L’Editoriale.Le stigghiole palermitane: una tradizione contro la legge.

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Palermo è sinonimo di Aquile nei vessilli e di due colori fondamentali per la città: il rosa ed il nero della squadra di calcio. In tempi più recenti Palermo è sulla bocca di tutti grazie a due palermitani, dalla verve comica inimitabile. Salvo Ficarra e Valentino Picone che, in una scena del loro “Il 7 e l’8” discutono proprio davanti ad un chiosco di “pani ca meusa”. Ma Palermo è sempre stata letteralmente sulla bocca di tutti per via delle sue peculiarità gastronomiche, del suo Street Food.

Lo sfincione, dai palermitani detto ‘u spinciuni”, le panelle, le crocchè – anche conosciute come “cazzilli”, il pane con la milza – il mitico “pani ca’ meusa” – e poi loro, le stigghiole.
Chi di noi non si è affrettato almeno una volta nella vita a chiudere i finestrini dell’auto per cercare di passare indenne dalla nuvola di fumo prodotta dalle stigghiole sulla brace? Credo tutti. Le stigghiole esistono da quando esistono i nostri padri e, prima di loro, i nostri nonni ed i loro padri.
Una tipicità tutta palermitana, il cui odore – che alcuni definiscono puzza – però affascina tutti. Io personalmente apprezzo molto l’odore ma non riuscirei a mangiarle. Non tutti sanno cosa siano: dovrebbero essere intestini, budella di agnello, di capretto. Ed invece, pare che sui “barbecue” vadano a finire le interiora di bovino, queste tra l’altro “bandite” da quando si è diffuso il fenomeno della “mucca pazza”. La loro preparazione è semplice, dato che fa parte della cucina estremamente povera dei tempi andati. Di norma vengono arrotolate intorno ad un porro, infilzate poi con uno spiedino, condite con prezzemolo e qualche volta cipolla, e poi cotte sulla brace.

Il fumo che ne deriva, davvero intenso a volte, è provocato dal grasso che cola e brucia sulla graticola.
Ma, per l’appunto, si tratta di intestini: con tutto ciò che ne consegue. Ricordo con orrore una cena rustica in una trattoria in cui qualcuno che mangiava al tavolo con me ordinò una testina d’agnello. Era fritta: la cosa abominevole era che in quello che era stato il muso e che aveva avuto i denti, si trovavano tracce di erba ruminata. Il parallelismo tra quella testina ed i reperti riscontrabili nel budello è assai facile, quindi lo lascerò al vostro intuito. Ad ogni modo, la stigghiola a Palermo è un’istituzione che però più volte si è affacciata alla cronaca, e non soltanto a quella gastronomica.
E’ di circa un anno fa a Palermo un ingente sequestro di stigghiole e frattaglie per motivi legati alla cattiva conservazione di questi alimenti che sicuramente sono assai facilmente deperibili. Non soltanto: in quell’occasione erano stati sequestrati anche degli animali, tra cui alcuni maiali, volatili ed un cavallo che pare fossero destinati all’alimentazione e probabilmente alla macellazione abusiva. Un grossista, che riforniva diversi chioschi della città, si è visto così sequestrare tutti i suoi beni, anche in forza delle norme in vigore dopo la scoperta della Bse che vieta il consumo del budello bovino e che ha visto nell’occhio del ciclone anche la milza. Ieri qualcosa di simile si è verificato ancora, a Prato, nel corso dello Streetfood, una manifestazione legata all’enogastronomia e patrocinata dal Comune. Per la Usl, che ieri in Toscana ha disposto il sequestro di enormi quantità di stigghiole palermitane, i motivi sono sempre gli stessi: quell’alimento non offre granzie per la salute.
Ma , udite udite, la furia della Usl si è abbattuta anche sulla pasta fresca: anche questa infatti è stata giudicata “pericolosa” per la salute. L’intervento della Usl ed il sequestro invece sono stati giudicati vergognosi dal sindaco di Prato, che ha ironizzato dicendo che un tale spiegamento di forze sarebbe stato giustificato solo dall’imminente arresto di un boss della mafia.
Insomma, grande scompiglio tra i banchi della fiera mercato, e grandi verbali agli ambulanti.
Ci si chiede: se lo “Streetfood” è letteralmente cibo di strada, perchè poi ci si sorprende del fatto che venga consumato…in strada?
Perchè i verbali e i blitz giudicano pericoloso il cibo di strada, per la cui esposizione e vendita al pubblico però il Comune ha precedentemente offerto il patrocinio? Non si comprende come possa essere pericolosa la pasta fresca, anche volendo riconoscere alla stigghiola una suggestiva natura che la rende possibilmente poco gradita ai più. Ma la pasta? Arriveranno delle risposte e chissà cosa di terribile riveleranno gli esami di laboratorio su quei cibi esposti ad allietare occhi e palato di gente in passeggiata in un fine settimana ancora godibile e tiepido. Insomma, sembra proprio che ogni tanto qualcuno cerchi un pretesto per affossare economie già abbastanza traballanti: trovandolo. L’unica cosa certa, allo stato dell’arte, infatti è questa: che chi è andato a montare il proprio banchetto alla fiera per portare a casa qualche decina di euro pretendendo di vendere pasta fresca ed interiora, è invece tornato a casa con le tasche più vuote di prima, e senza neanche più la merce.Una questione che ha il retrogusto di vecchie ruggini, contrasti e dissapori per i quali – come spesso accade – a farne le spese sono quelli che c’entrano poco o niente.
Questa, anche questa, è l’Italia della crisi.

Alessandra Verzera

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