IL VINITALY 2012? È “BIBITALY”

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Ho voluto aspettare prima di scrivere poche righe sul post Vinitaly 2012. Un po’ come se dovessi smaltire la sbornia del dopo. Le considerazioni collettive sul “post” sono state tante e ricche di conferme. Una kermesse che dovrebbe essere una “manifestazione del vino italiano” oggi si propone al pubblico come “sagra di paese”: un paese provinciale chiamato Italia (K.Fe.)

Prima di continuare a “sparare sulla Croce Rossa”, voglio ringraziare il giornalista che in questo Vinitaly ’12 ha voluto condividere la conoscenza personale di una realtà vinicola che racchiude in sé non solo la “buona bottiglia” o il rispetto della terra, ma molto di più. Mi riferisco alla Cascina Clarabella: il nome è già un’allegorica premessa, ricca di semplicità umana, quell’ingrediente che “dovrebbe” stare alla base di un corretto rapporto con la terra. Non voglio aggiungere nulla di più a quanto già nel redazionale scritto da Marcello Malta, per invogliarvi a leggerlo e magari fare una visita in “Cascina”.

(Leggi qui: https://www.sceltedigusto.it/public/index.php/blog-categoria/870-vinitaly-cascina-clarabella-la-franciacorta-tra-vini-e-solidarieta).

Ma voglio fare io un ringraziamento “fra le righe” e del tutto personale a tutti gli amici e amiche della Cascina. Grazie, per la bontà dei vostri prodotti, ma soprattutto per il volto “umano” che esprimete nel vostro progetto. Ciò detto, rimarrebbe poco altro da raccontare riguardo alla fiera della “bibita”, da me ormai rinominata “Bibitaly” se non che il copione è stato seguito alla perfezione. L’affluenza è stata un successo, per di più compressa in quattro giorni e non in cinque. Questo ha creato una bolgia terribile nei primi due giorni, davvero inaspettata quella del lunedì. Non voglio ribadire qui alcune ovvietà, già scritte nel mio precedete articolo, sul fatto che il Vinitaly sia una sorta di fiera di paese.

Sono altresì contento di leggere resoconti di persone del settore che confermano la mia tesi; date una letta al redazionale di Gaetano Manti che uscirà nel prossimo numero del “Mio Vino” di maggio, poi traete le vostre considerazioni. Parlando con alcuni “preistorici visitatori” della fiera, persone del settore vinicolo che operano da più di qualche lustro nel mondo del vino, è emerso ancora vivace il loro stupore ed anche un pizzico d’incazzatura, per la presenza ad una manifestazione di settore per operatori, di un pubblico composto prevalentemente da privati. Tra le varie cose, quest’anno si è assistito alla presenza fra il pubblico del migliore amico dell’uomo, nelle sue diverse taglie e razze. E vi assicuro che i quadrupedi risultavano spesso essere più composti di alcuni “bipedi implumi” che si aggiravano fra gli stand.

Per non essere da meno c’era chi, optando invece di farsi accompagnare dalla famiglia, ci regalava dei festosi bambini che potevi trovare, annoiati e stanchi, seduti fuori dagli stand intenti ad attività ludico ricreative. Nulla da ridire, né contro gli infanti né contro i canidi: conosco anche io “l’Ikea-pensiero” o la “famiglia del Mulino Bianco” e i centri commerciali usati come spazio relax. Certo che avere la pretesa di essere la più importante manifestazione italiana dedicata al vino ed ai suoi operatori, credo proprio sia, come dire, fuori luogo! La gente sbronza non mancava, anzi, quello che mancava del tutto era, ad esempio, una copertura per la telefonia mobile, adeguata alla “kermesse”. Non c’era linea per telefonare, ma i pomposi politici e le veline dagli abiti succinti, con il loro codazzo di portaborse, non sono certo mancati.

L’amministrazione della città di Verona, comunque, deve essere stata contenta della Fiera. I parcheggi a 8 euro a macchina, al giorno, erano sempre pieni e il traffico ha fatto sentire i veronesi, per quattro lunghi giorni, come dei newyorkesi: il caos automobilistico è stato totale. I venditori di panini fuori dalla fiera offrivano il meglio dello spettacolo alla chiusura, quando la gente ancora non sazia di bacco, si fermava a bere birra in compagnia di un panino “zozzo”. C’è chi lo chiama street-food, modo di dire snob e, a mio avviso, poco efficace. So che si definisce “panino zozzo” quella cosa che trasuda grassi, oli e salse che profondono odori in grado di risvegliare istinti animaleschi. Il panino zozzo seda, in parte, la ormai familiare fame chimica, risultato dell’eccesso di alcool in corpo. Assieme a questa “estasi” per la gola non ci si può esimere dall’accompagnamento di una gasatissima e gelata “birretta”. Impagabile l’aiuto gastrointestinale della CO2 per una corretta digestione.

