La Caponata di melanzane, la sua origine e ciò che forse non sapete ancora

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caponata vaso di vetroPoche preparazioni gastronomiche tradizionali accendono dibattiti ed animi quanto la Caponata. Questo piatto, più indicato come antipasto ma impiegato anche come contorno e talvolta anche come piatto unico, suscita sempre molto interesse e curiosità, specialmente per quanto riguarda la sua origine e quindi il suo etimo. Ipotesi tra le più disparate, più o meno documentate o documentabili. Quest’oggi percorreremo l’interessante analisi di Luigi Milanesi, medico per professione e grande appassionato e studioso di etimologia della lingua siciliana  nonchè Consultore dell’ Accademia Italiana della Cucina di Milano.

Milanesi parte proprio dall’ etimologia della Caponata:

Capunàta, f., etimo grec., capto = tagliare, lat., capulare = fare a pezzi, etimo afgana kaupona, spagn., caponada (termine documentato nel 1709 ed indicava un piatto catalano simile alla capunata), nota gustosa pietanza, una volta preparata esclusivamente in famiglia a base di melenzane soffritte, salsa, capperi, sedano, olive, cipolla, aglio, aceto e pepe variamente dosati.

caponata-siciliana-melanzaneChi si appresta a mangiare una caponata non lo sa, ma questa specie di “ratatouille” di pezzetti di melanzane, capperi, mandorle, sedano, cipolla e pomodori è pressochè identica ad uno dei piatti base della cucina afghana” – racconta Milanesi. “Il tocco unificante è dato dall’agrodolce, un sapiente mescolare di aceto e zucchero per stuzzicare le papille gustative del più stanco dei mariti di ritorno dal lavoro in campagna. Nella cucina dell’Occidente dell’isola, l’agrodolce, ma anche il dolce salato, sono impronte sapientemente elaborate delle cucine di corte marocchine ed allo stesso tempo di quelle persiane di gusto arabo. Cucine urbane, di sedentari che hanno scoperto che oltre alla fame esiste l’appetito (TP)”.

Varie e molto accreditate sono le opinioni di altrettanti studiosi di gastronomia siciliana e non, che Milanesi ha riunito per offrire una visuale quanto più ampia possibile di questa affascinante preparazione. Riporta Milanesi:

caponata in legnoFrancesca Poidomani, Questore Aigs Ragusa, ricercatrice della storia e delle ricette tipiche del territorio ibleo e appassionata creatrice di nuove ricette mirate all’uso esclusivo dei prodotti del luogo. scrittrice del libro “ Il cibo degli Iblei” Officine Creative Editore e consulente enogastronomica, scrive :

Sono tante le scuole di pensiero che ci riportano alla parola Caponata. Qual è quella corretta? Senz’altro bisogna fare un salto nel passato per scoprire le sue origini e quale sia il suo significato.
A) La più antica e quella che potrebbe darci il significato diretto, affine alla maniera di tagliare le verdure è senz’altro quella greca, – Captos o Capto ossia tagliato. Effettivamente la caratteristica della Caponata è proprio la presenza di svariate verdure tagliate a pezzi più o meno della stessa misura, in riferimento alla varietà delle verdure. La Caponata che noi tutti conosciamo, solo nella nostra isola presenta 37 varianti. Diffusa in tutto il Mar Mediterraneo, è generalmente utilizzata come contorno o antipasto, ma sin dal XVIII secolo costituiva un piatto unico, accompagnata dal pane. B) Un’altra scuola di pensiero ci riporta a quella latina, Caupona o Cauponium ossia osteria. L’osteria effettivamente non è un luogo da sottovalutare, perché riconducibile a  quel posto di ritrovo di tutti i marinai che stanchi dal lavoro, andavano a bere un bicchiere di vino e a mangiare un pezzo di pane tostato condito con aglio, olio, olive, capperi e acciuga. Cibo povero, ma di particolare soddisfazione. C) Nulla da ridire sull’altra ed ultima supposizione, ossia quella derivata da Capone, inteso come pesce Lampuga, con il quale si realizzava una zuppa di pesce e verdure condite in agrodolce e che secondo alcuni sarebbe la caponata degli aristocratici. Riflettendo sulla modalità di esecuzione della Caponata è ovvia la crescita gastronomica legata alle diverse dominazioni che nel tempo sono state presenti in Sicilia e che hanno lasciato la loro impronta gastronomica: Greci, Arabi, Romani, Francesi. Qual è la verità? Non sappiamo cos’altro riusciremo a scoprire tra le poche memorie scritte dai gastronomi antichi, certo è che la Caponata sia essa Catanese, Palermitana, Trapanese, Ragusana, soddisfa sempre tutti e si realizza con l’uso delle più svariate verdure rigorosamente fritte e insaporite con aceto, zucchero e frutta secca. La presenza del capone nella caponata siciliana è però quasi esclusivamente una tradizione palermitana, che troviamo specialmente nella cucina dei Monzù ed è presente raramente in altre zone della Sicilia; questo tipo di ricetta oggi è caduta praticamente in disuso.

