Ciccio Giuliano. Il food come filosofia di vita. L’intervista.

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giuliano ghiottoneNel salotto di Palermo esiste un locale che costituisce una delle migliori poltrone in cui accomodarsi quando si entra appunto in quel salotto. La strada è la Via Principe di Belmonte, ed il locale è Il Ghiottone Raffinato, di fatto nell’unica traversa sulla destra entrando in Via Principe di Belmonte dalla Via Ruggero Settimo. Le cucine di questo locale sono il regno di Ciccio Giuliano, prossimo alla Laurea in Lettere e Filosofia: ma con un gran bel pallino. Che è quello dell’alta cucina. La prova provata del fatto che l’amore per la cucina può colpire chiunque, ed anche – come in questo caso  –  chi sembra destinato a ben altro.

giuliano moglieGiuliano, laureando in Lettere e Filosofia, giovane, con una famiglia e una passione unica. Quando inizia il suo rapporto con le cucine professionali?

Il mio primo rapporto con le cucine professionali è datato Maggio 2002. Finiti gli studi classici, mi accingevo a frequentare la facoltà di Farmacia e precisamente il corso di chimica e tecnologie farmaceutiche. La mia famiglia è da sempre stata vicina all’ambiente della ristorazione. Mio zio, Giuseppe Giuliano, Maestro di cucina e di pasticceria mi propose di guadagnarmi qualcosa per foraggiare i miei studi affidandomi alle sapienti mani di Giuseppe Fiandaca, mio attuale titolare e amico, allora maitre presso Villa Albanese Rubicon, Ristorante in cui operava il grande maestro Jack Bruno, chef patron del ristorante. Ho cominciato la mia esperienza in sala. In quell’ambito successivamente, lungo il mio percorso, ho avuto modo di osservare l’opera di grandi maestri. La mia passione innata e la mia voglia di scoprire, “la sete di conoscenza”, di dantesca memoria, mi ha poi spinto a rubare con gli occhi qualcosa da ognuno di essi fino al 2012, anno in cui già passato agli studi in lettere, affiancavo all’opera di maitre d’hotel, quella di personal chef per soggetti privati, occupandomi della organizzazione di ogni tipo di evento in totale autonomia sia per quanto riguarda la componente legata alla cucina che quella del servizio di sala. Sapevo che il mio posto non era al di là dei fornelli ma al di qua. Questa convinzione si è poi consolidata nel 2014 quando ho maturato una importante esperienza all’estero, in Germania a Duesseldorf, che poi mi ha riportato in patria ad operare stabilmente prima come sous chef e poi come chef de cuisine.

giulianoMalgrado questo talento lei sceglie tuttavia di seguire un percorso di studi che poco ha a che vedere, almeno apparentemente, con il food. Come mai?

In verità il percorso di studi che ho seguito attiene alla seconda passione della mia vita. La poesia. Passione che mi ha portato a pubblicare proprio nel 2015 un libro dal titolo “Alba ad ovest” sulla piattaforma ilmiolibro.it e che presto spero di distribuire attraverso Feltrinelli. La letteratura inoltre e le lettere in generale, non sono per nulla distanti come può sembrare dal mondo della cucina. Si intersecano continuamente e sono complementari perché entrambe forme d’arte. La cucina e la sua arte, sono come le lettere, strumenti di cui un uomo dispone per ricongiungersi con Dio, e quindi con quanto di più alto possa esistere al Mondo. Chiunque cucini o scriva, soprattutto un professionista ha l’opportunità di viaggiare nel tempo e nello spazio, rimanendo fermo davanti ai propri fuochi o al foglio che riempirà con le proprie esperienze. La cucina così come la letteratura, sono il forziere del nostro bagaglio di esperienze, tradizioni, emozioni e sensibilità che si materializzano in un piatto, in un’opera.

giuliano9Una formazione umanistica aiuta, secondo lei, ad acuire una “sensibilità” verso la percezione degli aspetti epicurei legati alla vita di ogni essere umano di cui il cibarsi ed il gusto sono tra i piaceri primordiali?
In altre parole: ci può indicare un piatto che potrebbe essere gradito ad uno scrittore ed un altro che potrebbe risultare più gradito ad uno scienziato?

