Trattoria Al Piccolo Napoli (Pa): i sapori buoni di un tempo che fu.

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menùAl Piccolo Napoli volevo recarmi da tempo e ci avevo provato almeno un paio di volte, infruttuosamente e per lo più per motivi legati al traffico o a manifestazioni di piazza che rendevano l’accesso al locale poco agevole.
Ieri sera le segnalazioni rispetto a locali palermitani da recensire portavano me e i miei commensali altrove: dove però, alle ore 22.00 di sabato sera ed in zona centralissima e brulicante di gente, non siamo stati ammessi a godere delle gioie della tavola. Questo, di per sé, è abbastanza inusuale in una serata in cui, con circa 29 gradi di temperatura, la gente era riversa per le strade a frotte. Ma decidiamo di non insistere e ci rituffiamo nel traffico under 30 del sabato sera.
Imbocchiamo la Piazza Luigi Sturzo ormai rassegnati a rifugiarci a Mondello o a Sferracavallo, dove si tira tardi e dove si mangia round the clock, 24 ore su 24. E invece no: una sterzata improvvisa ci spinge dentro Borgo Vecchio. Butto un occhio alla mia destra e Al Piccolo Napoli è li. Serendipità. Ma era la sera giusta dato che, in un bailamme di auto strombazzanti ed in grave esubero di decibel, c’è addirittura parcheggio proprio davanti l’ingresso del locale.
interniDetto e fatto, alle 22.30 mettiamo piede al Piccolo Napoli: gremito. Tavolate multilingue regalano una sensazione che a Palermo, ed in un locale, è ormai assai difficile provare, e cioè quello di sentirsi turisti in casa propria dato che a destra risuonava l’idioma russo e a sinistra quello norvegese. Ma siamo in pieno centro storico, e certi “miracoli” ancora esistono: quei miracoli si chiamano “turisti”.
Bene, ci accomodiamo in un tavolo abbastanza ampio che ci offre una panoramica totale del locale accolti con fare affabile ed amichevole dai due patron, i fratelli Pippo e Gianni Corona.
Inizio da una nota su qualcosa che non ho particolarmente apprezzato, essendo una “purista” anche in fatto di arredi, epoche, ambienti. Premesso che il locale esiste dalla bellezza di 63 anni e che è dunque pienamente annoverabile tra i locali storici palermitani, i suoi interni però hanno poco fascino avendo subìto rimaneggiamenti, migliorie e ristrutturazioni che l’hanno reso impersonale e un po’ a metà tra un vecchio ristorante dagli arredi demodè ed un locale più recente con controsoffitti e cornici in gesso. Io avrei, per quanto possibile, mantenuto lo stile originale degli anni ’50, ammodernando il giusto e lo stretto indispensabile. Oggi il posto avrebbe molto più fascino e sarebbe più direttamente identificabile con la sua epoca originale e di gran lunga migliore di quella attuale. Però prima non si badava troppo alla conservazione e “vintage” era una parola sconosciuta, e quindi che Al Piccolo Napoli si siano perse alcune connotazioni fondamentali rispetto ai giorni dell’apertura è tutto sommato del tutto normale.
patatineIl menù è meraviglioso: un pieghevole telato con una splendido foto d’epoca in copertina, che risale appunto al 1951 ed ai giorni dell’apertura del locale, ad opera di Ignazio Corona, padre dei due attuali proprietari. E non sono male neanche i piatti elencati all’interno del menù stesso, tutti a base di pesce. Inusitatamente ordiniamo panelline e patatine fritte più per trastullarci nell’attesa dei piatti veri e propri che per consumare un antipasto: panelline ottime, di giusto spessore, ragionevolmente asciutte e – soprattutto – fritte in un olio che non recava con sé memorie infinite di infinite precedenti fritture. Le panelline, infatti, sapevano di panelle e non gi gambero o calamaro, o di polpette di pesce come invece spesso accade quando queste frittelle vengono consumate in un ristorante e non nel più tipico “friituri”. Buone veramente. Le patate hanno un bonus ormai introvabile: sono patate “vere”, pelate e tagliate dalla cucina: il gusto è delle patatine fritte della nonna che da sempre accompagnano le cotolette. Peccato che, per la temperatura forse troppo elevata dell’olio, siano risultate leggermente crude all’interno: l’impatto con l’olio bollente le ha immediatamente dorate traendo in inganno rispetto alla cottura. Per cui il colore era giusto, ma la cottura è rimasta indietro.