Per chi voleva, poi, godere appieno del parcheggio pagato dalla mattina, ciò che si svolgeva nei dintorni della fiera era davvero esilarante: nel raggio di qualche chilometro dall’uscita non c’era un bar di quartiere che non fosse pieno di gente. Poi tutti in auto, così da ricreare quella esperienza che alberga in ognuno di noi, come traccia mnestica, fin da quando siamo bimbi: la coda di auto in fuga dalla città. Credo sia un momento che nasconda qualcosa di mistico: lo si vede dalle facce di chi guida. I più fortunati (chissà se lo saranno stati davvero!) hanno potuto ingrassare le casse degli alberghi in città. La levitazione dei prezzi delle camere nel periodo di fiera, segue, a mio avviso, la fermentazione alcolica dell’uva. Parte con cautela via web, circa quattro mesi prima della fiera: i prezzi hanno un lento fermentare e arrivati allo scadere dei 30 giorni all’apertura, il prezzo-fermento sale. Ma la magia della fiera non necessita d’indagini sulla “lievitazione”.

Il messaggio, anche quest’anno, era palese. Al Vinitaly bisogna esserci. Anche se come potenziale espositore, dico io, non vorrei trovarmi nella condizione di quella piccola cantina calabrese, trovata da me quasi per caso, dai vini davvero interessanti. Era relegata in un spazio talmente isolato che metteva un pizzico di tristezza. Nonostante questo, e per mia fortuna, i titolari della Cantina Visalli offrivano, oltre al loro calore, dei vini carichi di sostanza e forte personalità. Voglio segnalare la loro interpretazione delle uve Gaglioppo e Castiglione, quest’ultima autoctona e dall’elegante potenza tipica dei vini del sud fatti a “modo”. Così anche la carezza offerta dal loro Greco Bianco, prodotto con uve appassite in pianta e raccolte tardivamente, mi regalava davvero un’emozionante  sorpresa. Ma che dire a questi vignaioli coraggiosi? Venire al Vinitaly è stato positivo? Secondo me no. La loro presenza, come quella di molti altri produttori non è stata adeguatamente valorizzata.

Accanto a questa mia esperienza positiva – se avrete piacere condividerò in altra occasione le mie impressioni su vignaioli conosciuti strada facendo – resta vivo lo “stupore” per la presenza in fiera di uno spazio dedicato alla floricoltura. Ci sta, dite voi? Allora anche lo stand dei prodotti dolciari “Amaretti di Saronno” ci stava bene, oppure il “mojito degli angeli” proposto da una famosa cantina vinicola. Per mia fortuna ho potuto assistere al taglio di una gigantesca mortadella (non mi è scappato l’assaggio del gigantesco salume lo confesso) accompagnata con del Prosecco a mo’ di beffa per i cugini transalpini, che insistono nella diade Champagne e ostriche. A tale proposito voglio spezzare, non le reni, ma una lancia a favore di un connubio estatico come la mortadella e il Lambrusco.


Questa “kermesse nazional-popolare” avveniva sotto un tendone adibito a ristorante, dove i vari presidenti dei consorzi, Valdobbiadene e Mortadella Bologna, la facevano da padrone davanti ad una platea più attenta al taglio del salume che alle solite verbosità espresse, in uno pseudo politichese. Il sapore della mortadella era in perfetta sintonia con la proposta offerta da Vinitaly: grassa, saporita e con un calice di vino gelato, gasato e mediocre da berci sopra. La mia critica, ormai non solo e non più mia, resta nei confronti del messaggio che la fiera vuole dare e alla sua organizzazione, non al suo contenuto in senso stretto.

Se si parla di Manifestazione Vinicola Italiana per operatori del settore, credo che sia corretto soddisfare le aspettative che un tale titolo propone all’espositore così come all’operatore. Il Vinitaly oggi è una gigantesca nave, arenatasi sugli scogli del suo passato, usata come teatro dai mangiafuoco dell’ultima ora per attirare, con i suoi lustrini e i finti fasti, i passanti in cerca di un momento di svago. Ma tutto è ben lungi dall’essere una “Manifestazione del Vino Italiano” seria. È seriamente una sagra di paese, di un paese divenuto molto provinciale: il paese Italia.

Khatib Fersani

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