Il 2012, il caso Averna. L’etichetta-culto di Feudo Montoni

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Eppur si muove. Nel 2012 che ha appena alzato il sipario, sulle etichette siciliane si affastellano ombre. Ma anche luci.

Per il malconcio stato dell’arte dell’economia, che pesa come ipoteca su prodotti e produttori. E per le silenziose chance che piccole e grandi aziende si ritagliano, quotidianamente.
Insomma, l’anno appena iniziato sarà difficile. Per la guerra dello spread, per il calo di reddito e fiducia dei consumatori; per l’aumento della tassazione media. E anche perché si riverseranno, sulle aziende agricole, l’impatto di misure come l’Imu in agricoltura e la lievitazione alle stelle del costo-carburante.
Eppure, qualcosa gira per il verso giusto. E la buona novella arriva dal cuore profondo della Sicilia. Per una grande azienda e per una piccola maison. La prima è l’Averna, il gruppo nisseno dell’Amaro nel portafoglio della quinta generazione della famiglia di imprenditori. Fatturato consolidato in crescita intorno ai 167 milioni e un utile di 1,7 milioni, gli Averna incassano un +10% e puntano allo sviluppo sui mercati esteri. Perché più dell’80% del fatturato, hanno reso noto, nasce nel mercato Italia.

Altri numeri ma eguali prospettive, per Feudo Montoni, una piccola ma pregiata casa di Cammarata, nell’Agrigentino. Settantatre ettari tra 400 e 700 metri sul livello del mare, un antico clone di Nero d’Avola allevato con tante coccole nella vigna di famiglia. E una mini-collezione di appena quattro vini, monovarietali (da Cataratto, Grillo e Nero d’Avola). Così Fabio Siraci, anima dell’impresa alla terza generazione, può permettersi di sorridere della parola crisi. “Viene dal greco krisis – chiosa – che vuol dire separazione di una maniera di essere da un’altra, differente”. Insomma, “ben venga la crisi”, si schernisce. Tanto più che Montoni, di crisi, non ne conosce proprio. Ben il 92% del business aziendale è figlio del radicamento sui mercati esteri. E in Giappone, il Selezione Vrucara 2003, il Nero d’Avola top della maison, di quell’annata in via d’esaurimento, non scende mai sotto quota 120 euro. Come dire, un’etichetta-culto che in Italia non è venduta a meno di 80 euro e che in Sicilia può pure circolare a 40 euro ma, osservano dall’azienda, “non un centesimo sotto quella soglia”.

La Sicilia “è un continente del vino”, aggiunge Sireci. Ma “ha un problema di identità, enologicamente parlando”. Sarà. Il punto è che nell’anno che si apre, il problema è anche di mercato ed economia. Che, se girasse meglio, aiuterebbe indubbiamente tutti. Piccoli e grandi. Consumatori e imprese.

Umberto Ginestra

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