Pasquale Caliri: lo chef con il mare negli occhi, nella mente e nei piatti.

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Mi siedo a tavola con Pasquale Caliri. E’ uno chef, uno di quelli bravi che non sgomita per apparire. Ma potrebbe essere chiunque, compreso un medico, un cattedratico, uno scienziato, un filosofo. Persino un grande sarto. Si perchè Caliri è snello, invidiabilmente snello. Non è certo l’unico, ma è tra i pochi. Ha un aspetto sereno, ieratico, certamente carismatico. Di fatto sono seduta al tavolo anche con un collega: anzi, un “collegone”, che fa numeri incredibili ai fuochi.

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Caliri, nella nostra lingua madre potrei chiederti ” ma tu cci purtò”? Nel novero delle tante carriere possibili, quale è stato l’elemento dirimente?

Una crisi. Eh già le grandi rivoluzioni, anche quelle interiori, nascono sempre da una crisi. Così durante un momento buio sentii una frase in tv durante un programma di cucina dove un carcerato disse a James Oliver che gli faceva scuola : “La cucina puo’ essere la seconda grande occasione”. Quella frase fu per me come il bagliore di una lama che affondò sino a farmi prendere la decisione repentina di svoltare ( non ero carcerato eh  ). Ma non ero giovanissimo quindi dovevo correre. Sai come si dice: se non avete fretta di invecchiare: muovetevi”. Quindi cominciai dal massimo : l’Alma di Gualtiero Marchesi, corsi vari, esperienze da grandi chef, e tantissimo studio. Feci leva sulla passione, ma attenzione quella da sola non basta anzi puo’ essere fuorviante: occorre studio, allenamento e tanto rigore.

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La domanda che ormai è un leit motiv tocca anche a te: mi sa che potresti rispondere persino senza che io te la espliciti, ma vabbè. I talent, questi talent: che ne pensi?

Beh spesso sono divertenti, se ti riferisci come credo a quelli in tv. Hanno avuto ed hanno il pregio di diffondere la gastronomia in tutte le case. Se il livello di conoscenze e di “confidenza” con il mondo della cucina si è così diffuso lo dobbiamo anche a questo. Certo la tv è fatta per divertire e non per imparare anzi.
Ma talent quasi mai corrisponde a talento.

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Grande attenzione, riflettori e focus sulla cucina, forse troppo: eventi su eventi, turn over interessanti, toques alte quanto l’Empire State Building. Ma cosa ne penserebbe Kant? Il caro Immanuel?

Ahhh, bella domanda, sai appartengo a quelli che credono che la filosofia ti salva la vita. Beh il caro Kant penserebbe proprio quello che sta accadendo nel contemporaneo: il “noumeno” la cosa in sé inconoscibile è conosciuta attraverso le forme a priori attraverso la quale la percepiamo. Non è cosi’ con la cucina ?.Per Platone si arrivava all’essenza col ragionamento ma si ragiona sempre meno, o no ?

La tua fonte di ispirazione è un punto fermo ben collocato nella storia della tua vita, o è un elemento in movimento, in evoluzione?

E’ un fatto intimo, per molti inconscio, è un impulso l’ispirazione e fa piacere pensare che sia sempre in evoluzione. Questo siamo del resto: esseri in evoluzione. L’assenza di movimento è morte. ( stiamo diventando troppo seri  ) Ma l’ispirazione va coltivata, alimentata, nutrita. Non esiste l’ispirazione tout court. Alla base c’è il pensiero che va coltivato, alimentato, stimolato.
Guarda bene intorno: il minimo comun denominatore dei grandi, chef e non, qual è se non la cultura ? Dice bene Massimo Bottura : la scommessa dei cuochi del futuro è la cultura. Questa fu, del resto, la leva che fece sollevare il mondo di Gualtiero Marchei. Egli irruppe nel desolato mondo gastronomico del tempo portando i suoi valori di bellezza, estetica, innovazione. La partita è ancora aperta. Ma forse sto divagando … 

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Hai fissato un punto di arrivo, o anche quello tende a spostarsi?

