Editoriale: Quel finto “made in Italy” che devasta l’economia italiana. L’Italian Sounding.

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caponataL’Italia enogastronomica ultimamente è stata scossa e percorsa da brividi di sdegno e si sono levati da più parti accorati cori di protesta che, tra parentesi, ben ci piacerebbe fossero riservati anche a questioni più generali legate ad esempio alla mera sopravvivenza della popolazione italiana stessa. Ma ad ogni modo, il cibo accende sempre gli animi scatenando le passioni, le proteste, la difesa del campo e dell’identità.
cracco_1Così abbiamo assistito a slavine di indignazione per il dado disciolto nella Caponata, a raffiche di proteste per un Arancino “ maschio” con ripieno a base di uovo sodo e, ancora più eclatante, ad un sindaco di un piccolo comune laziale – Amatrice – sceso in campo tra i tumulti a difesa della pasta all’ Amatriciana : al rogo virtuale e alla gogna pubblica lo chef Carlo Cracco reo di avere sibilato a mezza voce la possibilità di uno spicchietto d’aglio in camicia nel sugo del prezioso bucatino. Apriti cielo: si va avanti da mesi su queste faccende. Va bene: le identità vanno difese ma alla fine un po’ gli animi devono pur trovare requie. panino_5Non dura: sul capo di tutti si abbatte una notizia ferale che non si era minimamente pronti ad assorbire né tantomeno a fronteggiare. Lo sdegno generale questa volta investe Expo 2015, dopo l’annuncio della partnership con Mc Donalds e Coca Cola. Ripartono le crociate, una ridda di contestazioni: qui qualcuno non ce la sta raccontando giusta, dicono i più “moderati”, e tutto si piega sempre in favore del dio denaro. Una scoperta che non lascia di certo basiti, ma neanche sorpresi: operazioni altamente commerciali con finalità candidamente educative sono elementi che ben poche volte si sposano formando unioni felici. expoIl più delle volte sono promesse vaghe disattese il giorno prima del “ si”: come nel caso di Expo e del suo manifesto che annuncia alla popolazione mondiale i dettami del mangiar bene, del mangiar sano e del nutrire il pianeta secondo i principi di un’alimentazione corretta. E lo annuncia insieme ai “partners”: quegli stessi partner assolutamente banditi da qualsiasi nutrizionista e, soprattutto, da qualsiasi pediatra data la costante crescita di bambini obesi – e spesso diabetici – proprio a causa del Junk Food. Amen : nel paese delle contraddizioni in termini passa anche questo.
barbaroloMa nel frattempo chi si nasconde dietro ad un dado, ad uno spicchio d’aglio e ad un cheeseburger, operando in regime di quasi impunibilità? Un categoria sommersa, che è quella dei falsificatori di vini.
Uno squadrone di guastatori che punta dritto agli allocchi, italici e non, e che confeziona bottiglie di vino falso, percorrendo la pista dell’inganno, dell’assonanza, della similitudine lessicale, dell’evocazione di sinapsi che, aduse ai veri nomi delle vere etichette, consentono svarioni imperdonabili e perdite economiche ingentissime. “Imprenditori” che hanno dato vita al fenomeno dell’ “Italian sounding”: ovvero nomi che riportino direttamente a prodotti italiani, spessissimo certificati, ma che non hanno nulla a che vedere con il prodotto originale. Il cervello recepisce qualcosa che gli sembra di conoscere e ci reindirizza verso quello che “sa” di conoscere: il cervello, questa macchina meravigliosa che ogni tanto avrebbe bisogno di piccole revisioni. La questione è seria; ecco uno stralcio tratto dal sito del Ministero dello Sviluppo Economico: “Le aziende estere che utilizzano impropriamente segni distintivi e descrizioni informative e promozionali che si rifanno in qualche modo al nostro Paese, adottano tecniche di mercato che inducono il consumatore ad attribuire ai loro prodotti caratteristiche di qualità italiana che in realtà non posseggono, concorrendo slealmente nel mercato ed acquisendo un vantaggio competitivo rispetto alla concorrenza non solo italiana.
parisIn Italia vigono regole rigide sulla produzione agroalimentare, il cui obiettivo è quello di tutelare l’alta qualità dei prodotti oltre che la salute dei consumatori. “Made in Italy”, quindi, sta ad indicare non solo un prodotto di qualità, ma anche un prodotto sicuro. Gli altri prodotti, apparentemente italiani, non possono, in principio, ritenersi comunque tali.
