Sapori d’ Italia. La Campania e ” ‘o tarantiello “: e la Fiera Vesuviana profuma di mare

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antonio nunziata2L’Italia è ricca di tradizioni enogastronomiche che in molti casi  non oltrepassano i confini delle regioni stesse. Crogiuolo di tradizioni e di risorse, la penisola regala sensazioni gustative uniche non soltanto agli italiani, ma anche  ai tanti turisti che la visitano. Alcune regioni poi sono più vocate di altre in quanto a virtuosismi enogastronomici e forse anche più attente a preservare le vecchie e consolidate tradizioni: appuntamenti che gli autoctoni non possono perdere per nessuna ragione e che profumano di antico e di tradizione secolare. antonio nunziata3Tra le regioni più “fantasiose” ma al contempo più legate alla vecchia e robusta tradizione c’è sicuramente la Campania, con una sfilza di piatti tipici conosciutissimi in ogni dove: tre per tutti, il babà , la pastiera e la sfogliatella. Ma esiste una Campania riservata ai campani, che è quella delle sagre di paese e dei prodotti tipici: uno di questi è ” ‘o tarantiello“. Di questo straordinario prodotto ci racconta lo chef Antonio Nunziata, docente dell’ Isis  L.  De Medici di Ottaviano e vicepresidente dell’Associazione Cuochi Torre Area Nolana Vesuviana Strianese aderente alla Federazione Italiana Cuochi.

fiera vesuvianaLa Fiera Vesuviana è un’ istituzione storica- racconta Nunziata –  ed è patrimonio culturale delle popolazioni dell’ Area Vesuviana tramite apposito Comitato Fiera. Hanno sottoscritto un protocollo per la tutela e la valorizzazione di questa storica manifestazione ventitrè Comuni dell’ Area interna oltre alla Provincia di Napoli. fiera vesuviana2La Fiera Vesuviana si tiene ininterrottamente dal 1613, quando venne fondata dal Marchese Scipione Pignatelli, signore di Palma e Lauro, trasformando in Fiera la festa in onore di San Gennaro che da lungo tempo si celebrava, con grande concorso di popolo, davanti alla Chiesa Sant’ Januarius in Silvia di origine medievale, situata in mezzo al Planum Palmae, dove era allocata l’ antica Cavallerizza di Re Ferrante. antonio nunziata 4Grazie ai Frati Minori che la propagandavano tra le popolazioni dell’ Agro-Nolano, Vesuviano e Sarnese ed offrivano ospitalità ai venditori, la Fiera di San Gennaro Vesuviano ebbe grande risonanza e fu subito considerata un appuntamento importante per le popolazioni, per artigiani e mercanti da essere citata come esempio di organizzazione già nel XVII secolo.Ebbe una propria sede stabile su 20 moggi di terreno (80.000 mq) e per tutelare il suo spiazzo da usurpazioni, furono disputate controversie nei secoli XVII,XVIII e XIX. Fu resa Fiera Franca, cioè libera da gabelle e da dazi, ebbe propria amministrazione col “Catapano” (Maestro di Fiera investito dall’ autorità feudale, nda ) che disponeva di propri gendarmi, di luoghi di pena,amministrava la giustizia per reati commessi durante la fiera e per fatti di fiera, assegnava gli spazi, concedeva lasciapassare, gestiva le carceri. Non mancano nella sua storia episodi eclatanti e vertenze lunghissime per preservare lo Spiazzo, sede della fiera. antonio nunziata1La Fiera Vesuviana di San Gennaro Vesuviano è stata, nei secoli, il più importante momento di scambio commerciale nell’ area interna del Vesuvio, tanto che non poterono sorgere altre istituzioni fieristiche che potessero danneggiarla. Per tutto il XIX secolo la Fiera ha svolto il suo ruolo di scambio e di vetrina della produzione vesuviana. Da circa un ventennio è stata delocalizzata per sviluppare il suo ruolo e la sua funzione in uno spazio adeguato alle moderne necessità espositive. La sede attuale della Fiera è costituita dall’ Azienda Agraria dell’ Istituto Statale “Caravaggio” che offre i suoi spazi e le sue attrezzature. L’ edizione 2013 ha celebrato il 400° anniversario della fondazione della Fiera Vesuviana.”

