Addio a Lucio Dalla, artista che amava l’Etna e la Sicilia

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«E ancora adesso che gioco a carte e bevo vino, per la gente del porto mi chiamo Gesù Bambino». È straordinario quel refrain di «4-3-43» che da qualche ora a venire qui starà riecheggiando nelle teste di tutti gli italiani. Se n’è andato un grande, un discreto, un puro, un buono, un artista vero. Da parecchi anni aveva messo radici in Sicilia, una terra che amava, che osannava e in cui credeva molto, al punto da acquistare un vigneto a Milo e produrre un vino tutto suo (M.Ma.)

Inizia la sua carriera nel 1962 Lucio Dalla. Cinquant’anni di attività artistica da clarinettista, sassofonista, tastierista. Mezzo secolo di storia in cui la sua produzione attraversa numerose fasi, dalla stagione beat alla sperimentazione ritmica e musicale, fino alla canzone d’autore, arrivando a varcare i confini della lirica e della melodia italiana. È difficile credere alla notizia arrivata proprio da poche ore. È solo di pochi giorni fa, infatti, la sua ultima apparizione tv al 62° Festival di Sanremo. S’era ritagliato un doppio ruolo originale: il direttore d’orchestra e il corista. Ha fatto da “spalla” al giovane artista Pierdavide Carone nel brano «Nanì» che richiamava tantissimo per stile e atmosfera proprio la sua famosa «4-3-43» di Gesù Bambino.

Amante della buona tavola e devoto della gastronomia campana, mozzarelle di bufala in testa, Lucio Dalla è stato un gourmet nella vita. Non si è fatto mancare nulla. Ha seguito da tempo la moda che voleva i personaggi illustri del mondo dello spettacolo produttori di vino. Vino e musica, dunque. Un’alchimia, un binomio. Un dipolo complementare perché, come ama ricordare Ron «il vino ha molte analogie con la musica; è un segno dell’artista, racconta storie, sa consolare, unire, rallegrare, migliora gli umori e accende la fantasia, portando in superficie un mondo segreto, spesso intimo». E, così, quindi, dopo lo Zibibbo di Gerard Depardieu, il Dolcetto di Ovada di Ornella Muti, “Il Cantante” di Mick Hucknall dei Simply Red, il Chianti di Stefania Sandrelli, il “Palagio” di Sting, il “Baccano” di Gianna Nannini, il “Don Carmelo” di Albano Carrisi, il “Fracent’anni Rosso” e il “Fracent’anni Bianco” proprio di Ron, è arrivato anche lui: lo “Stronzetto dell’Etna” bianco e rosso di Lucio Dalla proveniente dai vigneti di Milo sulle pendici del vulcano siciliano. Un nome irriverente, ironico e immaginifico della sua etichetta. Un nome perfettamente in linea con la sua filosofia.

Un vino prodotto in qualche migliaio di litri che mai arriverà sulle tavole, ma che sarà destinato solo a lui e ai suoi amici che amava sollazzare facendo gite in barca. «Non per lucro, ma per gioco e per amore – diceva Dalla. Vedo che piace molto ai miei ospiti, risponde ai miei gusti e questo già mi basta. Mi dicono quello bianco sia di qualità veramente eccellente e perciò spianterò pian piano il rosso per avere solo vino di qualità superiore». Un peccato non poterlo degustare. Questo vino, nella cui etichetta Dalla appare vestito da derviscio, gli era valso qualche riconoscimento enologico. Proprio il 5 agosto scorso il cantante aveva tenuto una lectio magistralis davanti al “Castagno dei Cento Cavalli” a Sant’Alfio, in provincia di Catania.

Suo “Siciliano“, un brano del suo ultimo disco e queste le sue parole in omaggio alla Sicilia: «Questa canzone parla di artisti, poeti e pittori da centinaia di anni in Sicilia, per trovare una forma di rigenerazione ideale dello spirito, per assaporare profumi di tutti i tipi e vivere a contatto con una civiltà che non si capisce bene quando è cominciata e non si sa quando mai finirà». Noi di Scelte di Gusto vogliamo ricordarlo così, citando semplicemente un paio di versi di questo capolavoro che celebra il suo amore profondo per la gente siciliana:

«La prua della barca taglia in due il mare,
ma il mare si riunisce e rimane sempre uguale
e tra un greco, un normanno e un bizantino,
io son rimasto comunque siciliano
».

Ciao, Lucio.

Marcello Malta

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