Palermo spesso nasconde angoli e scorci di grande bellezza, di rasserenante tenerezza, di dolce romanticismo. Come nel caso di questo locale, “strappato” al caos cittadino del centro città ed elegantemente accomodato in un giardino interno carico di profumi, di luci soffuse, di musica appena di sottofondo e delicatamente percepibile, di arredi sobri ed eleganti nella loro ricercata semplicità e con un’atmosfera idilliaca. Acanto si trova in via Torrearsa, una delle traverse di Viale della Libertà: meta ideale per un lunch o un’ottima cena anche, perchè no, dopo una giornata di shopping. Noi siamo in due ed arriviamo tardi: ma la voglia di guardarci intorno e di godere della bellezza e dei profumi del giardino ci fa dimenticare, o perlomeno piacevolmente procrastinare, la prima lettura del menù. Ma intanto arriva l‘entrèe dello chef, che è quanto di più tradizionale sia mai esistito sulle tavole palermitane, reinventato con guizzi di innovazione semplici ma assolutamente efficaci: una crocchetta di latte all’aroma di limone su crudo di gambero e sarda “allinguata” su un letto di marmellata di limone. Una delizia che predispone al meglio verso ciò che seguirà. Il menù è equilibrato, con un numero ed una varietà interessante di portate. Iniziamo con una vellutata di patate aromatizzate all’agrume, vongole e fagiolini. Benchè l’estate non sia il periodo ideale per potages, creme e zuppe, questa veloutè si gusta con estrema facilità e con grande compiacimento, grazie alle note agrumate che sdrammatizzano, rinfrescano ed esaltano i gusti al palato. Scopro con piacere che gli agrumi, ed i limoni in modo particolare, sono un comune denominatore di molti dei piatti di Acanto, con mia grande soddisfazione. Il primo piatto è, ancora una volta, uno spaghetto quadrato ai ricci di mare e bottarga: e qui occorre che io apra l’ennesima parentesi. Scettica sia rispetto al formato della pasta,sia rispetto alla ” contaminazione” dei ricci di mare a cui è sfrontatamente aggiunta la bottarga, sono forse leggermente prevenuta. Ebbene, quel piatto di spaghetti ai ricci di mare e bottarga è una espressione elevatissima di alta cucina e di felice “contaminazione” in cui gli elementi sono intanto di primissima scelta e soprattutto dosati alla perfezione e maneggiati con estrema cura. Il tutto risulta in un sugo cremoso, nappante, avvolgente di una bontà assoluta e dal profumo unico. Davvero un ottimo piatto anche per i più rigidi “conservatori” degli alimenti in purezza, in cui le note fortemente sapide della bottarga si attenuano, sposandola, con la dolcezza di un riccio di mare freschissimo, creando un connubio irresistibile. Ed il merito è anche della pasta stessa, della migliore qualità, porosa e ruvida al punto giusto tale da “catturare” il sugo, e di un gioco di emulsioni che denota notevoli capacità tecniche. Su questo piatto, più che su tutti gli altri, mi sono immediatamente espressa con lo chef, vagamente preoccupato del mio scetticismo. Sublime. Se è possibile fare l’amore con un piatto di pasta e sentirsene totalmente conquistati, questo è esattamente “quel” piatto di pasta. Chapeau. I secondi non sono certamente da meno in questo posto in cui, si è intuito già dalla delicata entrèe, il livello è decisamente alto. Così ci vengono serviti due piatti splendidi: salmone selvaggio d’ Alaska su un letto di fagiolini e gocce di soya, e trancetti di spada su un bagnetto di zuppettadi bufala e fiori eduli. Il salmone era squisito, con le sue carni dal colore corallaceo tipico del salmone selvaggio, umide, morbide ed estremamente delicate. Un piatto semplice la cui gradevolezza poggia tutta su una materia prima di eccellente qualità cotta sapientemente per il tempo che occorre, nè più e nè meno. Più impegnativo lo spada con la sua spuma di bufala: un piatto di struttura, ricco, gustoso, sapido e che abbatte l’imperituro tabù che non vorrebbe il formaggio accostato al pesce. A determinate condizioni, come questa, ben vengano questi accostamenti fuori dal comune, se questo è il risultato. Sicuramente un piatto da provare, che viene proposto anche con la ricciola in alternativa al pesce spada. I dolci di solito in alcuni locali rappresentano il tallone d’Achille. Ma non qui. La nostra scelta cade su un flan al cioccolato accompagnato da salsa ai frutti di bosco, caramelline pralinate di burro di cacao, inimmaginabile delizia quest’ultima, e gelato di produzione propria e da un dolce della tradizione madonita e Castelbuonese in particolare: la Testa di Turco. Molto “internazionale” il flan al cioccolato in cui l’ingrediente principale è la strepitosa cioccolata di Valrhona, come giustamente enfatizzato dallo chef dato che questa qualità di cioccolata non ha eguali al mondo, ed assolutamente sentimentale, romantico, con il sapore più dolce delle memorie più belle la Testa di Turco, composta principalmente dal “biancomangiare”, così tipico di tante merende e di tante nonne. Un dolce che non soltanto ha appagato il mio senso del gusto, ma ha anche accarezzato con tenerezza i ricordi d’infanzia più belli che, spesso, sono legati anche a qualcosa di buono. Ed il palato, così come il naso, non dimentica mai. Vale la pena di spendere qualche parola anche rispetto al servizio: davvero perfetto, professionale, attento e assai discreto. Una piccola macchia sulla tovaglia da me provocata è stata immediatamente notata da un attentissimo Ivan anche nell’estrema penombra, ed immediatamente celata sotto ad un candido tovagliolo adoperato a mo’ di tovaglietta americana e dopo che dal tavolo era stata tolta persino l’ultima briciola. Il posacenere è stato rimpiazzato spesso, malgrado il locale fosse pieno: ciononostante nulla è sfuggito al controllo del personale di sala. Servizio di questo livello è tanto raro quanto prezioso. Il nostro pasto, accompagnato da ottimo bianco Gewrtztraminer alsaziano dal bouquet irresistibile carico di sentori floreali e di note fruttate molto spiccate, si è concluso con un ottimo caffè.
In definitiva Acanto è un locale di alto livello, dal servizio inappuntabile, con una nuova gestione capace di soddisfare una clientela adulta in grado di discernere ed apprezzare un certo tipo di cucina. Non adatto a famiglie con bimbi piccoli ma perfettamente accessibile ai portatori di handicap. Il locale dispone anche di un’ampia zona interna per la stagione invernale, ma il suo punto di forza è decisamente il bel giardino interno carico di intense atmosfere. Il nostro pasto, così per come descritto, ha generato un conto pari a circa 95.00 euro che colloca il locale nella fascia medio alta e meta perfetta per cene romantiche, piccoli eventi, ricorrenze ed anniversari, con un ottimo rapporto qualità/prezzo.
Alessandra Verzera
Scheda:
Patron : Manuela Bannò e Salvo Andò
Executive Chef : Manuela Bannò
Chef de cuisine : Salvo Giuliano
Commis: Giulio Spataro
Coperti: 50 (in) – 80 (out)
Range: Alto
Categoria: Ristorante tradizionale
Ranking (*)
Location: 5
Cibo: 5
Carta Vini: 4
Presentazione: 4
Servizio: 5
Mise en place: 4
Atmosfera: 5
Allestimenti: 5
(*) Legenda :
1 = pessimo 2 = scadente 3 = sufficiente 4 = ottimo 5 = eccellente.