Il “genome editing”, quando il segreto dello sviluppo è racchiuso nei geni

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genome editingNegli ultimi anni nel campo alimentare si sta sempre più affermando un ritorno a metodologie quanto più possibile aderenti alla tradizione, assecondando una presa di coscienza ormai globale da parte degli addetti del settore e dei consumatori, soprattutto in un’ottica salutista e di salvaguardia ambientale. Ragion per cui, in ambito agricolo e non solo, molti guardano con diffidenza alle tendenze d’innovazione genetica che prevedono la selezione di tratti genetici migliorativi, in funzione di una migliore resa commerciale.

La questione è senz’altro controversa e pertanto va trattata con cautela.
Può la revisione del genoma di certe varietà vegetali rappresentare un rischio o una pratica invasiva che altera gli equilibri naturali?

genome editing 2A tal proposito, risale a qualche giorno fa il convegno tenutosi a Roma, organizzato alla Camera da CIA, Confederazione Italiana Agricoltori, e Fondazione Eyu, al quale hanno partecipato importanti personalità della politica, del settore agricolo e scientifico, tra cui il presidente della Commissione Agricoltura della Camera, Luca Sani, il viceministro delle Politiche agricole, Andrea Olivero, il presidente della Cia, Dino Scanavino, nonché rappresentanti del mondo della ricerca.
Al centro dell’incontro la tecnologia del “genome editing”, metodo che permette di selezionare esclusivamente le caratteristiche più produttive delle piante, senza però l’introduzione di tratti estranei nel genoma, come avviene invece nel caso degli OGM, gli Organismi Geneticamente Modificati, per l’appunto.

Non si tratterebbe, quindi, di snaturare le varietà vegetali, ma semplicemente di trarne il meglio, comportando non solo una maggiore produttività, ma anche una riduzione dell’impatto ambientale, con un minore consumo di prodotti chimici, di acqua e suolo. Il genome editing, infatti, focalizza la propria azione esclusivamente sul genoma, senza alterazioni sulla qualità o sulle varietà tipiche del territorio.
Tutte caratteristiche che, secondo gli esperti, si sposerebbero perfettamente con lo scenario italiano: “Il genome editing – hanno affermato Cia e Fondazione Eyu – può permetterci di mantenere le nostre varietà tradizionali e la nostra competitività sui mercati, aumentando al contempo sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Logo-Cia-Tanto più che è una tecnologia semplice e di facile utilizzo che non richiede grandi investimenti, ideale per essere sfruttata dalla ricerca pubblica e dalle piccole imprese”.

Un’occasione, insomma, quella del miglioramento genetico che rappresenterebbe una svolta non solo in campo agricolo, consentendo lo sviluppo di piante più resistenti alle patologie e ai mutamenti climatici, ma anche nella medicina umana, come ad esempio nella lotta contro il cancro, come già specificato sul magazine on line della Fondazione Umberto Veronesi.
Ad incorniciare il dibattito degli ultimi mesi, tra l’altro, è la pubblicazione del libro “E l’uomo creò l’uomo: Crispr e la rivoluzione dell’editing genomico”, a firma di Anna Meldolesi. Testo che esalta questa tecnica selettiva e le relative potenzialità, rivendicando una sorta di rivoluzione benefica in seno al mondo scientifico, non senza una questione etica sollevata dalla società civile.
Il genome editing, insomma, come una correzione di bozze nel testo genomico di prossima pubblicazione.

Ora non resta altro che aspettare che l’Unione Europea modifichi la normativa vigente, rendendo accessibile queste nuove tecnologie anche nel vecchio continente.

Serena d’ Arienzo

 

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