caponatagenericIn riferimento a quanto detto lo storico palermitano Vincenzo Mortillaro nel 1853 ne parla come un “manicaretto appetitoso” e nel suo Dizionario Siciliano-Italiano la descrive così: “pesce, petronciane (antico nome delle melanzane, nda) o carciofi ed altri condimenti, si mangia per lo per lo più fredda, o tra un piatto e l’altro per tornagusto, o dopo i primi piatti caldi” . Esistono infatti innumerevoli varianti della caponata siciliana, con sostanziali differenze determinate sia dall’area geografica di provenienza della ricetta sia dalle singole tradizioni familiari, che rispecchiano a volte lo spostamento di qualche membro di una famiglia, per matrimonio o altre ragioni, in una zona diversa.
Pino Correnti, illustre gastronomo, in un suo libro sulla cucina siciliana, il primo documento scritto che fa riferimento alla caponata è l’Etimologicum Siculum di S. Vinci, che nel 1709 la definisce molto genericamente “acetarium et variis rebus minutium conficis”, cioè “insalata e varie piccole cose preparate”.
caponata slideMichele Pasqualino, nei suoi due volumi del Vocabolario Etimologico del 1785 descrive la Capunata: dalla voce latina caupona = osteria in cui si usa una tale insalata per lo più cotta , condita di diversi salumi o acetaria condita.
Daniele Maestri, illustre gastronomo, scrive: “Secondo una linea di pensiero che dal gastronomo Apicio (I sec., d.C.) passa alla cucina baronale di età barocca, e poi ai “monzù” borbonici, anche nella Persia sasanide e nell’Arabia preislamica, l’agrodolce non è che il riflesso culinario degli opposti principi zoroastriani di sole e luna, bianco e nero, caldo e freddo che bilanciano il dualismo tra bene e male, tra menzogna e verità del mondo. Sia pure con innumerevoli varianti, la ricetta va assumendo i connotati attuali solo a fine Settecento-inizi Ottocento, quando si generalizza l’uso della salsa di pomodoro.
Nella “Singolare Dottrina” di Domenico Romoli detto il Panunto (1560), descrisse il passaggio evolutivo della caponata di pesce a quella a base di verdure. Per quanto riguarda il nome, è abbastanza difficile risalire alle sue origini. Nel libro si ritrova una ricetta arcaica della Caponata di melanzane, ortaggio introdotto in Sicilia dagli Arabi nel IX-X secolo; tra gli ingredienti vi sono sedano, capperi e olive, e l’agrodolce all’uso antico di aceto, zucchero di canna, uva passa e pinoli sostituisce il pomodoro, già noto, ma non ancora entrato nell’uso. Quanto alle melanzane, il loro impiego prevalente è cosa recente.
caponata siciliana con paneScrive Valentina Coppola : “le origini della caponata sono controverse. A partire dal 1700, la caponata, per la sua corposità, veniva consumata come piatto unico, accompagnata dal pane. Oggi è solitamente preparata come contorno. Originariamente, gli aristocratici erano soliti consumare una caponata a base di pesce, vera delizia per il loro esigente palato! Col tempo il pesce venne sostituito dalle melanzane, in quanto i ceti popolari umili, non potevano permettersi di acquistare pesce pregiato. Due sarebbero le tesi più attendibili: secondo la prima, il termine caponata deriva da “capone”, pesce dalla carne pregiata ed asciutta (oggi chiamato lampuga) condito con salsa agrodolce. Secondo la seconda tesi invece l’etimologia sarebbe riconducibile a “caupone”, termine che indica le taverne dei marinai, i quali erano soliti fermarsi in questi luoghi di ristoro.”

milanesiIn conclusione, dalle fonti e dagli illustri gastronomi e cuochi si evince che l’etimo è molto antico e che quasi certamente nasce da una cucina povera composta da verdure e solo successivamente intorno al 1500 quando, il titolo di Monsù si dava ai cuochi di casata, cioè a quanti avevano il privilegio di servire in case patrizie, arriva la presenza del pesce nella caponata siciliana che è però quasi esclusivamente una tradizione palermitana” (Monsù fu un appellativo, derivante dal francese Monsieur ovvero Signore, nda) – ribadisce Milanesi.” Oggi sappiamo che della Caponata esistono più di 37 varianti. La variante palermitana, la più semplice è la più antica, con melanzane, olive verdi, sedano e salsa di pomodoro, quella catanese che prevede l’aggiunta dei peperoni, l’agrigentina anch’essa con i peperoni ma con le olive nere e non verdi, quella messinese, molto simile alla palermitana, con i pomodori a pezzi invece della salsa.; quella trapanese con peperoni, cipolla rossa, carote, pomodori tagliati a tocchetti e melanzane rotonde. Le patate, i pinoli, l’uvetta, le mandorle tostate possono essere presenti o meno nelle varie ricette.
Vi do la Ricetta della versione classica: tagliate a dadi quattro belle melanzane nere con tutta la scorza, mettetele in un colapasta, salatele abbondantemente, pressatele con un coperchio ed un peso e lasciatele così per qualche ora, in modo che perdano il loro liquido amaro. Affettate finemente 2 cipolle e soffriggetele in olio. Quando saranno trasparenti, unite 2 pomodori pelati, senza semi e tagliuzzati. Dopo qualche minuto alla salsa aggiungete 200 gr., di olive bianche in salamoia, tagliate a pezzi, 150 gr., di capperi dissalati, 2 cuori di sedano ben lavati ed anch’essi tagliati a pezzi. Aggiustate di sale e lasciate cuocere a fuoco basso. Passate un attimo sotto l’acqua corrente le melanzane, asciugatele e friggetele. Unitele alla salsa e cuocete ancora per qualche minuto. Completate con 1 cucchiaio e mezzo di zucchero ed un bicchierino di aceto di vino, mescolate e lasciate raffreddare. Se la mangiate l’indomani è ancora più saporita.”

Alessandra Verzera

 

Credits:

Ricerca storica e testi : Luigi Milanesi

Contributi: Francesca Poidomani, Valentina Coppola

Foto: Fulvio Papagallo,  archivio e web

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