La serata è tiepida e fa seguito ad una giornata infuocata : ultima di una serie di giornate roventi che hanno contrassegnato questo strano mese di aprile. C’è una leggera brezza che porta con sé odori gradevoli, oltre che una moltitudine di pollini ad alcuni assai sgraditi (A.Ve.)
Penso che non sembra neanche d’essere a Milano. Sia per il silenzio, che per la temperatura che – soprattutto – per quella sensazione di aria tersa e pulita che accarezza piacevolmente. Sicuramente non la prima cosa che venga in mente quando ci si trovi in una grande città che ciclicamente si dibatte nel dilemma delle polveri sottili. Eppure Milano quella sera mi regala queste belle sensazioni. Sono talmente pacificata e ben disposta che accetto di cenare al Move – un locale in cui è il Sushi a farla da padrone – proprio io che non mangio nulla che non sia ben più che cotto. Ma i colleghi sono grandi conoscitori di cucina giapponese ed estimatori di Sushi in modo particolare. Io, dal canto mio, potrò scegliere dal ricco Menu qualcosa che abbia conosciuto la fiamma e che abbia soggiornato abbastanza su un fornello, e godermela serenamente. Già il fatto che non sia un ristorante “monotematico” mi conforta.
Il Move è un locale accattivante in cui ci si accomoda volentieri. Sobrio e raffinato, è decisamente trend. Quello stile “urban chic” mai pompato ma che esibisce al contrario un understatement dietro cui solo occhi adusi a certi dettagli possono cogliere ed apprezzare la cura del particolare e la ricerca dell’accento glamour. L’ampio uso del colore nero – ben distribuito – conferisce al locale un calore ed una sensualità invisibili solo agli occhi di chi voglia ostinarsi a pensare che unicamente il giallo, il magenta e il terracotta siano colori “caldi ”. E invece no, nessun colore sa essere caldo quanto il nero: a patto che sia strategicamente adoperato. Come in questo caso.
La cena dei due colleghi non è una sorpresa. Ed infatti di li a poco giunge un magnifico piatto di Sushi. Al di la del fatto legittimo che il Sushi non sia il mio piatto preferito, quel caleidoscopico mosaico di bocconi colorati risulta intanto un piacere per gli occhi. E’ di una bellezza invitante, tanto che mi risolvo ad assaggiare anch’io. Ed apprezzo. Questo deve aver preoccupato alquanto i due colleghi, che si sono subito premurati di sottrarmi il vassoio e di spartirselo equamente. In attesa del mio piatto occidentale mi sono divertita ad osservare i due che, seduti uno di fronte all’altra ed armati di bastoncini, sembravano impegnati in una partita a scacchi: ognuno ad aspettare la mossa dell’altro prima di pescare il boccone successivo. Ho trovato la cosa decisamente divertente ed ho ingannato la pur breve attesa che mi separava dalla mia cena: un purè di parmigiano con gamberi risultato già al primo assaggio squisito. I gamberi carnosi e teneri erano cotti al punto ideale ed avevano una consistenza ed un gusto squisiti.
Nota sui gamberi: sono molto ma molto pignola rispetto a questo crostaceo. A detta di alcuni intransigente. Più volte mi è capitato che le migliori intenzioni ed il miglior blasone di alcuni ristoratori si siano infranti su quel punto di amaro che può capitare di gustare mangiando gamberi, e che è costituito – o meglio determinato – dalla non perfetta asportazione del budello – quel filo nero intestinale che corre lungo la parte sottostante del crostaceo. E’ un incidente evitabile e per un cuoco privare il gambero di quel punto di amaro è come evitare che l’olio da frittura raggiunga il punto di fumo: un gioco da ragazzi. Eppure ci incappano in molti, per disattenzione o fretta,con il risultato che per me il gambero diviene immangiabile e rimane nel piatto. Non concepisco l’idea di gustare gamberi e di dover pulire la bocca dal sapore del budello continuando a bere vino. I gamberi del Move erano dolci, carnosi e teneri. Il purè di parmigiano una trovata virtuosa. Mentre gli altri bevono birra e sakè io mi lancio nell’assaggio di un Gewurtztraminer israeliano. Il primo sorso mi disgusta ma comprendo che il giudizio possa essere falsato da un palato fedelmente votato all’ Alsazia, e decido di non demordere. Quel vino era in realtà decisamente gradevole, aromatico al punto giusto, e doveva solo beneficiare di un paio di minuti di acclimatamento in calice per raggiungere la perfetta temperatura di servizio.
La cena si conclude per me con un tortino caldo al cioccolato con cuore fondente e per la collega con una crema catalana giudicata eccellente, così come del resto era stato valutato il Sushi. Poi, dopo la cena, due chiacchiere con un giovane Chef entusiasta del suo lavoro e della sua cucina: un po’ giapponese, un po’ fusion. In entrambi i casi, ottima.
Il ristorante Move è a Milano, in Via Spallanzani ( angolo Via Regina Giovanna) e il tel. è 02.20404951
Alessandra Verzera