Non plaudo mai alla morte di qualcuno, perchè la morte è comunque morte, chiunque essa colpisca e vada a trovare: in un covo od in un letto, o sulla strada. Guardo alla morte come ad un fatto estremamente intimo: in sè reca sempre e comunque un solo concetto; che è quello della fine di una vita. Ma la nostra scelta di allontanarci oggi dalla nostra linea editoriale è un atto dovuto. Senza tripudio, ma con composta sobrietà, un atto dovuto agli americani: che quasi tremila vittime hanno contato, e che adesso scendono in piazza festanti per la morte di un solo uomo. Di quell’uomo però che quelle tremila vite le ha stritolate in un pugno, in una manciata di secondi. Il nostro Vincenzo Leone, a New York, ha sentito forte il dovere morale di trasmettere anche a noi – che ci occupiamo di cucina e di piaceri della vita – l’emozione per un momento storico che – in qualche maniera- segnerà, ancora una volta, la storia moderna.
Sono normalmente distante dall’attitudine vagamente belligerante della politica statunitense e per questa ragione non sposo molte altre attitudini americane. Cionostante il 2 maggio del 2011 segna senza ombra di dubbio una data storica,un giro di vite. Sbaglia chi ritiene che il mondo sia finalmente al sicuro: forse, probabilmente, il mondo da ieri è un luogo ancora più pericoloso ma tant’è, la testa di Usama Bin Laden era mezzo mondo a volerla. Ma, ripeto, non amo la “celebrazione giubilante” della morte: oggi scriverei lo stesso un editoriale di tono simile ed in ogni caso commemorativo delle tremila vittime delle twin towers, anche se questo individuo fosse stato catturato e consegnato alla giustizia. E, in quest’ottica, bene ha fatto Vincenzo Leone ritraendo, tra festoni e bandiere, il ragazzo con la chitarra che – a mezza voce – canta una “Imagine” di John Lennon che è un inno alla pace. C’è una frase, in quella canzone, che dice ” nothing to kill or to die for”: “niente per cui uccidere o per cui morire”. Ecco; l’idea di un mondo migliore per me è questa. L’immagine di un mondo migliore per me è quel ragazzo con i riccioli, la sua chitarra, la sua voce che canta le parole di un grande uomo e di un grande comunicatore, ancora prima che di un grande musicista. La mia idea di mondo migliore non si identifica nella rappresentazione di un volto tumefatto e malamente sfigurato, nè in una smorfia di dolore di chi è morto senza Dio, in nessun caso. Il servizio di Vincenzo Leone è il servizio che io stessa avrei fatto, e che vi invito dunque a guardare. La pena e la mestizia che provo per quelle tremila vittime sono ancora molto vive in me e credo lo rimarranno per sempre, insieme alla pena ed alla mestizia per le vittime indonesiane, giapponesi ed anche italiane, vittime di terremoti e di Tsunami. Vittime queste di eventi naturali, certo: si trova forse più facilmente un senso alle cose e si riesce a trovare conforto e rassegnazione dinnanzi all’ineluttabile, all’imponderabile e devastante forza e sovranità della natura. Ma i morti sono morti, come ho detto prima: e la morte di chiunque spegne una stella, offende l’anima, ferendola. Ieri per gli americani è stato un grande giorno, ma giustizia non sarà mai fatta: perchè guai a cedere al sentimento di vendetta e di rivalsa. Guai a pensare che il taglione possa darci ragione dei torti e delle perdite subìte; guai a provare gioia della morte di qualcuno; foss’anche il peggiore nemico. Quando gli americani avranno finito di festeggiare e di banchettare al ricco ed insperato desco si ritroveranno forse più di prima in compagnia del ricordo dei congiunti persi e che nessuno riporterà in vita, e probabilmente il senso di incompiutezza e di vuoto saranno incolmabili ancora una volta. Siamo indottrinati al perdono ed alla tolleranza e ci piace pensare che la giustizia non sia di questa terra, perchè siamo indottrinati ad ambire alla giustizia suprema. Forse Usama Bin Laden, un essere spregevole ed esaltato con nessun rispetto per la vita umana, ha fatto la fine che meritava e che aveva messo in conto di poter fare prima o poi: ma questa non è certo giustizia. Questa e solo un’azione di guerra.
Alessandra Verzera