'A Cuccagna – Palermo

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Sono tornata a cena all’ ‘A Cuccagna dopo circa vent’anni dalla mia ultima visita. Dire che tutto è rimasto come allora potrebbe sembrare altamente elogiativo dato che l’allora giovanissimo Carmelo Sammarco faceva furore partecipando anche a trasmissioni televisive dedicate  piazzandosi benone e conseguendo riconoscimenti e premi, e che il locale era un “trend” a Palermo. 

La “scuola” era allora quella di papà Francesco Paolo, fondatore della trattoria e mentore del figlio.Purtroppo però, nel corso degli anni, sono successe varie cose: Francesco Paolo Sammarco non c’è più, e questa è la prima triste nota al di la di ogni valutazione gastronomica. E’ successo anche che i gusti e le tendenze siano cambiati e che la gente, come spesso accade, abbia un po’ “tradito” quel carattere di assiduità con il quale vent’anni fa si ritrovava intorno ad un tavolo a gustare le preparazioni alla fiamma del giovane Carmelo. Ricordo in modo indelebile, tra tutti i piatti che allora consumavo con grande soddisfazione, un filetto al gorgonzola alla fiamma che era una squisitezza.

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Lo ordinavo regolarmente, staccandomi da quello che allora era il filetto per antonomasia: e cioè quello al pepe verde. ‘A Cuccagna oggi purtroppo è un locale decaduto,alla ricerca di nuova clientela e di nuovi spazi. Ma la prima cosa che dovrebbe ricercare, a mio modesto avviso, è nuova freschezza. Il locale ha bisogno di un lifting severo e drastico. Gli arredi e i decori sanno di stantìo, di demodè: ed in effetti sono decisamente fuori moda, un po’ trascurati, eccessivamente “vissuti”. Anche lo sfondo musicale, a meno che non sia di un certo livello ed inserito in una certa cornice, non va più: mi stanno bene Mozart e Chopin, se sto però cenando nel salone adibito a ristorante di lusso di un castello. La musica di xilofono e flauto però non mi sta bene mai: anzi, mi rovina l’appetito. Poi credo che occorrerebbe fare una scelta di gusto, se non di stile: trattoria o ristorante? Va benissimo rimanere legati all’idea della trattoria ma, in questo caso, niente uniforme e livrea per il personale. E’ un pugno in un occhio, è un falso. Saprei bene cosa fare di quel locale. La parola d’ordine sarebbe “rinnovare, rinnovare, rinnovare”. Con una posizione decisamente strategica, con dimensioni e capacità ricettive notevoli, con una tradizione gloriosa alle spalle, questo locale meriterebbe tinte chiare, ariose, nuove tende e nuovi “arrangements” di luci e colori. Più che di un nuovo Chef avrebbe bisogno di un energico Interior Designer. Questo se vogliamo guardare all’aspetto estetico della questione. Ma sediamoci a tavola e speriamo che anche la cucina sia rimasta quella di vent’anni fa. Eravamo in due, io e il mio ospite. Ed eravamo anche gli unici avventori del locale: il che di per sé normalmente scoraggia un po’. Ma era un giorno feriale a ridosso delle grandi abbuffate natalizie e la serata era fredda e umida. Ci può stare che la gente consumasse avanzi  e panettoni in casa propria. Poco dopo però arriva una coppia matura.

Dopo ancora due signore, mature. E quindi capisco che l’avventore tipo di quel locale è un “aficionado” che magari torna da decenni. Via la coppia matura, arriva un terzetto. Si sta apprestando a cenare poco distante da noi anche  il giornalista e regista Ugo Gregoretti, personaggio di primo piano nel panorama culturale italiano,  in compagnia di una giovane coppia e sembra soddisfatto. Un punto a favore di questo storico locale. Un punto che ne vale almeno cinque. Gli antipasti del buffet però smorzano sul nascere la mia speranza di ritrovare invariata anche la cucina. I fritti sono gelidi, ovviamente, e scaldarli è un’operazione ardita se la frittura in origine non era perfetta. Supplì, crocchette e piccoli arancini risultano pressochè immangiabili dopo essere stati scaldati: il rilascio di olio che inonda il piatto è disgustoso, così come l’effluvio untuoso che si sprigiona. Peccato. I cubotti di frittata con le verdure reggono invece molto meglio e sono molto gustosi. La caponata risarcisce ancora un po’ le papille: peccato che le melanzane siano leggermente amarostiche. Il che non è colpa di nessuno. Ma conservo ancora una speranza che renda la mia serata meritevole di qualcosa da ricordare: quel filetto al gorgonzola di tanti anni e tante cene fa, chissà… Lo chiedo: lo fanno. Lo ordino. Arriva: lo mangio. Ebbene, anche se la fiamma è solo un ricordo ed anche se molta di quell’atmosfera si è persa, quel filetto al gorgonzola – a mio parere – rimane il migliore di Palermo. La carne era di una tenerezza assoluta – e non è mai scontato neanche trattandosi del taglio più tenero per antonomasia. La salsa al gorgonzola era delicatissima, vellutata ed adeguatamente avvolgente. Non scivolava sulla carne né la impastoiava: la vestiva delicatamente con una consistenza indovinatissima. Ottimo ed abbondante piatto di ottima carne. Direi che, forse per via di un salto indietro nel tempo ai giorni della beata gioventù, forse perché le papille – così come i timpani e le pituitarie– spesso ci restituiscono sensazioni antiche e meravigliose con dei flashback impagabili, all’ A Cuccagna tornerò ancora: e ci tornerò sempre e solo per quel filetto. Non mi occorre sperimentare altro, poiché uno dei miei piatti preferiti in assoluto trova nella cucina di Sammarco – a mio avviso –  la sua massima espressione.

Alessandra Verzera

 

“A’ Cuccagna” si trova in  Via Principe di Granatelli, 21a, 90139 a  Palermo 091 587267 ‎

Una scelta di gusto è : una visita, in orari di negozio, ai Peccatucci di Mamma Andrea, giusto dall’altra parte della piazza.