Antico Dolo – Venezia

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Venezia, un po’ come Roma, è una delle città più visitate al mondo

La sua unicità la rende irresistibile e, anche laddove ci si trovi davanti a splendidi ma degradati palazzi, si rimane sempre strabiliati dalla bellezza di certi dettagli, di certi decori, di certa atmosfera. Come in tutte le città di grande richiamo turistico anche a Venezia esistono locali che servono cibo “veloce”, da consumare tra una passeggiata e l’altra, possibilmente senza appesantirsi troppo poiché a Venezia l’imperativo categorico è “camminare”. Naturalmente i veneziani si sono adeguati : lo street food comprende una moltitudine di possibili gusti per accontentare quanti più palati sia possibile di gente proveniente da ogni angolo del mondo. Non mancano ovviamente neppure  le botteghe del kebap, delle pizze e delle focacce in ogni forma e con qualsiasi tipo di farcitura.
Esistono ovviamente anche ristoranti di alto livello, appannaggio dei veneziani e di pochi turisti più facoltosi: tra i due estremi, alcune osterie che si collocano in posizione strategica. Noi, in questa linea, abbiamo scelto l’Osteria Antico Dolo. Eravamo in due:unici italiani. Il resto dei commensali, parecchi, erano americani, francesi, inglesi e spagnoli. Un crogiuolo di lingue e gusti che conferisce a questa piccola osteria un carattere cosmopolita di internazionalità insospettabile.
La serata era decisamente fredda ed anche umida. Varcare la soglia dell’ Antico Dolo ci ha fornito ristoro immediato. Il tepore e l’odore non fastidioso di cibi diversi hanno una presa immediata ed un effetto di benessere istantaneo.  Il locale è stretto e lungo: passando per il corridoio, ingolfati da sciarpe e cappotti, si sfiorano i commensali che stanno già seduti, si può inciampare nelle borsette parcheggiate ai lati delle sedie: ma ci si sorride tutti. Dopo qualche acrobazia e qualche virtuosismo ginnico si riesce a sfilare via i cappotti e ad appenderli all’appendipanni. Dopodichè ci si conquista il tavolo: piccolo, molto piccolo. Apparecchiato con tovagliato bordeaux che si intona perfettamente al tono del locale. Molto legno, paioli in rame appesi dappertutto, stampe, foto, tendine in pizzo ed altri oggetti che decorano le pareti. Il risultato di cotanta accozzaglia è rilassante e conferisce intimità. Il sommesso brusìo multilingue di sottofondo ti dice che potresti essere in qualunque posto del mondo. A ricordarti che sei invece a Venezia ci pensa immediatamente dopo una cameriera deliziosa dal sorriso aperto e dalla cadenza tipica della “Serenissima”. Questa ragazza dalla lunga coda di cavallo è evidentemente contenta del suo lavoro che, anche a quell’ora tarda, svolge con entusiasmo e buon umore: si mangia anche con queste sensazioni. Ci si predispone a consumare un buon pasto anche facendo il pieno di sensazioni positive accumulate ancor prima di aver letto il menu.
Mi lancio all’avventura e ordino dei “cicchetti”. I cicchetti sono sostanzialmente costituiti da finger food. Sono una via di mezzo tra aperitivo ed antipasto. Fanno parte della tradizione veneziana ed assomigliano alle famigerate “tapas” spagnole. Un calice di vino ed una selezione di cicchetti. Vengo invitata al banco a scegliere i miei cicchetti preferiti: scelgo uno di tutto, esagerando. Il mio compagno di cena fa altrettanto. Arriva un vassoio ellittico con gamberi fritti, involtini di melanzane, mozzarelline fritte, zucchinette ripiene, olive ascolane, insalatina di polpo, qualche verdurina in tempura. Niente di nuovo sotto il sole, fin qui: tutto abbastanza buono ma già ben sperimentato. Poi però sbucano due specialità del posto: il baccalà mantecato al latte adagiato su un letto di polentina bianca ed una polpetta fritta non meglio identificata ma che scopro essere fatta di patate e tonno. Di sublime delicatezza il primo e di gusto stuzzicante la seconda. E qui mi accorgo del mio errore: mi sono riempita di cibi che conoscevo già lasciando per ultime le novità. Arrivo al baccalà che sono già sufficientemente sazia ma malgrado ciò lo godo molto. E’ decisamente ottimo. La polpetta fatica a trovare spazio nel mio stomaco: è grande. L’unica ragione per cui sono stata in grado di non lasciarla nel piatto era la sua notevolissima bontà.
Avremmo dovuto fermarci a questo. Ed invece poco dopo sono arrivati i primi piatti: gnocchi alla zucca per il mio compagno d’avventura e gnocchetti al gorgonzola per me. Il mio commensale, grande conoscitore ed estimatore di tortelli, gnocchi e quant’altro sia preparato con la zucca, assaggia il suo primo. Lo osservo giocherellare con la forchetta, spostando da un punto all’altro del piatto i suoi gnocchi. Li infilza e li solleva: li gira e li rigira. Li guarda. Li rimette nel piatto, li intinge nella loro salsetta. Lo conosco abbastanza da capire che non gli vanno molto a genio. Non ho torto. Al terzo assaggio mi comunica che sono molto blandi, che sanno di poco. Intendo verificare personalmente e tuffo la mia forchetta nel suo piatto: aveva ragione, come gli capita spesso di averne. La sensazione è di qualcosa di colloso in bocca senza un particolare costrutto, quasi un’incompiuta in attesa ancora dell’ingrediente decisivo che gli dia corpo. Potrebbero essere palline di crema molto densa, come potrebbero essere qualunque altra cosa. Non hanno sapore. Mancano di sale: ma il sale, da solo, non produce alta cucina né cucina accettabile. A quegli gnocchi, molto pastosi e farinosi, mancava la zucca di buona qualità.
Il mio occhio ancora prima del mio palato si accorge che i miei gnocchetti al gorgonzola non saranno eccelsi. Il gorgonzola precedentemente fuso è molto grumoso ed il piatto risulta asciutto. Il condimento è poco e troppo denso, privo di umidità che renda gradevole la manteca. Il tutto risulta dunque colloso e si attacca alla lingua ed al palato. Il mio commensale lascia nel piatto due o tre gnocchi alla zucca. Io lascerò tutti i miei gnocchi al gorgonzola, tranne tre o quattro. Peccato.
Il dolce non mi entusiasma neanche. La mia idea di tortino di cioccolata è diversa da quella che mi è stata servita: io mi aspetto un cuore morbido, se non liquescente, ed invece questo tortino era del pan di spagna al cioccolato caldo cosparso di zucchero al velo e con una coulis di cioccolata piuttosto “avara” a bordo piatto. Anche il tortino risulta pastoso e di difficile deglutizione, poco fluido.
Buoni i vini della casa, sia il rosso che il bianco.
Il conto, sostenuto, è stato di circa 70 euro.
Tornerei, come sono in effetti tornata, all’ Antico Dolo, limitandomi però ad una portata. Le porzioni sono abbondanti e conviene non eccedere. Tornerei anche per l’atmosfera ed il servizio, oltre che per la posizione, ed opterei per i piatti tipici della zona, di cui il baccalà al latte su polenta bianca è di sicuro uno di quelli da ripetere.

And just because we aren’t getting married as often as we used to ineedbride doesn’t mean we aren’t still dating. Read More I was on this cruise as part of a hosted singles cruise with a group of over 1 people.

Alessandra Verzera