La DGLC-UIBM, in collaborazione con Federalimentare, si è occupata nel periodo 2011 – 2013 di due progetti volti a contrastare il fenomeno dell’Italian Sounding.”. Ma su queste questioni il popolo italiano non insorge, continuando a darsi battaglia senza esclusione di colpi sulla panna nella pasta alla Carbonara, altra ingiuria non di poco conto.
Così, un giorno per caso, mi imbatto nella timida pagina Facebook di un produttore nicese, moderatamente indignato. E vedo bottiglie, etichette: barzellette, se non fosse che in realtà ci sarebbe da piangere.
Barbarolo” cosa suggerisce alle vostre sinapsi? A me parla di Barbera, ma anche di Barolo. Una linea Maginot di pura follia, laddove dentro a quelle bottiglie, presumibilmente, non c’è di fatto né l’una né l’altro, ma solo un nomignolo peraltro assai cacofonico, che però reindirizza ai due vini già menzionati. Quello che di sicuro non c’è dentro a quella bottiglia è la denominazione di origine controllata, ma in compenso c’è la provenienza, dichiarata e presumibile, di quel vino: Monforte d’Alba. Ogni commento ulteriore risulterebbe un’inutile ridondanza.
periseccoMa il bello deve ancora venire: ed è il Perisecco, che naturalmente pretende (riuscendoci) di evocare il Prosecco. Solo che quasi sicuramente non lo è e che ricorda forse di più una passeggiata in Orto Botanico: lo abbiamo infatti in una vasta gamma di aromatizzazioni , forse. O sono solo nomi? Non si sa, e bisognerebbe chiedere agli sventurati che lo centellinano come fosse nettare : Ibiscus, Cetriolo ( sic) e Melone. Alla faccia di Bacco.
prosecco calabriaE cosa dire di un Prosecco Calabrese con passaporto australiano? Nulla: non c’è nulla da dire, ma ci sarebbe tanto da fare.
Ma, in questo mare magnum di ipotesi di contraffazione, c’è anche il Prosecco in lattina, spumeggiante ma vagamente “ritoccato” esattamente quanto la sua testimonial, la ribelle Paris Hilton, che reca un nome abbastanza alluring, ovvero Rich Prosecco. Apoteosi di indignazione da parte di qualsiasi Wine Lover sano di mente, il ricco prosecco della ricca rampolla ha fatto scandalo.Ma qui occorre parlare al passato dato che in questo caso qualcosa è stato fatto. Luca Zaia, governatore delle terre venete, e la nuova Docg Prosecco hanno fatto cordone e formato uno zoccolo durissimo a difesa del Prosecco. E l’esito non si è fatto attendere: Rich Prosecco cambia nome e diventa Rich Secco. Adombro un’ulteriore critica: ma non è patetico un nome di siffatte caratteristiche? Se è Rich perché non può essere anche Dry, portando a casa un po’ di dignità ed una migliore “musicalità”? A già, perchè se si chiamasse Rich Dry perderebbe l’italian sounding , e quindi tutto il suo appeal dato che, come tristemente appare, l’italiano “vende” bene e soprattutto, come in questo e molti altri casi, quando non è italiano. Mi scuso infine per la pessima qualità delle immagini che riguardano i vini: del resto, perfettamente coerenti a ciò che identificano. Chi volesse aggiungersi alla comunità dell’imprenditore vinicolo nicese Gianluca Morino, potrà trovarlo qui https://www.facebook.com/pages/You-said-wine/1073555245993798?fref=ts

Alessandra Verzera

1 commento

  1. Incuriosito dal Barbarolo ho fatto una piccola ricerca in rete. Anche se il nome sa molto di furbesca fantasia, vista la zona di provenienza e visto il nome del produttore, poteva essere anche “un esperimento” con un suo legittimo valore. Dalle prime informazioni risulta un prodotto commercializzato in Norvegia con 80% di Barbera e 20% di nebbiolo (fonte : http://ilnomedelvino.blogspot.it/2015/02/storia-di-un-barolo-col-barbatrucco.html) il chè, vista la composizione, potrebbe avere una sua ragione legittima, senonchè questa ulteriore informazione proveniente da Slow Food (http://www.slowfood.it/slowine/lo-conoscete-il-barbarolo-lottavo-nano-di-langa/), famosa e gloriosa il cui embrione, con l’associazione amici del barolo, ha proprio avuto origine in terra di Langa, parla di falso evidente in particolare nella parte che più lo legittimava, il produttore, che nulla ha a che fare. Falso totale o furbata commerciale?

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