Editoriale. La pubblicità è l’anima del commercio: e dei comunicati stampa ( falsi)

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pubblicitàE’ ormai da diversi mesi che, aprendo ogni giorno la posta, vengo letteralmente inondata di comunicati stampa falsi. Ed è ormai da altrettanti mesi che qualche collaboratore, a turno, mi pone la fatidica domanda: “ Direttore, che devo fare con questo CS?”.
La mia risposta è quasi sempre la stessa: cestinare. Al limite, girare al commerciale, che cestinerà a propria volta.
Tanti, tantissimi comunicati: molti dei quali falsi.
Perché falsi? Perché, specie con il mare magnum e le gran confusioni che nascono e crescono in rete e sui social, ricevere un vero comunicato stampa è raro quanto trovare un quadrifoglio in un campo incolto, soprattutto nel settore enogastronomico.
Tutto, specie la pubblicità, è ormai camuffata da comunicato stampa; da iniziative, eventi, convegni, seminari, conventions, dibattiti e simposi. Ogni azienda, di qualsiasi cabotaggio, ha un ufficio stampa o quantomeno un dipendente tuttofare che assolve anche a questa mansione. Ogni giornale ha però un ufficio commerciale. Ma le due cose sono antitetiche quanto il diavolo e l’acquasanta.
Insomma, le aziende hanno trovato un escamotage intelligente – ma solo nel breve termine – per pagare ( forse ) una sola persona ( il loro addetto stampa) e farsi fare pubblicità ( gratuita e sine die, secondo loro) da una moltitudine di giornali, magazine, riviste e pubblicazioni varie.
budgetAziende vinicole che diramano comunicati stampa sol perché hanno cambiato tappo, produttori di olio che strombazzano ai quattro venti la scelta di un nuovo labelling. Birrai con nuovi packaging. Una cosa che ha dell’incredibile. Guardi in giro andando a sbirciare tra le pagine dei tuoi competitors ( una volta li si definiva colleghi, ma ora la parola è demodè anche perché di “colleganza” non ve n’è, casomai c’è una competizione ai limiti della scorrettezza e del gioco a gamba tesa ) e vedi che hanno pubblicato il cambio del tappo o la rinnovata etichetta, o il nuovo brick.
Ed allora dici a te stesso che non puoi esimerti: ma il guaio è “cedere” la prima volta, come ho avuto modo di sperimentare. Una volta entrati nella rete di chi “ fa pubblicità gratuita”, il bombing diventerà costante e sempre crescente,  e fioccheranno comunicati stampa anche sulla scelta del nuovo tappo che però si è rotto, o della nuova etichetta che risulta troppo fosforescente, o del nuovo packaging che non convince e così via. La nouvelle vague poi prevede una serie di “recall” e di “save the date“: esterofilismi linguistici che non servono ad altro che a vedere “rilanciato” il proprio comunicato stampa più e più volte, fino al fatidico giorno del “bruschettaday” di turno. Oggi tutto si degusta,  ci avete fatto caso? Non si beve e non si mangia,  si degusta. Una gran trovata da parte delle aziende: qualche chilo di pane e qualche litro di olio; pubblicità massiva a costo quasi zero. La degustazione infatti ha sulla gente un appeal irresistibile. Peccato però che io abbia visto elementi assolutamente incompetenti, che probabilmente si sentivano investiti del ruolo di degustatori di rango, rischiare la morte per soffocamento nel tentativo assai grottesco di degustare olio d’oliva: e chi sa come si fa sa anche di cosa parlo. Aberrazioni.
budget2All’ allure dei finti comunicati stampa hanno ceduto anche le istituzioni che, a vario titolo, sostengono questo o quel produttore: una storia infinita.
Ma lo fanno anche i distributori: e la cosa riguarda in modo massivo proprio vini, bevande e cantine. Mi arrivano a cadenza quasi quotidiana falsi comunicati stampa di ben noti distributori che, di volta in volta, “pompano” questo o quello Champagne, questo o quel Whisky, non mancando di sottolineare che ne sono i distributori.
Ma, apoteosi del ridicolo, ho anche sotto gli occhi un comunicato stampa in cui un’azienda produttrice di latte da discount, fa un “lancio” irresistibile: cambiano veste grafica al brick da litro.
Sarebbe già ridicolo pubblicare una siffatta “notizia” anche se fosse a pagamento. Pubblicarla persino gratuitamente sarebbe addirittura squalificante. Mi metto nei panni di chi, per la pagnotta, è costretto a confezionare questo genere di comunicati stampa,  e mi assale la malinconia pensando a come si debba sentire un collega che tenta di coinvolgerti  e a che vile prezzo possa essere svenduta la professionalità.

