Con le mani in pasta: intervista a Pasquale Federico, Pizzaiolo

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federico6Federico, da dove inizia il suo percorso tra i forni e la farina?

Beh, inizia a Napoli alla tenera età di 11 anni, quando la voglia di far pizza mi spinse ad andare di sera in pizzeria da un amico di famiglia per imparare l’arte del pizzaiolo. Contemporaneamente d’estate davo una mano nel panificio di un caro amico di famiglia quindi si può dire che il pizzaiolo e il panettiere che sono in me nacquero anche un po’ grazie alla voglia dei miei genitori di volermi strappare alle strade della provincia (Poggiomarino, paesino in provincia di Napoli, nda ) e quindi come ben si sa o la palestra o il lavoro ti tengono distratto.

federico3Si è ben più che distratto, dato è diventato un professionista dell’arte bianca..

Il pane, la pizza infatti non solo mi hanno distratto, ma mi hanno regalato le esperienze più belle della mia vita e quegli stimoli che a scuola mancavano. Si, perché a scuola compagni di viaggio erano i libri di panificazione già dai miei 14 anni, tant’è che quando studiavamo chimica spesso la professoressa mi diceva: “Pasquale ma siamo alla facoltà di tecnologia alimentare o siamo ad un semplice tecnico industriale?” e grazie alle competenze di chimica e biologia miscelate a test continui e studio degli impasti ho iniziato a sviluppare tecniche di impastamento totalmente alternative e farine ricercate di alta qualità.

federico1Poi una lunga parentesi all’estero e di nuovo in Italia…

Si, ad uno come me la provincia stava stretta cosi… cosi decisi di partire. Avevo soltanto 19 anni ma lo zaino in spalla e le valige pronte mi portarono in giro per l’Europa. Ricordo con particolare affetto il periodo a Macclesfield, nella contea di Manchester dove una piccolissima pizzeria divenne grazie alla pizza e ai panini che sfornavamo uno dei posti più cool di tutta Manchester. Fu una grande vittoria personale. In quel periodo per scherzo mio padre, che in realtà già da qualche anno mi avanzava la proposta, mi chiese di far domanda nell’Esercito . Per gioco lo ascoltai e dal 2014 al 2015 ho servito l’Italia come fuciliere paracadutista presso il 183 Regimento Paracadutisti Nembo della Folgore. Ma la farina chiamava, ed io risposi. Mi congedai dopo un anno e un imprenditore decise di credere in me. Partii per la Cina dove per quasi un anno e mezzo ho fatto da tecnico per il noto molino per cui distribuivano farine e per una prestigiosa scuola di formazione, una delle migliori al mondo. All’apice della mia carriera in azienda però… mi accorsi che la mia creatività era tenuta a bada, per ovvi motivi inerenti gli interessi del molino, ragion per cui decisi di lasciare l’azienda e tornare in Italia: una nuova sfida! Tornato a Napoli ho subito trovato impiego come pizzaiolo e consulente.

federico5La pizza, così tanto amata ma spesso assai indigesta: come mai mangiando alcune pizze gonfia lo stomaco e si tende a bere moltissimo durante la fase digestiva?

La risposta e semplice e se si conosce bene la chimica e la biologia usando un paio di (non) semplici parole il concetto è presto compreso. Ma visto che non tutti siamo chimici cercherò di spiegarlo in modo quanto più semplice possibile. La farina è composta per la maggiore da amidi, questi amidi vengono scomposti dal nostro apparato digerente per mezzo di alcuni enzimi che devono scomporre l’amido in varie molecole prima di poterlo assimilare sotto forma di glucosio, per questo spesso si sente quel gonfiore allo stomaco spesso attribuito ingiustamente ai lieviti e il senso di sete.

federico2Quindi sfatiamo questa leggenda metropolitana delle lievitazioni un po’ troppo veloci, una volta per tutte?

Certo. I lieviti soccombono a 40°  e la pizza, una volta cotta, raggiunge al cuore una temperatura di 85/90°,  ragion per cui i lieviti non hanno nulla a che fare con quella sensazione di gonfiore. Se invece, con una giusta gestione dell’impasto, lo si lascia riposare per un periodo che può variare in base alle specifiche della farina alcuni enzimi presenti nell’impasto scinderanno gli amidi in altre molecole fino al glucosio che verrà fagocitato dai lieviti che come prodotto di scarto daranno una molecola di anidride carbonica, quindi innocua per il nostro stomaco. Ragion per cui, se il grosso della scissione dell’amido in sottoprodotti fagocitati dai lieviti viene fatto succede nell’impasto stesso quando questo viene cotto il nostro stomaco fa un lavoro decisamente minore e quindi la pizza risulta leggera e digeribile poiché priva di quella mole di lavoro faticosa da esplicare per il nostro organismo.

federico4Chi immaginerebbe tutto ciò guardando una semplice palla di pasta.. La cottura influisce in qualche modo nella realizzazione di un buon prodotto?