E beh gli orizzonti ne aprono sempre altri. Se non chiudi gli occhi o ti siedi a riposare.

Cosa sto mangiando adesso?

Un risotto al Plancton Marino. Te l’ho detto che adoro cucinare risotti o no ? Uso questo ingrediente straordinario, non per fare il figo. E’ pura essenza di mare.
Ed il mare è sempre presente nei miei piatti. Vedi ? Sembra un acquario, c’è la sapidità delle acque, i frutti di mare i ricci, i popcorn di baccalà. C’è tutto quello che adoro. Anche questo posto, il Marina Del Nettuno è il mio habitat perfetto : cuciniamo e ceniamo a pochi metri dal mare, ne respiriamo l’aria, ne ascoltiamo i suoni, ne percepiamo sfumature e movimenti.
Sono molto legato all’elemento acqua, nell’inconscio rappresenta la madre, ma questo è argomento per il mio analista.

Con la coda dell’occhio ho visto in te un quid di Scabin: in quanti te lo hanno già detto?

Ahh, me ne dicono di tutti i colori questa è tra le piu’ carine. Davide Scabin è l’esempio del genio creativo, ribelle, anticonformista, efficace.
Il genio, la creatività, l’anticonformismo sono quid importanti in molti mestieri e, perché no, anche nel privato. Ma la creatività o ce l’hai o non ce l’hai. Creativi si nasce difficilmente si diventa. Forse questo è un punto critico della cucina contemporanea : questa voglia assoluta di apparire creativi che genera mostri.
Non c’è scritto da nessuna parte che il cuoco DEVE essere creativo, se lo è tanto meglio. Ci sino tanti colleghi che creativi non sono ma sono eccellenti in egual misura.
Sai com’è? Qualunque idea creativa deve essere comprensibile per essere accettata, senno’ diventa grottesca. Vale come nell’arte, alla stessa maniera.

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Ma dimmi una cosa in confidenza: tra colleghi, e parlo di chef, c’è più amicizia o più invidia? C’è veramente questo tanto palesato spirito di squadra o si è animati da un sano individualismo?

Mi piace pensare che siamo come degli atleti che si allenano individualmente, gareggiano anche da soli, ma in squadra mirano ad una vittoria comune. Molti eventi a piu’ mani o performance gastronomiche servono anche a questo. Si, in genere l’atmosfera è questa. Se poi qualcuno ahimè sostituisce l’individualismo con l’invidia mi spiace per il suo fegato.

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Hai una fisarmonica di onorificenze, riconoscimenti, attestati, targhe, placche : e nessuno di questi è un volantino scaricato dal web, come invece usa parecchio fare ultimamente. Stampare attestati e ” diplomi” spacciandoli per meriti professionali pare essere una moda alquanto diffusa. Ma tu, che li hai tutti originali, a quale dei tanti tieni di più?

Ahh, io a scuola mi mettevo i voti sul registro di matematica perché non ne capivo un accidente, ma prendere un bel voto reale è altra soddisfazione. Cosa vuoi che dica… chi bara mente a se stesso ma non riesce mai a mentire al prossimo.
Qualunque attestazione è fonte di orgoglio e soddisfazione: il cliente che esce contento, che si sente coccolato, che vive un’emozione. Noi cuochi per questo lavoriamo e addirittura viviamo: per soddisfare gli altri.
Certo poi arrivano anche le targhe e le guide di critici ed esperti che magari ti apprezzano e quindi la tua soddisfazione sale. L’emozione piu’ bella probabilmente è essere nella guida Michelin, ma come ti dicevo è tutta un’emozione. E  poi io sono Cancro:  vivo di emozioni .

Il dolce, il sempre atteso momento del dessert: considerando un pasto composto da quattro portate, e con un punteggio disponibile pari a 100, che percentuale assegneresti al dolce?

