Editoriale. A Palermo quel profumo di caffè che svanisce dopo le 18.00

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Napoli e Palermo, le grandi città del Regno delle due Sicilie, condividono molto in tema gastronomico. Ma condividono anche il piacere unico di una tazza di caffè. A Napoli e a Palermo non occorre precisare ” ristretto” quando si ordina un espresso, e se lo  si fa si rischia di alludere al fatto che sia normalmente troppo “lungo”. A Napoli e a Palermo il caffè è un must, ad ogni ora del giorno e della notte.caffè-espresso

A Palermo, però, non è più così. A Palermo sta infatti  prendendo piede  la moda del “coprifuoco” ed il caffè – in svariati locali – non viene più servito al tavolo, ma soltanto al banco. Muore lentamente quindi l’idea della caffetteria, in buona sostanza.

Ma perchè succede? Perchè in molti bar della città è esplosa la moda degli aperitivi, apericena o aperiqualsiasicosa.

Dalla necessità stringente di fare cassa, spesso con offerta di prodotti meno che mediocri, nasce il malcostume, la mala creanza, talvolta la totale ineducazione, di alcuni gestori; che allontanano senza troppa diplomazia il malcapitato cliente che volesse osare prendere un caffè servito al tavolo: magari anche con un dolcetto, con una bottiglietta di acqua minerale.

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Il tutto a fronte di aperitivi spesso a prezzo fisso, che costano mediamente non più di 5/8 euro. Ora, a di la dei meri conti della serva per cui in un caffè, un dolcetto ed una bottiglietta d’acqua, c’è senza dubbio un margine di utile maggiore  rispetto ad una bevanda e ad un piattone di cibo scadente, la vera domanda è: dove sono finite le caffetterie? Ma ci si potrebbe anche chiedere dove sia finito il buonsenso in un clima di omologazione per cui tutti devono consumare in batteria le stesse cose, e dove sia finita la cura verso il cliente.

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E’ capitato a me personalmente, di essere praticamente rintuzzata assai maleducatamente da un gestore che esibiva con orgoglio le proprie scelte aziendali, ed è capitato a miei amici: nel centro di Palermo non si può occupare un tavolo per gustare un caffè dopo le 18.00.

E’ un’assoluta assurdità, stante che almeno uno di questi locali – quello dal quale per poco non sono stata cacciata – ha per ben due volte nel suo nome la parola “Caffè”.

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Ma è un caffè con restrizioni, con clausole vessatorie. E poco importa se ci si aggiunge ad un tavolo di clienti che stanno già consumando ” secondo le direttive”: la regola del “no caffè” non conosce deroghe. Se ti aggiungi, ti omologhi al resto del tavolo. Punto e basta.

Se non lo fai puoi ricevere due inviti: quello di consumare il tuo caffè al banco o, in alternativa, di lasciare il locale. Niente in contrario rispetto all’ormai noiosa consuetudine dell’ “aperitutto”, ma niente in contrario neanche rispetto alla cara, vecchia tazzina di caffè: ed allora, perchè non aprite locali  “dedicati” alla massificazione, ai ciuffi di insalata, ai pugni di verdure pastellate dalla busta dei surgelati, dei salumi e dei formaggi del discount, dei quadrotti di pizza plastificata,  e non lasciate in pace chi incautamente leggendo sulla vostra insegna ” Bar Caffè” pretenda di consumare il “nero e bollente”?

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Che poi, diciamocelo francamente: il caffè con il pasticcino è ormai roba da èlite, in una città in cui tutti vogliono mangiare sempre di più e sempre meglio spendendo sempre meno. Un andazzo ormai consolidato che sta lentamente devastando la ristorazione, con un proliferare incontrollato di orde di critici esperti, di recensori competentissimi formatisi alla scuola dei vari gruppi sui social  che promuovono a pieni voti  i locali a basso costo, stroncando la vera buona cucina di locali nei quali, abbastanza verosimilmente, non hanno mai neanche messo un solo piede, ma che recensiscono perchè è sempre meglio darsi un tono.

 

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Tralasciando questo dettaglio, sono davvero pochi i Bar convertiti a refettori in cui il cibo servito – rigorosamente su taglieri in legno spesso in pessimo stato –  sia di qualità accettabile.  In linea di massima, tra gestori di bar e ristoratori, è un gioco al ribasso che da ragione a chi cerca di mangiare sempre di più spendendo sempre di meno. Sul “sempre meglio” però casca l’asino. E si assiste impotenti a menù da 25 portate venduti a 15 euro, fino a che il competitor di turno non riuscirà ad offrirlo a 14. Ed è così che il palermitano medio sciama da un locale all’altro, contando le portate, gli assaggini, comparando, misurando. Una bolgia infernale in cui diverse saracinesche si abbassano ogni giorno per non riaprire mai più.

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A Palermo manca una ceffetteria degna di questo nome, così come manca una vera sala da Te, con tutti gli annessi e i connessi: in compenso abbondano i taglieri seriali e le Bakery altrettanto seriali con dolci quasi sempre uguali, chiaramente acquistati presso gli stessi fornitori.  A Palermo, in poche e succinte parole, manca l’eleganza e si sta perdendo il senso del gusto, oltre che della misura.  Manca quell’eleganza che si respirava dietro le vetrate del mai dimenticato Roney, ad esempio, in cui il caffè o il the erano un rito di raffinatezza, e dove l’aperitivo erano delle piccole ed impareggiabili tartine e mandorline glassate.

Palermo è diventata gastronomicamente brutta, pasticciona, raffazzonata, inelegante.

A quando un’auspicabile inversione di tendenza in cui i Bar Caffè tornino a servire il caffè e i ristoranti a servire cibo degno di questo nome?

Nel frattempo, e a breve, la lista dei bar in cui il caffè al tavolo viene servito entro e non oltre specifici orari.

 

Alessandra Verzera

 

Disclaimer:

le foto sono di archivio o reperibili in rete. Ad eccezione della foto di “Roney”, nessuna delle immagini adoperate si riferisce agli esercizi citati nell’articolo.

 

 

 

 

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