A “paista chi saiddi”, pasta con le sarde, e le sue tante varianti: da piatto povero a inganno, da gusto di mare a sapore di raccolta tra i campi, in selvatico incontro per quel finocchietto che in buona parte del globo non viene nemmeno raccolto. A Palermo è storia, povertà in tasca e ricchezza in cuore, è una pasta che per San Giuseppe non può mancare e per il resto dell’anno si fa desiderare (Ti.Ni.)
Un piatto tipico e tipicamente presentato sulle tavole siciliane, nella consapevolezza che il buono non sempre è costoso. Quando mancano le sarde fresche, ovvero i denari per comprare pesce e altro cibo, che si fa? Il Palermitano settecentesco come quello odierno si adopera per far bella figura, perché apparire in tavola vuol dire ostentare benessere, ed ostentare è legge d’una tradizione volta a lavare i propri panni tra le casalinghe mura. È un piatto povero, anche se oggi fa parte dei menù di ristoranti dai nomi altisonanti e frequentati da uomini in vestito e donne vestite di brillocchi (ingioiellate).
Questa pasta ha radici vecchie e sapori sempre nuovi, in ogni casa la si adatta alle proprie esigenze di tempo e di gusto, di spesa. E diventa pasta ca’nciovi, perché si usano le acciughe al posto di sarde e finocchietto. Diventa pasta ca’ munnizza (pasta con l’immondizia, affettuosamente detta, in quel di Catania e Messina, per via della scarsità di sostanza) quando le sarde non compaiono proprio, restano a mare, e il finocchietto selvatico è l’unico protagonista.
Le passoline ed i pinoli, un ingrediente dal carattere agrodolce condotto sull’isola a seguito dell’araba dominazione, sono il classico gusto che in questo tipo di cucina non manca. Il finocchietto selvatico è il contorno di campi coltivati, è lo scarto di chi non ne ha mai provato essenza. Le sarde sono cibo per altri pesci, talvolta perfino rigettate in mare dai pescatori per la povertà che sembrano portare, sono ritenute grasse e poco gradevoli da quei palati non abituati alla salsedine. Eppure, la miscellanea di questi umili elementi sancisce un patto che dura da molti e molti lustri a moltiplicare il tempo come già i pani e i pesci nell’inventare cibo dal poco o nulla.
Il finocchietto selvatico trova spazio già nell’antica Roma, Apicio pare lo utilizzasse per aromatizzare il pesce e la trovata non è tramontata e poi i semi prodotti dalla pianta entrano in cucina, in quella Siciliana in massima parte, per condire altri cibi. Si tratta dei semi di finocchio ingranato, una spezia utile in campo erboristico nello stimolare la digestione. Tali semi si avvertono nei condimenti della salsiccia e talvolta nel pane o in alcuni biscotti.
Tra pesce, verdura, frutta, pasta e pangrattato, l’alimento risulta completo e bilanciato. È una pasta che nasce tra le mura di una città che guarda il mare – Palermo – e si trasforma seguendo le esigenze e vive ancora, perché estremamente versatile nel poter essere gustata calda, tiepida o fredda, o rimaneggiata al forno qualora ne resti. Quando arrivano le sarde, con il pescato, si procede ad “allinguarle” ovvero ad aprirle a libro eliminando la lisca, si accostano al resto della ciurma e si lasciano salpare in quel condimento ben conosciuto. Se mancano del tutto, la pasta diviene con le sarde a mare e il finocchietto la farà da padrone sostituendo nel gusto l’assenza del pesce. Ma in linea di massima ogni dispensa isolana reca in grembo un vasetto di sarde sott’olio, del concentrato di pomodoro, gli ingredienti base e tutto ciò che segue sarà un sughetto con cui vestire pasta lunga, se non bucatini, maccheroni, ziti o linguine, e dare vita alla versione ancor più economica di una pasta ca’nciovi.
Nella borsa della spesa:
250 g di Linguine
4 filetti di alici sott’olio
50 g di Concentrato di pomodoro
1 spicchio d’Aglio
1 cucchiaio di Passoline e pinoli
2 cucchiai di Pangrattato
Olio evo, Sale e Pepe q.b.
Vi racconto il “come fare”:
Mondate lo spicchio d’aglio e tagliatelo a pezzetti piccolissimi, se preferite usare solo l’aroma dell’aglio lasciate lo spicchio intero in modo da poterlo allontanare dopo rosolatura. In un tegame fate scaldare un cucchiaio di olio evo e soffriggetevi dentro i pezzettini d’aglio, aggiungete i filetti d’acciuga e appena questi si saranno sciolti, aggiungete il concentrato di pomodoro e mezzo bicchiere d’acqua. Coprite il tegame e lasciate cuocere qualche minuto, fin quando riprenderà il bollore. Mettete sul fuoco una pentola con dell’acqua e portate a ebollizione. Scoperchiate il tegame con il sughetto, mescolate e aggiungete passoline e pinoli, aggiustate se necessario di sale e pepe e lasciate cuocere senza coperchio, a fiamma bassa, in modo da far restringere il sughetto. In una padella mettete un filo d’olio e tostate il pangrattato. Al bollore della pentola, salate l’acqua e buttate la pasta quindi cuocete per il tempo indicato in confezione o secondo il vostro gusto (io amo la pasta rigorosamente al dente). Appena cotte, scolate le linguine, spegnete il fuoco al sughetto e usatelo per condire la pasta. Servite subito cospargendo le linguine con una manciata di pangrattato tostato.
Tiziana Nicoletti