La formazione umanistica, da sola non basta ad acuire la sensibilità alla componente edonistica legata al cibo. Questa deve essere una sensibilità in parte innata e d’altra parte acquisita con l’educazione familiare, primo gradino formativo rispetto al piacere dello stare a tavola. La formazione classica può in qualche modo marcare semmai la sensibilità dell’individuo al valore dell’alimentazione del buon cibo. Da questo scaturisce incontrovertibilmente il piacere che da esso si trae. In quest’ottica è principale la conoscenza dei fattori che hanno visto e vedono il cibo al centro della società in campo storico, economico, politico,religioso e sociale, come strumento di veicolazione del piacere o della grazia. Se pensiamo a quante norme religiose prescrivono una dieta precisa ai propri credenti, capiamo quanto il cibo sia legato alle emozioni umane e fatalmente al piacere e al dolore, alla soddisfazione o alla privazione, alla gioia come al dolore.giuliano3 Per questo credo che non esista un piatto da scrittore o da scienziato ma che esistano settori della arte culinaria che si abbinino meglio a uno spirito analitico come quello dello scienziato e altri che invece sposino meglio la creatività sognante dello scrittore. giuliano6La pasticceria potrebbe essere con le sue norme codificate di preparazione più “scientifica” rispetto alla cucina, ambito in cui la rimodulazione del gusto lascia maggiore spazio alla soggettività. Se poi dovessi sottostare ai cliché che connotano scrittore e scienziato potrei dire che a uno scrittore potrebbe piacere più uno spaghetto al curry con tenerumi e gamberi mentre allo scienziato un buon piatto di paccheri alla Norma. L’uno infatti rappresenta più la libertà dell’estro, l’altro la sicurezza del misurabile. Ma personalmente diffido di qualsiasi forma di standard precostituito.


giuliano5Sigmund Freud ha legato la prima fase dello sviluppo psicosessuale proprio all’oralità, sin dai primissimi mesi di vita dell’essere umano , con la stimolazione del piacere orale mediante l’assunzione del cibo. Il postulato potrebbe essere datato, ma il cibo rimane comunque uno dei piaceri primordiali fortemente correlato ad un’idea più ampia di piacere. Lei, forte dei suoi studi, come la pensa in proposito?

Personalmente penso che il cibo sia la prima forma di piacere che ognuno di noi provi. Se pensiamo all’atto della suzione dai capezzoli materni, questo atto racchiude in se il piacere fisico del contatto (se pure ovviamente del tutto innocente) e quello psicofisico della sazietà. Da quel momento in poi la nostra vita è un continuo confronto con il cibo in ogni parte della nostra giornata e ineluttabilmente anche nei momenti di piacere personale. Quando si parla di cibi afrodisiaci, quando l’uomo per figurare il proprio piacere ricorre a simboli che tirino in ballo elementi della comune dieta quotidiana, non fa altro che associare a questi fattori alimentari, forme, gusti, sapori e immagini che evochino la sensazione legata al concetto che desidera esprimere. Il cibo per l’uomo è un compagno di vita, col quale litiga, chiacchiera, si relaziona e a volte flirta, concedendosi attimi di trasgressione o momenti di castità alimentare. Da questo rapporto non può che evincersi una stretta relazione tra le emozioni umane e l’alimentazione e il piacere fa parte senz’altro del novero di queste sensazioni. Per spiegarmi compiutamente mi piace citare il celeberrimo passo del romanzo di Marcel Proust, “Dalla parte di Swann”,

giuliano2“Una sera d’inverno, appena rincasato, mia madre accorgendosi che avevo freddo, mi propose di prendere, contro la mia abitudine, un po’ di tè. Dapprima rifiutai, poi, non so perché, mutai parere. Mandò a prendere uno di quei dolci corti e paffuti, chiamati maddalene, che sembrano lo stampo della valva scanalata di una conchiglia di San Giacomo. E poco dopo, sentendomi triste per la giornata cupa e la prospettiva di un domani doloroso, portai macchinalmente alle labbra un cucchiaino del tè nel quale avevo lasciato inzuppare un pezzetto della maddalena. Ma appena la sorsata mescolata alle briciole del pasticcino toccò il mio palato, trasalii, attento al fenomeno straordinario che si svolgeva in me. Un delizioso piacere m’aveva invaso, isolato, senza nozione di causa. E subito, m’aveva reso indifferenti le vicessitudini, inoffensivi i rovesci, illusoria la brevità della vita…non mi sentivo più mediocre, contingente, mortale. Da dove m’era potuta venire quella gioia violenta ? Sentivo che era connessa col gusto del tè e della maddalena. Ma lo superava infinitamente, non doveva essere della stessa natura. […] All’improvviso il ricordo è davanti a me. Il gusto era quello del pezzetto di maddalena che a Combray, la domenica mattina, quando andavo a darle il buongiorno in camera sua, zia Leonia mi offriva dopo averlo inzuppato nel suo infuso di tè o di tiglio….”

giuliano7Ludwig Feuerbach ha posto un altro importantissimo accento sul legame tra l’essenza di ciò che siamo in relazione a ciò di cui ci cibiamo: lei come la pensa?

