Eccellenze siciliane. Il Nocera Rosso: un vino unico dall’accento messinese.

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Il Nocera è un piccolo grande vanto della provincia messinese: di quel vino rosso rubino,fresco, armonioso e vellutato, i messinesi sono gelosi ed orgogliosi. Quel vitigno fa parte del loro essere: nessun altro lo coltiva, se non i produttori di una zona ristretta nelle meravigliose campagne tra Furnari e Castanea. Con il mare ai piedi e protette dall’abbraccio fecondo dei Nebrodi,in pochi ettari nascono grandi realtà (A.Ve.)

Una giornata in visita ad una cantina è sempre un bellissimo modo per impiegare qualche ora in modo estrememente interessante. Quando però la realtà che si va a visitare è un piccolo capolavoro in miniatura allora il piacere raddoppia. Ed il piacere di ascoltare storie e tradizioni girando per le sale delle cantine Cambria, a Furnari – Messina – si fa sana curiosità, fame di sapere.

Leggende e tradizioni sconosciute che scendono giù quasi come il vino nel suo calice. Troviamo ad attenderci una donna, a conferma del fatto che il vino sta diventando sempre più “roba da donne”: Nancy Astone è una bella donna, giovane, preparata, appassionata, dinamica. Una di quelle donne che tiene in pugno un’azienda, ma senza mai comprimerla ed anzi accarezzandola come fosse da sempre una sua creatura. Un’azienda cui lei guarda con gli occhi dell’amore: e la cosa mi contagia parecchio. La Astone è anche vice presidente della Fidapa Sicilia, la federazione italiana delle donne nelle arti, professioni e affari.
Ascolto con una punta di commozione la leggenda legata all’origine del paese di Furnari – a due passi dalla ben nota Portorosa e ad altri due passi da Tindari e con un irresistibile “sentore” di Taormina a breve distanza, in un comprensorio ubertoso fatto di mare e monti e di scenari sublimi. Ascolto la leggenda del cane ferito da un arciere maldestro di Re Ruggero d’Altavilla,ed affidato alle cure di un contadino della zona- Antonio Furnari –  e che il sovrano sarebbe poi tornato a riprendere. Un cane di razza, un levriero. Ma il sovrano ci mise dei mesi a tornare, e nel frattempo gli altri contadini del luogo schernivano Antonio Furnari che curava ed accudiva quel cane pur versando in notevoli ristrettezze economiche. Sovente gli altri contadini gli chiedevano fino a quando aveva intenzione di tenere con sè quell’animale piuttosto che venderlo o disfarsene comunque in qualche modo. E lui, Antonio Furnari, rispondeva: “finchè venga”, riferendosi al Re di cui nessun altro all’infuori di lui sapeva nulla. E’ bella questa leggenda: talmente bella che si rimane delusi a sapere che si tratta solo di leggenda.

La si vorrebbe una bellissima e commovente storia vera. Ma poco importa, dato che la gente di Furnari culla con amore questa storia e che i simboli che la definiscono sono presenti sul gonfalone della città.
Persino Ludovico Ariosto, nel suo Orlando Furioso al Canto XLI, cita quella frase “finchè venga” e ci racconta però la storia vera del comune collinare: Federico III aveva donato il feudo ad una famiglia genovese, i Furnari, amici dell’Ariosto. La suggestiva e commovente storia di Ruggero D’Altavilla, del suo cane e del contadino Antonio Furnari, poi eletto Barone dal Sovrano in segno di riconoscenza per le cure prestate al suo animale, si smonta dunque lentamente ma inesorabilmente: il cuore racconta sempre vicende diverse da quelle che narra la storia. Ma tant’è, i furnaresi raccontano per prima la storia del cane,con dovizia di particolari, liquidando invece in poche parole la storia vera; quella che lega Furnari alla Liguria.
Ad ogni modo, questo cane è il simbolo della città di Furnari.

Ed a questo elegante e fedele animale la Cantina Cambria ha dedicato la propria punta di diamante: un vino rosso di grande struttura e fascino che si chiama, appunto, “Rosso del Levriero”, un blend di Nero d’Avola e Syrah. Con il suo colore intenso quasi tendente al viola, racchiude in sè tutta la storia di Furnari. Un vino d’eccellenza, da intenditori e non certo per tutti i palati, con una gradazione pari a circa 14* ed una temperatura di servizio consigliata di circa 20*.

Non solo il Rosso del Levriero però adorna le nicchie di questa deliziosa cantina,che esiste dal 1864 ma che solo negli ultimi anni ha visto un rilancio grazie appunto alle iniziative ed alla passione dei Cambria della nuova generazione: un’altra bella bottiglia fa modestamente capolino pur essendo stata insignita di ben cinque stelle. Si tratta di un bianco eccellente, la cui prossima produzione ho il privilegio di assaggiare in anteprima, da una bottiglia che non ha ancora neppure l’etichetta. Sublime, specie per chi – come me- ha una naturale predilezione per i bianchi freschi e poco aciduli.
La produzione della cantina Cambria ha poche etichette, ma tutte una migliore dell’altra.
Testa di serie è appunto il Rosso del Levriero, blend di Nero d’Avola e Syrah; poi lo Chardonnay ed il Syrah.
Per la linea “Suaviter” un Nero d’Avola ed un Grecanico, entrambi ottimi. E poi la linea “giovane” Terre di Sicilia,un Nerello Mascalese del 2003 – Rosa dell’ Isola – ed ancora un Nero d’Avola del 2002 ed un’ Inzolia del 2003. Questi ultimi sono i vini poco impegnativi dal punto di vista economico, anche se – con mia grande sorpresa – scopro che anche le bottiglie più blasonate di quella cantina sono ben più che abbordabili.  Uno di quegli ormai pochi casi in cui un pregio ed un privilegio sono veramente alla portata di quasi tutti.

Colpisce in questa cantina intanto l’estrema pulizia e la totale mancanza di insetti: che sembrerebbe una cosa scontata ma non lo è di fatto mai abbastanza. C’è odore di pulito dappertutto: ma l’odore che più mi affascina è quello delle botti in rovere francese che secondo me profumano di mandorla. Poi colpisce la scelta aziendale che ha dimezzato gli ettari vitati per dedicarsi all’alta qualità: oggi gli impianti si estendono per una ventina di ettari, in una zona che – per questioni morfologiche – è vitata per una sessantina di ettari in totale. Terreni scoscesi, pendii e declivi sono siti suggestivi da vedere, ma poco pratici da coltivare. Pur tuttavia, in una sorta di meticoloso puzzle, quei venti ettari dei Cambria producono ancor prima che ricchezza, un nome ed un marchio di alta qualità.Qualche migliaio di bottiglie: delle “serie limitate” per forza di cose.
“Ma anche per scelta” – dice la Astone – “abbiamo scelto di produrre poco vino ottimo piuttosto che tanto vino buono”: la politica aziendale sta, in sintesi, in queste poche parole.
Quattro in tutto: quattro persone, dedite anima e corpo alla cantina: e poi macchine. Le più tecnologicamente avanzate. Di quelle macchine che accarezzano gli acini e che coccolano il loro succo, fino a che – in una qualsiasi giornata di inizio settembre e durante un periodo di ferie – può capitare di trovarsi a contatto con una realtà mai conosciuta prima, a sorseggiare in anteprima un eccezionale bianco accompagnandolo ad ottimi formaggi, e di ascoltare la storia appassionata di una piccola ma grande cantina, che vi consiglio vivamente di visitare.

Alessandra Verzera

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