Sono ormai lontani i tempi in cui Palermo acquistava i dolci della domenica da Caflish e si incontrava al Roney di Via Libertà, quel bar in vetrina vagamente ammiccante oltre la cui vetrage la gente favoleggiava di cose vere, presunte e fantasiose, imbastendo storie, flirt e pettegolezzo spicciolo. Sono lontani i tempi in cui un The o un caffè, una cioccolata o un aperitivo costituivano una occasione irrinunciabile per “esserci”, molto semplicemente. Tutto questo finì, a ragione di vicende di varia natura, ma la gente si spostò di poco, in un Cafè Nobel carico di marmi e stucchi, per molti pacchiano, per altri opulento. In ogni caso colmo di poltrone , di collane e chincaglieria, di effluvi di profumi femminili , di chiacchiericcio e di “kitch and chic“. Non durò neanche questo, e cambiò pelle e zona. Per finire comunque irrimediabilmente, e spostarsi di nuovo in posizione defilata, dove è ancora.
I palermitani del the delle cinque dovettero rassegnarsi: in città, nel centro bello della città in cui si decidevano le sorti dei migliori regali di Natale o delle storie adulterine degli amici, non c’era più dove sedersi con il pretesto di uno snack. Lasciata mestamente la via Libertà si prese d’assalto il bar Mazzara, in luogo strategico, ma più nel cuore della city che non dello shopping di lusso, se non per qualche gioielleria o qualche altrettanto storico negozio di abbigliamento maschile. Debacle. La cronaca della chiusura di questo altro storico locale è recente e non conosce rassegnazione , come la dolorosa vertenza dei tanti dipendenti mandati a casa senza troppi complimenti.
E così, come uno sciame mosso dal vento ed attratto da pollini svolazzanti allora la ” societèe” panormita rivalutò quello che fino ad allora aveva definito in termini poco lusinghieri; ovvero il bar Aluia. Di fatto, l’unica vera memoria cittadina in fatto di bar, tornando quindi in via Libertà, quando in via Libertà c’era Fiorentino e – ancora meglio – Cartier. Ed a questo punto, toglieteci tutto ma non toglieteci Aluia, dove si sono trasferiti i chiacchiericci, e le chincaglierie delle signore vip della città, ma anche i briefcases di tanti manager che discettano di economie sfasciate in una città che è l’antitesi perfetta dell’economia e della crescita economica, e dove un broker è molto spesso un semplice promotore finanziario o un rivenditore di polizze assicurative. Ma Palermo ha sempre vissuto di enfasi e di arrotondamenti per eccesso anche in fatto di carriere e di prestigi personali, e quindi ci sta tutto e ci sta anche questo, laddove l’ambizione di molti tutt’oggi è quella di entrare in un locale e sentirsi chiedere : ” il solito?“. Perchè ciò fa presenza, fa influenza, fa trend setting, e testimonia agli altri il fatto di esistere e di avere un peso pregnante nella vita pseudo patinata della città. Ma queste sono altre considerazioni, che scivolano in una analisi sociologica e comportamentale che è meglio lasciare dove sta. Parliamo di bar, e di migrazioni estive.
Non va benissimo neanche a Mondello, che i palermitani che riescono ad affittare una casetta in quel sito amano chiamare “Mondallo“, con la “e” più aperta del mare del golfo. Caflish toglie le tende anche da Valdesi, e diventa Bar Alba. Ma in piazza intanto, a meno di due chilometri dalla rotonda di Valdesi, si consuma il dramma di un altro locale storico: e va via il bar Renato, cedendo la piazza all’ Antico Chiosco che, oltre ad essere antico è anche molto datato. Lungo il percorso, brandelli di memoria pendono dalla mente dei più agèe che ricordano con nostalgia la Sirenetta ma che per fortuna ritrovano ancora la Latteria. Non esiste più Alagna e meno che mai Chamade, ma in compenso gli sciami impazziti hanno eletto a fissa dimora strutture precarie pregne di ordinaria sgarberia e supponenza.
E ora un’altra tegola si abbatte sui plotoni di palermitani che, al vertice di impegnate conversazioni oscillanti tra una falsa conoscenza gastronomica e la leggenda metropolitana, dissertavano delle arancine del Bar Alba, di piazza Don Bosco, stilando classifiche e dividendosi tra detrattori e sostenitori, sull’onda lunga di una sciocchezza nata molti e molti anni fa e che riguardava il ripieno delle famose arancine alla carne.
E’ strano come in questa città le idiozie assurgano al rango di verità storiche, laddove le cose vere ed edificanti vengano elegantemente ignorate e liquidate nello spazio di 24 ore. Ma tornando al Bar Alba, la notizia è che sia la sede storica che la succursale – che prese il posto del Caflish mondellano – chiudono. Perchè? Debiti, inimmaginabili debiti, sostanziosi, ingenti, insanabili. Mala gestione, cattiva amministrazione: e conseguenza inevitabile.
E dietro all’ennesimo scoramento dei miei concittadini che dovranno presto trovare un’alternativa valida ai loro pomeriggi impegnati a discutere del nulla assoluto, esiste sempre la solita piaga putrescente: i lavoratori, i loro stipendi non pagati, i loro arretrati e le loro aspettative disattese. Ora mi spiego la totale assenza di sorrisi e di garbo di alcuni di loro: ora tutto va al proprio posto ed ha una ragione d’essere. Chi potrebbe mai sorridere non percependo stipendio da quattro mesi e facendo fatica persino a mettere la benzina nella macchina per recarsi al lavoro? Un pazzo, un demente, uno scellerato. Non certo un lavoratore con famiglia a carico.
E così lo storico locale di Palermo cala per sempre le saracinesche, mentre la società di gestione ha avviato la procedura di licenziamento collettivo. Per il bar Alba si discute di debiti pregressi per svariati milioni di euro e stipendi arretrati trovati in eredità dalla vecchia gestione. Dal 24 febbraio è subentrata un nuovo organo amministrativo, che vede a capo il presidente Giuseppe Caronia, che ha soppiantato l’amministrazione Porcelli/Tarantino. Il nuovo Cda ha anche avviato un’azione di responsabilità contro i vecchi amministratori. “In questo mese di gestione – spiega al Giornale di Sicilia, Caronia – abbiamo provato a rimettere sul binario giusto le due attività, e la clientela se n’ è accorta. Ma di fronte ci siamo ritrovati una montagna di debiti e una gestione pregressa poco attenta. Finora abbiamo mantenuto gli impegni con i lavoratori, pagando stipendi e contributi, ma adesso la situazione è diventata insostenibile”.
Caronia aveva scritto ai sindacati per incontrarli e trovare una soluzione. Ma poi è arrivata la decisione di chiudere. “La convocazione è per la comunicazione di inizio della procedura di licenziamento – dice Monja Caiolo, segretario provinciale della Filcams Cgil – siamo rimasti spiazzati, perché pensavamo che la riunione servisse per discutere il rientro delle somme dovute ai lavoratori dalla vecchia gestione“. Questa è la storia: 50 dipendenti andranno a casa, e per i punti di piazza Don Bosco e Mondello è pure in atto lo sfratto esecutivo. Questa, anche questa, è la Palermo da cui i palermitani avveduti tentano di fuggire. Una città di arte, di sole e di mare, ma dove sole, arte e mare non bastano più.
Alessandra Verzera
Foto Roney di repubblica.it
Foto Alba – big slide – blogsicilia.it