Come molti dolci entrati di diritto nella tradizione gastronomica di intere generazioni, anche la sfogliatella napoletana ha visto i suoi natali tra le mura di un convento. “Madre Clotilde, suora cuciniera pregava d’a matina fin’a sera; ma quanno propio lle veneva‘a voglia priparava doie strat’e pasta sfoglia. Uno ‘o metteva ncoppa e l’ato a sotta, e po’ lle mbuttunava c’a ricotta, cu ll’ove, c’a vaniglia e ch’e scurzette…”
La storia in versi della sfogliatella napoletana narra proprio di come Madre Clotilde, suora di clausura del convento Santa Rosa di Amalfi, ebbe l’intuizione di preparare la prima sfogliata di pasta frolla meglio nota come frolla o santarosa per l’appunto.
Nasce in un monastero, la sfogliatella, all’ombra di quella necessità che nel ‘600 partenopeo le suore del convento di Santa Rosa nutrivano nel tentativo di sbarcare il lunario. Si guadagnavano da vivere così, preparando manicaretti, dolci da vendere ai contadini, e non solo, limoncello e nocillo sono due esempi di liquori preparati da quelle suore con la stessa maestria, tra una preghiera e un momento di raccoglimento.
La clausura permetteva loro di stimolare l’ingegno, coltivavano l’orto e si dedicavano alla fattura del pane ed a cucinare non solo per i bisogni interni al convento, ma facendo di questa pratica un vero e proprio commercio. Naturalmente nessuno spreco era ammesso ed è proprio da questa necessità di riciclo degli alimenti che nasce uno dei dolci tipicamente partenopei più noti al mondo, la sfogliatella.
Per oltre un secolo quei due strati di frolla, rigorosamente preparata con l’unico grasso diffuso in quel periodo, lo strutto (non certo il burro o l’olio, il cui ingresso nelle cucine è successivo), farciti con la sperimentazione di Madre Clotilde – avanzata della semola cotta nel latte, ella decise di unire zucchero, limoncello e frutta secca, evidentemente l’uso anche della ricotta nel ripieno è solo successivo – rimasero confinati dentro le mura del convento.
Siamo nell’800 quando Pintauro, allora oste con una bottega avviata in via Toledo a Napoli, si appassiona tanto alla santarosa da decidere di cambiar mestiere: diviene pasticcere modificando la sua locanda nell’attuale laboratorio dolciario. Esista ancora la pasticceria sita in via Toledo, è un vero e proprio tempio della sfogliatella, l’odore si diffonde lungo la via e attira locali e turisti in un continuo sfornare di sfogliatelle calde da mangiare al volo, lì per strada, o da portare in dono. Pochi altri sono i dolci sfornati dai forni di Pintauro, sicuramente il perché è scritto nella storia e la sfogliatella fatta lì, dopo oltre duecento anni, è tra le più buone che la città di Napoli riesce ad offrire.
Ma torniamo un momento alla storia; Pintauro riuscì ad ottenere la ricetta della santarosa – che oggi è nota per un ripieno composto da amarene e crema gialla – e portandola in città decise di apportare le modifiche che oggi conosciamo. Diede una forma nuova alla frolla, con una protuberanza che ricorda un po’ il cappuccio di monaco. Solo successivamente naque la riccia e con il suo sapore croccante, la veste dorata, si affermò ancor più della sorella maggiore.
E per tornare alle strofe che ne raccontano storia:
“So’ doje sore: ‘a riccia e a frolla(…) Chella riccia è chiù sciarmante: veste d’oro, ed è croccante, caura, doce e profumata. L’ata, ‘a frolla, è na pupata. E’ chiù tonna, e chiù modesta, ma si’ a guarde, è già na festa!”
Noi abbiamo provato rigorosamente entrambe, la riccia – capricciosa, bellissima quanto buona prima donna – e la frolla – morbida e rassicurante, donna d’altri tempi, melodica e armoniosa – che ci ha conquistato facendo capitolare il gusto innanzi a tanto ingegno dell’antica arte pasticcera partenopea.
Sfogliatella frolla, la ricetta della tradizione tratta dal sito omonimo
300 g si farina
150 g di sugna (strutto)
120 g di zucchero
200 g di semoloino
200 g di ricotta
175 g di zucchero a velo
100 g di cedro e scorzette d’arancia
1 bustina di vaniglia
Fate la pasta frolla e mettetela a riposare. In una pentola portate a ebollizione 5 dl di acqua con un pizzico di sale, versate a pioggia il semolino e fatelo cuocere per circa 15 minuti, mescolando continuamente con un cucchiaio di legno. Fatelo raffreddare. Passate a setaccio la ricotta, unitevi lo zucchero a velo, la vaniglia, un uovo, il cedro e le scorzette d’arancia tritati ed il semolino raffreddato. Sulla spianatoia distendete la pasta frolla e ricoprite con questa una tazzina, ponete quindi al centro una parte del ripieno, ripiegate la pasta premendo bene sui bordi, ritagliatela con il tagliapasta in modo da ottenere delle sfogliatelle uguali. Collocatele su una placca unta appena appena di sugna e spennellate con l’uovo sbattuto. Infornate a forno già caldo a 180 gradi per circa 15 minuti. Servitele calde spolverate di zucchero a velo.
Così è raccontata la ricetta della frolla su uno dei siti dedicato a questa bontà, a noi non resta che provare a sperimentare nel tentativo di ricreare quel profumo e quel sublime sapore direttamente a casa nostra.
Tiziana Nicoletti