollo Franco.  A seguire una performance del barman Francesco Nucara, che proporrà un aperitivo di sua invenzione dedicato alla famiglia Florio. Successivamente si esibirà in uno show cooking lo chef Mario Di Vita.

Ospiti, oltre al regista Marco Maria Correnti, che presenterà il suo ultimo cortometraggio dal titolo “Il processo a Chinnici”, prodotto dai noti artisti Ficarra e Picone, l’imprenditore Nicola Fiasconaro, che proporrà una degustazione dei suoi celeberrimi panettoni. Il mondo dell’arte sarà rappresentato dall’attore cabarettista Sergio Vespertino e dal cantastorie Salvo Piparo, oltre che dal presidente di Federart Sicilia, Francesco Paolo Santoro.

Toccante esibizione sarà quella del gruppo Shalom Nigun Ensamble.

Alla fine della serata sarà offerta una cena a buffet.