Dieci famiglie su cento grandi consumatrici di formaggi Dop

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Chi l’avrebbe mai immaginato? Due milioni e 300 mila famiglie italiane, pari al 10 per cento dei nuclei familiari, consumano quasi un terzo dei formaggi a denominazione protetta. Il dato è emerso a Bra (Cuneo) nel corso di “Cheese 2011”, dove è stato presentato uno studio realizzato da Ismea-Gfk-Eurisko. (A.Fi)

All’incontro, organizzato in collaborazione con Slow Food e moderato da Marco Sodano giornalista de La Stampa, hanno partecipato Giorgio Calabrese, docente presso l’Università Cattolica Sacro Cuore di Piacenza e l’Università degli Studi di Torino; Fabio Del Bravo, responsabile Area Mercati Ismea; Paolo Zani, divisione Panel Services DfK Eurisko; Giorgio Cermesoni, direzione acquisti prodotti freschi Gruppo Finiper; Salvatore Cucchiara, vicepresidente del Consorzio Vastedda del Belice e consigliere del Consorzio Pecorino siciliano; Piero Sardo, presidente Fondazione Slow Food per la Biodiversità Onlus.

Lo studio tratteggia l’identikit delle “famiglie Dop”: si tratta di nuclei familiari generalmente numerosi, residenti più di frequente nei piccoli centri del Nord-Ovest, con responsabile d’acquisto over 45 e profilo socio-economico non elevato. Grandi consumatori di formaggi in genere che, nonostante il rigore imposto dalla crisi, spendono più del doppio della media italiana (767 euro l’anno contro i 360 di media) e fino al triplo quando si tratta di formaggi insigniti del riconoscimento comunitario. Nel complesso – rivela l’analisi Ismea-Gfk-Eurisko – le produzioni a marchio Dop del settore concentrano il 35% della spesa familiare in formaggi, con le tipologie a pasta dura che arrivano però a coprire il 93% del segmento.

In Italia sono oltre 35 mila gli allevamenti, tra bovini, ovicaprini e bufalini, coinvolti nella filiera produttiva dei formaggi a denominazione protetta e quasi 1.700 il numero delle imprese di trasformazione. Ammontano a 1,6 milioni i capi bovini riconducibili al circuito dei formaggi Dop, numero che sfiora i 3 milioni nel caso degli ovicaprini e i 173 mila capi nella filiera bufalina.

 

“Guardando ai dati ci sarebbe da esprimere un moderato ottimismo – ha affermato Piero Sardo – tuttavia si deve riflettere sul fatto che nel mercato italiano delle Dop a farla da padrone sono Parmigiano reggiano e Grana padano, che non mancano mai, soprattutto sulle tavole del Centro-Nord. Per i piccoli produttori delle altre Dop, invece, i margini sono drasticamente bassi con un consumo che continua a rimanere locale. Noi di Slow Food non crediamo tuttavia che l’ampliamento del mercato rappresenti la soluzione perchè si scontra comunque con la dimensione aziendale che non può soddisfare le richieste di grandi numeri. L’unico modo per aiutare allevatori e casari delle Dop è far conoscere il loro formaggio e rendere consapevole il consumatore che riconoscendo il giusto valore alla qualità si sceglie di sostenere le piccole produzioni».
Sulle difficoltà di accesso alla Gdo per aziende di piccole dimensioni si è soffermato Salvatore Cucchiara, che ha portato la sua testimonianza di produttore della Bastedda del Belice e di Pecorino siciliano.


 


Anche nelle dinamiche della grande distribuzione si evidenza come a fare la differenza è la diffusione di conoscenze sulle peculiarità del prodotto, come evidenziato da Giorgio Cermesoni: “Rileviamo tra i nostri clienti la tendenza ad acquistare da un lato generi di uso quotidiano, come ricotte e Parmigiano o Grana, e dall’altro prodotti che riescono ad esprimere valori di tipicità e legame con il territorio, che definirei di natura più emozionale”.

Giorgio Calabrese ha posto l’attenzione sulla necessità di conoscere le materie prime dei prodotti caseari: “Non basta mangiare uno yogurt o un formaggio qualsiasi per assumere le sostanze funzionali al nostro organismo: se nel processo produttivo sono stati utilizzati latte in polvere o caseine il valore nutrizionale sarà diverso rispetto a quello di un prodotto di qualità e su questo punto noi nutrizionisti dobbiamo essere chiari”.

L’analisi Ismea ha poi rilevato come il comparto delle Dop casearie, ormai consolidato nelle abitudini di consumo degli italiani, stia attraversando una fase di contrazione degli acquisti che, almeno nel canale domestico, risulta più marcata rispetto alla dinamica riscontrata per i formaggi in generale (dati del primo semestre 2011).

Per le denominazioni di origine la flessione dei volumi acquistati è stata infatti dell’1,4% rispetto al  primo semestre 2010, a fronte di un -0,2% rilevato per l’intero aggregato dei formaggi. La spesa ha continuato però a crescere, per effetto di un generalizzato aumento dei prezzi, con il comparto Dop che ha messo a segno un più 1,5% e i formaggi in generale cresciuti dell’1,2%.

Tra quelli che esprimono i maggiori volumi di consumo (Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Gorgonzola, Pecorino romano, Mozzarella di bufala campana), e che da soli rappresentano oltre il 90% del mercato finale, solo il Gorgonzola e il Pecorino hanno chiuso il primo semestre con un dato positivo degli acquisti in volume, stazionari invece per il Grana padano.

C’è anche da rilevare, in contrapposizione con la generale stagnazione del mercato domestico, un positivo andamento delle esportazioni. Nell’intera annata 2010 – spiega l’Ismea – le vendite oltre frontiera di formaggi Dop sono infatti cresciute del 16%, portandosi oltre 1,1 miliardi di euro, confermando un trend positivo che in cinque anni ha raddoppiato il giro d’affari all’estero.

Relativamente alla produzione certificata, gli ultimi aggiornamenti dell’Osservatorio Ismea-Mipaaf sui prodotti Dop e Igp indicano nel 2010 un quantitativo di 450 mila tonnellate – pari al 40% della produzione nazionale del settore – per un fatturato all’origine stimato dall’Istituto in oltre 3 miliardi di euro, che al consumo arriva a sfiorare i 5 miliardi.

Cifre che collocano il Belpaese in testa alla graduatoria Ue, davanti anche alla Francia che vanta, però, il numero più elevato di formaggi tutelati dal marchio comunitario.

Antonio Fiasconaro

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