tarantielloE di questa storica Fiera uno dei protagonisti incontrastati è ” ‘o tarantiello”, con la sua sagra dedicata: ma cos’è    ” ‘o tarantiello”?  ” Un tempo di tarantiello nella Fiera se ne vendeva una grande quantità e rappresentava uno dei prodotti di attrazione della Fiera stessa. Esposti in bella vista sui banchi di vendita in grossi tini di legno e immersi in salamoia le troncoconiche pancette attiravano l’attenzione degli avventori che attendevano il turno per ricevere la propria porzione pesata e  pagata a caro prezzo , avvolta nella carta gialla dura, adatta a formare i caratteristici cuoppi da pescivendolo. tarantiello2Chiunque veniva in Fiera acquistava per devozione un po’ di Tarantiello, poi a casa provvedeva a curarlo liberandolo dal sale della conservazione con un panno umido per poi immergerlo in un boccale colmo di olio extravergine di oliva, possibilmente delle nostre colline nolane. Dopo di che per tutto l’inverno veniva usato in cucina aggiungendolo in piccole porzioni alle pietanze per dare quel particolare sapore molto gradito ai nostri avi e che richiedeva opportune libagioni bacchiche: si trattava insomma di una leccornia.  Sull’origine del nome di questo prodotto si sa ben poco, ma l’affinità con tarantella è ovvia e pertanto è da farsi risalire anch’esso a Taranto nel cui mare venivano pescati i tonni, le cui pancette, lavorate e salate, erano vendute appunto, col nome di tarantiello in lingua italiana detto “sorra” .tarantiello3Queste pancette di tonno salate e trattate opportunamente assumono un sapore caratteristico tra il tonno e l’acciuga e vengono usate per insaporire e rendere più stuzzicanti le pietanze, alla maniera della cucina mediterranea con odore penetrante e sapore deciso.Alcuni, tra il popolo, definiscono il tarantiello la spezia dei popolo“.

Ma quando è possibile visitare la Fera Vesuviana? “La data è variabile:  di solito va dal primo o secondo sabato  del mese di settembre, includendo il 19 due sabati e due domeniche. lo scorso anno è stata realizzata  nel periodo 14/ 21 . Quest’anno invece stiamo pensando di stravolgere il tutto per spostare in  avanti l’inizio per via delle scolaresche che dovrebbero farci visita ,per dare  le scuole la possibilità di organizzarsi al meglio, è in ipotesi di iniziare il 19 stravolgendo una storia lunga piu di 400 anni”.

Per saperne ancora di più : www.youtube.com/watch?v=IOPgB4Nvdqo&feature=youtu.be

Alessandra Verzera

 

Foto generiche : Web

Foto personali: Chef Antonio Nunziata

Foto del prodotto : Chef Armando Capochiani

1 commento

  1. IL TARANTELLO
    (Eccellenza Tarantina Scomparsa e Gastronomia Pugliese.)

    Il Tarantello è un salume fatto con carne fresca di tonno ed è, tra i prodotti conservati, uno dei più raffinati e prelibati. Pur essendo un tempo diffuso in tutto il meridione italiano, questo prodotto deve il suo nome alla città di Taranto, il centro più importante, nell’antichità, per l’importazione e il commercio della Sorra (dal catalano Sorra e dall’arabo Surra: ventresca di tonno conservata sott’olio) dall’Oriente, da dove per tradizione arrivavano i tonni migliori.
    E’ un insaccato molto particolare, che andrebbe confezionato esclusivamente con ventresca di tonni pescati nel Mediterraneo. Anzi, con la parte migliore della ventresca, chiamata appunto tarantello, e che è situata nella zona più rotonda del ventre del tonno, tra il Mascolino e la Ventresca.
    Trovare oggi del vero Tarantello è a dir poco impossibile, poiché sono ormai scomparsi quasi tutti i vecchi tagliatori in grado di riconoscerlo e separarlo dagli altri tagli del pesce.
    Ma in cosa consiste esattamente la preparazione del tarantello? Le fasi successive al taglio prevedono alternanze di trattamenti ad altissime temperature e di riposi, fino alla confezione finale. Poiché in alcuni testi il tarantello veniva definito un insaccato, è probabile che un tempo esso avesse un duplice aspetto: o il pezzo intero di tonno salato, oppure un salame composto da un impasto di carne fresca di tonno macinata ed insaporita con spezie. Ambedue le forme sono ormai sconosciute, tranne che in alcuni paesi del trapanese dove ancora si preparano.
    Si può immaginare che il tarantello venisse considerato, fin dai tempi antichi, molto pregiato e che avesse anche un costo considerevole. Infatti, fin dal Medioevo lo troviamo assai diffuso sulle tavole dei Grandi, appare per la prima volta nella lista di un pranzo offerto dal Cardinale Campeggi all’imperatore Carlo V di Spagna nel sec. XVI proprio a Taranto, da dove la relativa tecnica di lavorazione trasmigrò. Il Tarantello é sovente menzionato nei primissimi ricettari italiani. Addirittura, in un libro scritto nel 1634 da un gentiluomo napoletano, Giovan Battista Crisci, intitolato La lucerna de Corteggiani, dove sono elencati 365 menù per ogni giorno dell’anno, più alcuni altri per occasioni e festività speciali, per un totale di circa 400 menù, il Tarantello è menzionato più di una centinaio di volte! Tarantello per fare zuppe, minestre, pasticci, polpette, polpettoni, plattigli, coppi, pizze e, incredibile ma vero, anche per condire i maccheroni.
    Il Tarantello attualmente in vendita non è più né un insaccato né pesce salato, ma un pezzo particolarmente pregiato di tonno che dopo essere stato bollito viene messo sott’olio in barattoli di vetro.

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