caserecce spadaMa arrivano i primi piatti : in due abbiamo scelto caserecce. Io con pece spada e melanzane, uno dei miei commensali ai gamberetti con deroga al menù, dato che al posto delle caserecce il menù riportava gli spaghetti e che la scelta delle caserecce ha assecondato il gusto personale. Ottimi entrambi. Le caserecce al giusto punto di cottura ed il condimento, in entrambi i piatti, gustoso, ben bilanciato ed abbondante senza strafare. Gli effluvi di menta, che nelle caserecce al pesce spada e melanzane servono sia a smorzare la forza del gusto del pesce sia ad esaltare il sapore delle melanzane, è ciò che io amo senza riserve di questo piatto ormai tradizionale della cucina regionale. Se non c’è la menta, o se è poca o non profuma di fresco ad ogni rimescolamento, per me il piatto è già sbagliato. caserecce gamberiQuesto aveva un ottimo bilanciamento ed il pesce spada, a differenza di altri piatti analoghi, non era a tocchetti ma a piccolissimi pezzi, formando un legame perfetto con i liquidi di cottura e con l’olio al punto da risultare leggermente mantecato ed in ogni caso mai slegato dalla pasta. Insomma, ogni forchettata portava alle papille la giusta dose di pasta vestita dalla giusta dose di condimento. Perfetto. Ottimi i gamberi dell’altro piatto di caserecce. spatolaMa il piatto migliore della serata tocca all’altro mio commensale: una scelta felicissima i suoi involtini di spatola serviti con una salsetta eccellente di cui è perfettamente inutile chiedere come sia fatta: una delle regole ferree della cucina è “ non chiedete ricette o procedimenti”. Quindi dovrò fidarmi delle mie papille ed azzardare: presumo fosse una salsa ottenuta dall’emulsione di cipolle appassite in poco burro ed olio d’oliva e poi leggermente caramellate e diluite nel brodo. Forse l’ho sparata grossa, ma consiglio caldamente a chiunque di ordinare gli involtini di spatola: sono eccellenti.
gamberoniNon meno buoni risultano i gamberoni e i calamari panati e grigliati anche se, mia opinione personale, le griglia tende ad allineare un po’ troppo i gusti appiattendoli: ed è così che in qualsiasi cosa io consumi alla griglia, trovo note gustative simili all’arrosto panato, o reminiscenti di pollo panato, che tolgono autenticità e purezza a materia prima che, come in questo caso, era di prim’ordine. Ma quanto sin qui detto rispetto alla griglia non significa di certo che la griglia non fosse pulita: a dare quel gusto ad ogni preparazione grigliata e che funge poi da denominatore comune, è proprio la panatura quando inizia ad “attaccare” e comincia a sprigionare il tipico profumo di grigliata. Buonissima ma, a mio avviso, un po’ troppo livellatrice di gusti.
calamaroIl dolce mi lascia delusa: è finito. Quando però apprendo che si trattava di cassata siciliana mi rallegro. A differenza degli spavaldi turisti nordici, io non amo un dolce così ricco e strutturato a fine pasto. Ma il fatto che fosse finito e che nei piatti dei comensali accanto non ve ne fosse traccia mi lascia intuire che doveva essere indubbiamente buona.
Concludo con un caffè per me ed una grappa per il mio commensale.
Adesso è il momento per una piccola nota: la valutazione di questo locale, che vi sembrerà in alcuni tratti molto simile a quella di ristoranti di lusso, va letta tenendo bene a mente che si sta valutando una trattoria. Questo è importante dato che, a parità di tipologia, il ranking de Al Piccolo Napoli risulterebbe di molto inferiore rispetto ai locali di grido palermitani, se fosse valutato nella categoria dei ristoranti. Dunque, nell’apprezzamento dei voti assegnati, immaginate di categorizzare il locale alla voce “trattorie”, e non ci saranno malintesi.
Il conto non è proprio da trattoria dato che per un pasto completo, a conti fatti, si spendono intorno ai 50 euro includendo una bottiglia di vino in fascia media. Il nostro conto è stato pari a circa 25 euro a persona, ma nessuno di noi tre ha consumato un pasto completo e, soprattutto, abbiamo ordinato un solo calice di bianco. Il pesce è fresco ed è ottimo. La carta dei vini è assai limitata e circostritta ad etichette locali.
Il servizio è piuttosto “casual” e qualche tempistica avrebbe potuto essere più precisa: i primi piatti sono infatti arrivati mentre ancora mangiavamo le patatine ragione per cui i piatti sono stati lasciati sul tavolo e quelli dell’antipasto sono stati ritirati, ormai vuoti, diverso tempo dopo. Ma va bene così, dato che il bello di mangiare in trattoria consiste anche nel poter abbandonare l’etichetta, il galateo ed il bon ton, per concedersi il piacere unico e confortante di sentirsi un po’ a casa. Raccomandato a chi voglia riscoprire gusti genuini e fare un tuffo nel cuore della vecchia Palermo.

Alessandra Verzera

 

Scheda:
Patron:  Pippo e Gianni Corona

Coperti : > 60

Range : Trattoria – Medio

 

Ranking (*) :

Location : 3

Cibo : 4

Carta Vini : 2

Presentazione : 3

Servizio : 3

Mise en place : 3

Atmosfera : 3

Allestimenti : 2

(*) Legenda.

Ranking :
1 = pessimo
2 = scadente
3 = sufficiente
4 = ottimo
5 = eccellente.

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