Mi fa quasi male al cuore leggere, in calce a questi finti comunicati stampa,  ” con preghiera di massima diffusione” alcuni nanosecondi prima di cestinarli.
pubblicita_grandeE poi ci sono le cosiddette “ società di comunicazione e marketing” : una jattura, specie quando lo stesso comunicato te lo inviano sei o sette volte in stretta sequenza, forse per evitare che non arrivi al primo tentativo. Di solito costoro pubblicizzano i “mostri sacri” e sono quelli che prosciugano il budget: problema delle aziende, tutto sommato.
L’aspettativa è che tutti si corra a battere l’incredibile notizia rispetto al fatto che la tal cantina ha organizzato un “girobruschetta di primavera”: come resistere a cotanta cronaca?
E’ una battaglia persa in partenza.
Un tempo esisteva una cosa chiamata “redazionale”. Ed esisteva una policy ormai scomparsa: quando si teneva un convegno, un meeting, un briefing, un quel che vi pare, in un grande albergo di una qualche città – sparato sul comunicato a caratteri cubitali – nelle redazioni quella location diveniva soltanto “ un noto albergo cittadino” e se ne ometteva il nome, per “non fare pubblicità”.
Oggi la pubblicità viaggia sotto forma di comunicato stampa, in ogni possibile salsa.
E sia: bisogna adeguarsi ai tempi e ai codici comportamentali che ognuno si auto impone.
pubblicita3Poi arriva il redde rationem. Arriva il momento in cui dici chiaro e tondo alle aziende che, se intendono seguitare ad ammorbarti di comunicati stampa con la pretesa di vederli pubblicare ad ogni pie’ sospinto, dovranno pagare: una cifra sia pure simbolica, ma più che dovuta, e che sarà bene indicato ai lettori che si tratta di informazione a fini pubblicitari. Perchè, forse qualcuno ancora lo ricorda, è esattamente così che stila.
La risposta, gentile ma che non da adito a repliche, è “ abbiamo esaurito il budget pubblicitario”.
Ohibò, ma quanto costa un addetto stampa che confeziona comunicati falsi? Dove e come lo avete speso il budget?
E perché mai dovrei recensire un’etichetta copiando ed incollando il parere prezzolato scritto ed espresso da chi viene pagato per inviarlo alle redazioni? Perché devo valutare la bontà di un tappo se non l’ho mai avuto tra le mani né ho sperimentato che effetti abbia sulle caratteristiche organolettiche del vino? Perché dovrei rinunciare al mio diritto di critica?
pubblicità4Insomma, in estrema sintesi ed in soldoni: cose ne guadagno a fare da cassa di risonanza ad “articoli” già preconfezionati? C’è possibilmente chi si rende pago e soddisfatto ricevendo un “cambio merce” fatto di bottiglie o buoni cena, o brevi soggiorni gratuiti: noi no. Il mio giornale, e per esso tutte le persone che vi collaborano e che agiscono ed operano per nome e per conto mio, no. Nel mio giornale nessuno si azzarda a confezionare un redazionale tessendo le lodi di un prodotto mediocre facendolo passare per sublime. Nessuno confeziona un’intervista tornando in redazione con un salame sottobraccio. Anche dietro compenso, mi rifiuto di recensire in maniera entusiastica vini da “scaffale basso” del supermercato e prodotti parimenti scadenti. Alla richiesta di quel genere di redazionale la mia risposta è univoca ed internazionale: no. Si chiama “libertà” ;  concetto vagamente maltrattato e sempre più spesso asservito a logiche commerciali di dubbio gusto, insieme a vari altri concetti ormai in disuso.
Mi arrivano intere interviste false: con tanto di domande, risposte e virgolettati. Interviste a personaggi mai visti e mai conosciuti in cerca della solita facile visibilità. Perché il mio giornale, ed invero qualunque altro giornale, dovrebbe pubblicare interviste realizzate da altri a personaggi per lo più ignoti?
advertising1Ed allora sono entrata senza bussare nell’ufficio commerciale, non prima di aver fatto una capatina nella stanza dell’editore, ed ho deciso: sul mio giornale mai più pubblicità gratuita a nessuno e per nessuna ragione. Che tanto quello che io non pubblicherò più sarà visibile su decine di altre testate, con le stesse virgole e gli stessi punti. Non sarà mai più possibile tornare indietro a quando la pubblicità aveva un suo costo ( ed una sua efficacia), ma almeno, nel mio piccolo, mi adopererò affinchè non si diffonda ulteriormente, divenendo pratica comune e consolidata ancora di più di quanto già non sia, questa strana abitudine a pensare che gli altri lavorino per la gloria, o solo per potere avere il pregio ed il privilegio di  scrivere di questo o di quello. No, non va bene e non andrà più bene, almeno per me, per la mia redazione e per il taglio editoriale del mio giornale. Quindi, aziendine ed aziendone, d’ora in avanti astenetevi pure dall’inviare al mio giornale i vostri “comunicati stampa”: non ve li pubblicheremo, sic et simpliciter.
Sul mio giornale le recensioni sono sempre state, e sempre saranno, veritiere e basate sulla conoscenza diretta di aziende e prodotti, sia nel bene che nel male, e i nostri redazionali sono sempre stati, e sempre saranno, scritti da nostri redattori in base alla stessa conoscenza di cui prima. Punto.
Da domani la mia casella di posta mi ringrazierà per questa decisione: almeno lei. Io, dal canto mio, ringrazio anticipatamente tutte quelle aziende che hanno “esaurito il budget” e che vorranno usarmi la cortesia estrema di rimuovere il mio giornale e me medesima dalle loro mailing list.