100, 100, 100, cento volte cento ! Amo la pasticceria. Anzi ti dirò che spesso, se devo pensare ad un piatto, penso ad un dessert. Troppo spessa è relegata a figlia di un dio minore, cosa che decisamente non capisco. Il dolce conclude un pasto, evoca l’infanzia, seduce con la sua golosità, un pasto senza dolce è come una sinfonia interrotta. Ti dirò di piu’ : credo che la pasticceria da ristorazione sia un grande punto di forza della pasticceria del futuro.
Spesso si ripete che la cucina è regno della fantasia mentre quello della pasticceria no. E’ una vera baggianata. Ma avete mai visto le creazioni dei grandi pasticceri ? Ho avuto l’onore di lavorare con Paco Torreblanca uno dei piu’ grandi pasticceri del mondo: era un trionfo di creatività.
Certo la pasticceria richiede tecnica, rigore, disciplina. Se applicassimo queste regole anche alla cucina sarebbe meglio.
Di cosa è fatto un piatto se non di rigore nelle cotture, nelle temperature, negli accostamenti e via dicendo ? La cucina è rigore, su questo non si scappa. Chi fugge è raggiunto dall’approssimazione. L’estemporaneità ai fornelli è la scusa ed il motivo per non fare le cose per bene. Un cuoco perfetto è un cuoco pasticcere. Insomma, s’è capito che la amo ?

E tu, invece, oltre al dessert  che mi pare sia la tua prima scelta, cosa preferisci tra primo e secondo? Ti trovi d’accordo con chi dice che la pasta fa “bien vivre” ma il secondo fa “bon ton”?

Mmmm, mi piace il riso, adoro cucinare risotti ( e non dite che il riso non è siciliano perché mica vero ! ). Tra le portate probabilmente gli antipasti sono quelli dove,probabilmente, ci si puo’ sbizzarrire di piu’ in fantasia. E poi perché sono porzioni piccole, non lo hai detto tu che sono snello  ?

Tra i tuoi colleghi viventi, chi consideri veramente un guru che ha cambiato radicalmente l’idea di cucina di alto livello?

C’è la massima buddista che dice “se incontri il tuo maestro uccidilo” sta a significare che ogni grande maestro va ogni volta superato. Piu’ che a dei guru preferisco pensare ad una grande onda d’eccellenze.
Lo so,non dirlo, è una risposta politically corect …

E l’emergente che riserverà sorprese?

Quando chiedevamo al professore a scuola chi era tra i promossi non rispondeva: “non faccio nomi “ ?

Quanta tradizione bisogna ad ogni costo preservare?

Ai ai ai, qui cade la padella. Tradizione ed innovazione il ripetuto mantra della quale , sinceramente non se ne puo’ piu’.
La cucina è libertà, emozione, ricerca, conservate quello che vi pare, fate quello che piu’ vi piace. Almeno io la vedo così.
Troppo manicheismo ( ritorniamo ai filosofi  ) non ci porta da nessuna parte. La penso come Ferran Adria’ : la tradizione è per chef senza idee. Perché le due cose non possono serenamente convivere in santa pace ? Ci sono colleghi che fanno cucina tradizionale, ci cono altri che fanno cucina moderna. Funziona cosi’, c’è chi ama il gessato in doppio petto ( ecco il sarto di cui in apertura : -) ) c’è chi veste in jeans e maglietta. Più seriamente: sai siamo un paese di stampo normativo, abbiamo bisogno continuo di norme ( legiferiamo piu’ di ogni altro al mondo). Anche in cucina le norme ci fanno sentire piu’ sereni ma la serenità non fa rima con creatività.
Come si sostiene in psicanalisti l’io normativo ha bisogno di essere corretto con l’io bambino. La parola d’ordine è sempre la stessa : libertà.
Tanto alla tradizione non si sfugge, siamo intrisi di storia e tradizione anche a volerla tradire nessuno ci riesce neanche il fedifrago piu’ convinto.

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Ma, quindi, questa stella…?

Quando il cielo è pronto la stella appare
Sono o no un filosofo : ) ?

 

Alessandra Verzera 

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