VINITALY: UN POZZO DI SAN PATRIZIO

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Conviene davvero a un’azienda del vino pagarsi uno stand al Vinitaly? La domanda sorge spontanea.

Anzi, risorge spontanea perché da qualche anno un numero sempre maggiore di imprese del settore, mormora, borbotta sottovoce. In qualche caso prende il coraggio a due mani e pubblicamente dichiara che diserta. Ultima in ordine di tempo, la marsalese Pellegrino: non una piccola casa, stavolta, ma una grande azienda la cui scelta è destinata a far discutere. E riflettere. “Vinitaly? Non è più una fiera del business”, ha motivato qualche settimana fa, Emilio Ridolfi, direttore commerciale Italia, rendendo nota la scelta della casa. Cos’è allora la kermesse veronese? “Una manifestazione per le pubbliche relazioni che ha un costo elevato, un grosso peso sul bilancio, non ne vale la pena”. Il punto è che disporre di uno stand alla fiera di Verona, non costa mai meno, nella migliore delle ipotesi, di 20 mila euro. Perché al costo degli spazi, anche se minimi, bisogna aggiungere quelli per progetto grafico, hostess, personale, viaggio, vitto, alloggio, transfert. Ancora, per eventuali iniziative ed eventuali ospiti. Insomma, un bell’investimento che in tempi di pesanti manovre nazionali, mercato asfittico e recessione in marcia, più che una sfida diventa una scommessa vera e propria. Per questo la scelta politica di Pellegrino rinfocola il dibattito, che non può fermarsi, però, al tema del viaggio nella città di Romeo e Giulietta. La questione sul tavolo riguarda le forme e gli strumenti migliori del marketing e della comunicazione delle aziende. Al tempo della globalizzazione. Come dire: meditate gente. Meditate.

 Umberto Ginestra

 

 

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