Penso che Feuerbach abbia ragione quando dice che un popolo ha opportunità di migliorare se migliora la propria alimentazione. Spesso proprio richiamando il titolo di Feuerbach “l’uomo è ciò che mangia”. Alimentarsi bene non è solo un diritto che si acquisisce come essere umano libero di una società libera, ma è anche un dovere nei confronti della comunità. Noi siamo indissolubilmente legati alla nostra alimentazione e spesso ci identifichiamo come popolo più a livello enogastronomico che sociale. Per intenderci ci indigniamo più per l’ormai famigerato dado nella caponata, che per problematiche sociali di rilevanza sicuramente maggiore. Questo perchè il cibo è identità e proprio per quello che ho asserito prima, è legato a doppio filo alla nostra storia, ai nostri affetti, alle nostre esperienze e ci lega come figli di uno stesso piatto, anche se non figli di uno stesso popolo. La alimentazione crea la base del nostro rapporto con il resto del mondo e questa importanza talvolta non è bene evidenziata. Del resto Virginia Woolf affermava che “un uomo non può pensare bene, amare bene, dormire bene, se non ha mangiato bene”.

giuliano8Lucrezio,epicureo, nel suo poema De rerum natura cercava di fugare la paura della morte ricorrendo a un’immagine “culinaria” sostenendo che “chi si accinge a morire deve ragionare come un convitato sazio quando finisce il banchetto: se la vita trascorsa é stata colma di gioia, allora ci si può ritirare da essa come un convitato sazio e felice dopo un lauto banchetto (-). Ma anche Seneca ed, in tempi più recenti, Nietzsche e Kant come pure Rousseau, Marx, Schopenhauer, Bloch fanno riferimento al cibo. Il materialista La Mettrie tra tutti pare si ingozzasse di cibo al punto da morirne. Scuole di pensiero diverse, comune denominatore il cibo: che la filosofia sia in realtà fortemente propedeutica ad un’attività come la sua?

La filosofia eletta da molti a madre di tutte le scienze umane, è uno strumento di intellezione di cui si sono serviti lungo i millenni uomini che con le loro menti hanno contribuito allo sviluppo del pensiero del mondo. Ciò nonostante non bisogna scordare che la filosofia, come anche la cucina, è vita ed è pensata da esseri umani, che sono dotati di enormi facoltà intellettuali ma certamente anche di una corporeità che reclama la propria importanza. Non mi stupisce quindi che i maggiori filosofi di epoca classica fino a giungere al ‘900 abbiano dovuto far riferimento parlando di filosofia al cibo. La cucina e la materia prima che attraverso la propria arte viene plasmata sono una forma di filosofia. giuliano4Il grande strumento che una persona che conosca la storia della filosofia possiede è quello di dominare questi processi e riuscire a direzionarli al fine di elaborare concetti nuovi, filosofie alimentari che possano creare sviluppo, innovazione, emancipazione a partire da una tradizione necessaria, senza la quale non potrebbe esistere il nuovo. Quindi le dirò in sincerità che ritengo propedeutica la filosofia come la matematica, come l’italiano, come la letteratura e come le altre componenti della cultura di un individuo che lo qualificano come essere pensante e che lo aiutano a dominare l’uso di un’arte sulla quale si fonda il benessere dell’uomo. Del resto Terenzio diceva nell’Heautontimorumenos
“ homo sum, humani nihil a me alienum puto” Sono uomo, nulla di quanto riguardi gli uomini ritengo alieno da me.

giuliano broccoliMettendo da parte i libri e aprendo i ricettari, quale piatto le è particolarmente caro?