Ovviamente una buona cottura è altrettanto importante! È buona norma prendere anche in considerazione farine salutari di tipo semi-integrale e integrale, grani antichi e molte altre farine salutari che stimolano l’apparato digerente e se lavorate bene apportano molti più nutrienti di una farina 00. Basti pensare alle farine tipo 1 che contengono crusca e germe, queste contengono decisamente una miriade di nutrienti che possono apportare al nostro organismo non pochi effetti benefici, cosa quasi del tutto inesistente in una farina 00 privata di crusca e germe.

federicoQual è il vero segreto per un’ottima pizza?

Non c’è segreto, ma solo conoscenza, esperienza e amore. Se si conosce la materia prima e gli strumenti di lavoro il prodotto finale sarà un’esplosione di gusto e salubrità. Qualcuno sicuramente ora starà pensando all’impasto, e si, decisamente il grosso del lavoro è fatto lì, nella fase di impastamento e gestione dell’impasto. Ma non ci dimentichiamo della cottura! Volete un esempio? Bene, supponiamo di aver lavorato egregiamente e abbiamo steso la nostra pizza, la condiamo, la mangiamo e questa… risulta comunque difficilmente digeribile. Assurdo vero? Eppure la risposta è semplice: è tutta una questione di cottura. La nostra pizza ha cotto poco, magari la fiamma del forno a legna era troppo altra ed ha consentito al cornicione di colorarsi e alla mozzarella di sciogliersi leggermente e per questo la pizza sembra cotta, ma visto che la cottura è imperfetta il risultato è pesantezza e difficoltà maggiore nella digestione, accompagnata ovviamente dall’effetto gomma durante la masticazione. Un buon fornaio sa quindi come cuocere una buona pizza anche a 450°  assicurando morbidezza del prodotto e una perfetta cottura. Quindi la figura del fornaio è importante tanto quanto quella del pizzaiolo poiché una buona auto da corsa (impasto) senza qualcuno che la sappia guidare a dovere (fornaio) ha più probabilità di finire fuori strada. Concludo quindi dicendo che la conoscenza, l’esperienza e l’amore con cui si fa il proprio lavoro sono il segreto di una buona pizza.

azzurra e pasqualeQuali sono i suoi progetti per il futuro adesso che è rientrato in patria?

Veda, il mio tarlo sin da piccolo era di essere il migliore. Sempre in competizione con tutti e con me stesso. Quando riuscii ad essere il miglior pizzaiolo di tutta Manchester dovevo fare una pizza migliore della mia, un pane più buono del mio. Fu l’esperienza nell’esercito ad insegnarmi che non c’è nessuna guerra da combattere e che spesso il nemico lo inventa qualcuno, i governi, le multinazionali, i molini, e i soldati muoiono inseguendo la vittoria. Per questo mi ripromisi che un giorno avrei fatto di tutto per tornare dietro un bancone e proporre un prodotto salutare, personalizzato e leggero, che non fosse necessariamente il migliore o il primo in classifica, ma che fosse un toccasana per i clienti. Solo dopo l’esperienza in Cina capii che dovevo togliermi di dosso il peso di quei poteri forti e restare libero di esprimermi e –  perché no –  iniziare a condividere quel mio sapere. Posso quindi dire che nel mio futuro non  vedo classifiche, gare o sciocchezze del genere : vedo un professionista rispettato per il suo progetto e l’accuratezza con cui sceglie e lavora le materie prime, e inoltre vedo una scuola, libera da molini o grandi multinazionali che insegni ad usare la materia prime per produrre prodotti di panificazione in tutte le sue sfumature che abbiano una personalità propria, dei corsi che prevedano oltre la formazione tecnico/pratica lo sviluppo della creatività e della libertà d’espressione del corsista senza vincoli a molini o cose del genere. E assolutamente e senza ombra di dubbio alcuno nel mio futuro vedo lei, la mia compagna di vita, la donna che amo, Azzurra Bove, la donna che con me ha condiviso momenti belli e brutti negli ultimi anni e con la quale sono sempre riuscito a venire a capo di ogni problema. Lei:,chef e pasticciera dalle comprovate capacità, lavora con me e insieme mescoliamo il nostro sapere al fin di poter offrire a chi sceglie di fidarsi di noi soltanto il meglio, e devo dire, con estrema soddisfazione, che ad oggi ancora non ho sentito lamentele.

Alessandra Verzera

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