Alessandra Verzera

3 Commenti

  1. Bellissimo articolo, sai come la penso… #coglioneno sia a chi vuole pubblicità gratuita e anche a chi offre visibilità, a giornalisti ed anche a blogger.

  2. Devo complimentarmi con il direttore per il coraggio che comporta scrivere un articolo del genere, innanzitutto. Quello che è stato scritto è assolutamente vero, ma nessuno lo dice per non rischiare di inimicarsi le aziende e di non rimanere tagliato fuori ( ma da che, in fin dei conti?). E’ la solita storia: tutti si lamentano tra loro ma nessuno ha il coraggio di farlo pubblicamente prendendo una posizione seria e netta. Se non altro per questa ragione questo bell’editoriale merita sicuramente un plauso. Purtroppo il malcostume descritto nell’articolo è sempre più diffuso ed il vero problema è che l’editoria non riceve sostegni economici da nessuno. In pratica fare i giornalisti, o nel caso degli editori gestire e mantenere un giornale, da molti è visto come un hobby, specie se lo si fa con scrupolo. Oppure, come ben evidenziato nell’articolo, si torna a casa con il salame sottobraccio. Oppure, come dico io, ci si deve mettere a braccetto coi politici per tentare di portare a casa qualcosa. Vorrei esortare Alessandra Verzera a farsi promotrice di una sorta di “movimento” che veda riconosciuta la dignità del giornalista e auspicherei che i colleghi (tranne quelli col salame sottobraccio o a braccetto coi politici) facessero da cassa di risonanza a questo articolo. Io sono un imprenditore, e dunque potrebbe anche farmi comodo che continuasse un certo andazzo: ma il mio pensiero è assolutamente in linea con quello del direttore, tant’è che la mia azienda non opera in questo modo. La pubblicità si paga: le notizie sono una cosa diversa. Ma oggi di notizie non ne girano più. E allora è giusto che chi vuol farsi promozione sfruttando il lavoro degli altri smetta di sfruttare e paghi. I miei complimenti al direttore per il coraggio della scelta ed anche all’editore, più o meno per la stessa ragione.
    Buon lavoro a tutti.

    • Gentile Andrea Alessi, innanzitutto grazie per le parole di apprezzamento nei confronti della mia persona. Il sistema di cui ho scritto è ormai talmente incardinato da essere diventato “regola”. Ognuno dovrebbe fare la sua parte, ma non la fa.
      Il fenomeno non riguarda però solo i giornali on line. Ci è capitato, qualche tempo fa, di chiedere ad un paio di aziende se intendessero sponsorizzare un evento sostendolo finanziariamente: ci è stato risposto ” preferiamo lavorare con i food bloggers”. Anche in quel settore infatti, esistono due “anime”: quella che dice ” se vuoi visibilità sul mio blog mi paghi” e quella che dice ” se almeno in cambio mi mandi dei prodotti va bene”.Esattamente la stessa cosa che succede in alcuni giornali on line, dove c’è chi si rifiuta di fare pubblicità gratuita e chi invece torna a casa con “il salame sotto braccio”. Per quanto ne so almeno i food blogger si confrontano anche vivacemente su questo argomento, e vi sono alcuni contrasti tra chi è contrario e chi è invece a favore del “salame sotto braccio”.Personalmente, in linea con l’editore, ho deciso di non ospitare più nessuna azienda a titolo gratuito, nè con banner promozionali che pure in varie riprese abbiamo offerto, nè con “articoli” confezionati ad arte per fare pubblicità. Ho scelto invece di prolungare il mio ringraziamento verso due strutture che hanno sostenuto ed ospitato il mio concorso enogastronomico Master Foodie 2014, continuando a tenere sul sito il ristorante Castello a Mare di Natale Giunta di Palermo ed il risotrante Minà di Coniglione e Bivona di Catania. Poi, il miele di Claudio Meli, un giovane uomo appassionato e volenteroso che merita un sostegno per l’ottimo lavoro che svolge praticamente da solo e che si sta affermando sul mercato grazie solo al proprio lavoro ed alla bontà del suo prodotto. Per il resto ho deciso di serrare i ranghi.Per chi avesse lamentele da esporre o per chi si sentisse leso da questa sorta di “embargo”, io sono sempre qua.
      Ancora grazie per il suo intervento e buon lavoro anche a lei.
      Alessandra Verzera

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