La pasta con i “Broccoli arriminati”, perchè mi ricorda molto i miei nonni materni ora scomparsi, con cui sono cresciuto e mia nonna in particolare, che mi ha insegnato a cucinarla quando ero ragazzino. E’ un piatto che racconta la mia terra, la mia famiglia, le mie tradizioni e per questo lo propongo sempre in qualche modo nei menu che ho redatto. Ultimamente ho addirittura messo questo condimento all’interno di una arancina che abbiamo proposto come fuori menu al Ghiottone Raffinato, riscuotendo l’affetto e la soddisfazione dei clienti. Per me è stata una grande gioia


giuliano carbonaraPiù tradizione, più innovazione o un equilibrato blend tra le due?

La sfida che ogni cuoco oggi affronta, è quella di avere la capacità di pensare un piatto tradizionale con uno sguardo nuovo, perspicuo e intelligente, non pensando esclusivamente alla necessità di appagare l’appetito, ma anche a stimolare la fantasia, le emozioni e la sensibilità di ognuno. La cucina è forse l’unica arte che può servirsi di tutti e cinque i sensi datici in dote dalla Natura. Un piatto deve essere ammirato senz’altro ma anche annusato, ascoltato, toccato e infine gustato nell’interezza della sua realizzazione. Chi manipola il cibo, deve sapere, che sta operando un atto miracoloso, quello della creazione. Ecco! La cucina è creazione. Il nuovo che celebra l’antico, è colore, gusto, armonia. La cucina è vita. Ognuno di noi ne parla almeno una volta al giorno. La cucina è poesia, per chi la ama. Per questo amo partire dai sapori che mi hanno insegnato i miei nonni e la mia famiglia e cerco di trovare un modo nuovo, di reinterpretare quei gusti, con accostamenti fantasiosi, ma sempre rispettosi del tempo e della storia. La mia formazione poi mi spinge a trovare sempre un collegamento con la storia, con l’arte di cui la mia terra e la mia gente sono ricchi. Sposo quindi un equilibrato blend tra tradizione e innovazione.

giuliano pesceQuanto conta il soddisfacimento del senso estetico nella riuscita di un piatto?

Il senso estetico di un piatto conta quasi quanto la sostanza del piatto stesso. Quello che dico può risultare una eresia, ma penso sinceramente che come un bel piatto senza anima valga nulla , allo stesso modo un buon piatto saporito privo di appeal visivo, di senso cromatico, dilapidi tutto il lavoro fatto sul gusto scoraggiando l’avventore già all’assaggio e ridimensionandone il successo in termini di soddisfazione. Come detto prima tutti i 5 sensi devono gioire a tavola e la vista è uno dei protagonisti tra questi.

Più forma o più sostanza?

Sicuramente più sostanza. L’anima è sempre più importante dell’involucro. Ma guai a sottovalutare la forma. Ad alti livelli, la sostanza dovrebbe essere pressocchè omogenea. La forma può talvolta diventare decisiva

I suoi progetti futuri dove la porteranno? In un’Agora o in altre cucine?

Al momento sono proiettato sul completamento del mio percorso di studi da un lato, ma non trascuro assolutamente la mia professione che mi accompagnerà per il resto della mia vita. Amo utilizzare le mie conoscenze per addentrarmi nel mondo della cucina e nutrire la mia mente, conoscendo ogni giorno qualcosa di nuovo e cercando di migliorare sempre la performance in funzione dei miei clienti. Per il resto sono coinvolto nelle attività della A.p.c.p.pa – Associazione provinciale cuochi e pasticceri di Palermo –  all’interno della quale ricopro il ruolo di coordinatore delle demo e dei corsi e sto preparandomi per collaborare con il Culinary Team di Palermo, allenato dal Maestro Giuseppe Giuliano, per le prossime olimpiadi di cucina e pasticceria a Novembre ad Erfurt in Germania

giuliano arancinaIl Ghiottone Raffinato ed anche erudito, a quanto pare: se dovesse consigliare un piatto ai miei lettori quale sarebbe?

Mi sento di consigliare un piatto che ho chiamato Delfi in omaggio all’isola Sacra agli antichi Greci, sede del tempio oracolare, al quale da ogni parte della Grecia ci si recava per interrogare il futuro. Si tratta di una arancina propriamente detta con un ripieno di gambero rosso di Mazara, tentacoli di polpo e vongole, su di una bisque calda di gambero e una spuma sempre di gambero ma in crudità. Nel piatto quindi coabitano diverse cotture e consistenze di pochi semplici ingredienti che cercano di amarsi al fine di rendere amabile l’insieme dei sapori. Per il resto sono legato ad ogni singolo piatto del mio menu, quindi in generale li consiglierei diffusamente.

 

Alessandra Verzera

 

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